Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Albo artistico napoletano - 1853)

Dei paesisti antichi e di un paese di composizione

di Nicola Palizzi


Come anticamente esistevano in Italia e fuori artistiche famiglie, tra le quali quelle degli Zuccari , dei Caracci, degli Uccelli, cosi noi pure oggi nel nostro bellissimo paese vantar possiamo alcune tribù di artisti che vannosi emulando tra loco e mantengono viva la tradizione dell'arte. I Carelli, i Palizzi son tra questi ultimi; gli uni dediti al paese ed agli interni, gli altri ugualmente portati al paese ed al ritrarre gli animali. Tre son per ora i più chiari, Filippo che da una seconda vita alle capre, ai buoi, agli armenti, la vita del pennello, Giuseppe che a Parigi si fe' prezzare per belle opere di paesi sparse di animali che ritrae pure con verità somma, Nicola che solo e senza guida, va cercando una nuova via di effetto nel paese, e studia con la volontà e l'intendimento di non cadere nel comune.

Poiché, s'egli è vero che Claudio e Salvator Rosa e parecchi fiamminghi diedero al mondo esempio di quel che si possa fare, v' ha una lunga schiera di paesisti antichi, nei quali, se la massa ti piace, se il tono ti appaga, se le figurine fatte d'altra mano illeggiadriscono il dipinto, trovi pure un accordo sommario, una tinta non istudiata nei passaggi di luce di uno in altro piano, un frastuono di foglie senza carattere proprio, di tronchi non indicanti la specie, di cieli o troppo tondeggianti di grossi nugoli, o troppo uguali. E se ti avviene di poter scorgere il cipresso dal salice per l'opposta loro natura, non scorgi alla stessa guisa il platano dal castagno, il faggio dal pino, l'olivo dal pioppo. Trovi la vite serpeggiante, la quercia maestosa, ma oltre queste differenze tutto è confusione; la frappa è una cifra , l'acqua è grossa di colore biaccoso, i neri sono usati senza differenza di sorta, i verdi non hanno tutte le degradazioni che il vero esige, e il dipinto si riduce ad una vista di generale vaghezza, ad un assieme felice, sicché la pittura di paese, in mano di quegli artisti, diventa un lavoro assolutarnente decorativo.

Lo studio del paese suole allettare il più facilmente, poiché si stima di potervi ben riuscire in breve tempo, e i giovani di prima levata aprono a grandi speranze la mente, quando sentono lodare un lor paesello con poca frappa, qualche pittoresca rupe, un riflesso nell'acqua, a simili cose. Ma la pittura di paese non si ferma qui, e il pittor di paese , se ha bisogno di far bene la sua via alpestre e la sdrucciolevole montagna, ha pur d'uopo di mostrare come si vada per la via, come si stenti su per la china, e qui gli corre obbligo di studiar la figura; figura che quando non ritrae dal vero, sconcia il paese; come quando è colpita ne addoppia l'effetto. La figura nel paese e come la buona punteggiatura nello scrivere. Un bello scritto nel quale non si sappia ove posare, ove prender respiro, ove prender forza, perde ogni suo vigore, e un bel paese ove un uomo non vada, una capra non si arrampichi, un armento non pasca, è sterile; e l'occhio passa su tutto, e non fermasi in nessun punto. Or la figura riconcentra attenzione da quella parte ove il soggetto è la definizione del quadro. Il Rosa vi fa fermare lo sguardo su quei marinai, su quei soldati coverti di Ferro. Il Pussino vi mette due figurine da non potersi meglio, e se togliete il paese dalle composizioni dell'Albano, quella voluttà, quella grazia su qual fondo potranno spiccare ?


Da ciò chiaro si vede che la figura e necessaria al paesista, e che tolti i fondi d'oro che vagheggiavano i padri dell'arte, il figurista moderno non può sconoscere la virtù del ritrarre il paese. Queste poche parole che a prima giunta posson sembrare superflue, nol sono di fatto; imperocchè manifestano la nostra profession di fede, e in arte, come sempre, e in tutto, è indispensabile lo averne una.

II dipinto di Nicola Palizzi presentato alla mostra napoletana offre le dimensioni di un paese non piccolo.
I ruderi, il monte, l'acqua, le monumentali colonne e i marmi, gli alberi varii, gli uomini e il cielo donde si deriva il maggior lume; ecco gli elementi e le parti componenti l'immaginoso e poetico dipinto. Non si potrebbe dire che questo si bel paese sia tolto del tale o tal altro punto, no; ma l'artista ha dato tale un'apparenza di vero al suo dipinto che il riguardante esclama ? Ove si trova cosi bella veduta ? E ne chiede intorno, sapete perchè ? ? perchè lo crede vero. Nicola Palizzi ha voluto fondere insieme molte epoche, molte bellezze, molti prestigi della natura. Difatti egli ha posto sul davanti un gruppo di alberi ritti e grandeggianti, ed in primo piano antichi ruderi di opera laterizia tanto usata dai romani nei loro edifici, mozze colonne d'ordine corintio , e un pezzo di via antica, quasi ricordo della famosa via Appia. Più indietro un lago ove si riflette il sole in tutta la trista maestà della sua caduta, sicché tu lo vedi splendere di doppia luce, nel cielo, nell' acqua; e non sapresti scegliere, a dir vero, quale dei due effetti più ti piaccia. A quel sole, a quell'effetto di luce guarda studiando una figura, nella quale si ritrae artista; e presso a quei ruderi due altre figurine sembrano archeologicamente discutere sugli avanzi di un tempio, la cui posizione a benissimo scelta nel quadro, poichè più di lontano lo vedi levarsi con cinque colonne antiche, quasi memoria delle famose Puteolane. Le quali colonne sebbene si levino nello stesso senso e dalla medesima parte degli alberi, non producono per la loro distanza veruna monotonia di linee che accenni a scarsezza di mezzi, ma quel che più chiude le frante colonne, l'avanzo del tempio, le mura laterizie ed il lago, è un doppio dorso di monte che dal Terminio s'inspira, ed è tagliato da una via che viene più innanzi e mostra in sulla punta sfumato e pure misteriosamente vago un castello del medio evo in rovina.

Fantasmi della campagna italiana, ricordi di ostinate pugne feudali, divenute indi torri di veduta e difesa dei lidi corseggiati dai pirati, e finalmente ricoveri di banditi e di falsi monetari, queste scrollate torri sono sempre belle. Ecco per qual modo Nicola Palizzi ha riunito molte epoche sotto l'unità di un sole cadente, e quel sole che tramonta su tante rovine e tante glorie passate, è un concetto degno di quegli artisti, che come il Pussino e il Lorenese e Breughel e i BrilIi e Vernet sapevano veder in natura, pensare il quadro, e poi pingerlo. Ma se questo sole cadente si è quello che racchiude e colora tante e siffatte bellezze, che potrei dirne di più al lettore? Anche una veduta darebbe qui scarsa indicazione del paese fantasticamente pittoresco e più, di quel colore che con impronta di originalità fa staccare gli alberi, il monte, l'acqua, e il partito delle nuvole che si raggruppano a renderne più malinconico l'aspetto.


Qualche profano disse esser la causa pari all'effetto. Or che i profani alle arti parlino prima di esser domandati, non è maraviglia. Il far di maniera e con colori da trivio sarebbe mai venuto ad intorbidare e guastare il bello delle pitture, se i profani non avessero cominciato a levare a cielo quel pittore che usava più candidamente il minio e la biacca, e faceva più svolazzi che non ne avrebbe prodotti aquilone e borea ? Certo che no... E che i profani malamente parlino, potrà ben giudicarsi imperizia, ma che mal dicono i seguaci dell'arte stessa, ecco la bassezza, ecco l'immoralità. Si è detto che l'effetto dell'acqua fosse pari a quello del sole, e questo si è giudicato esser colpa dell' artista, quandocchè l'acqua e specchio di luce, è luce ripercossa in corpo trasparente; quandocchè noi sappiamo che le acque sono in taluni punti si limpide , che il solo cristallo le agguaglia; quandocchè noi sappiamo che talvolta suole il limpido ripeter la causa, e per incanto proprio addoppiarla. V' ha d'uopo sempre di una fata Morgana per osservare questi splendori della natura? Costoro che fannosi maestri, senza aver voto di pubblico, non ricordano che nel loro studio medesimo, per maggior effetto dei loro dipinti li fanno guardare in uno specchio che ripercote ogni luce. Dunque v' ha dei casi nei quali l'effetto e pari alla causa. Ma questo non è certo il luogo di diffondersi in ammaestramenti e questioni. Se il difetto del dipinto di Nicola Palizzi non è che quello indicato, noi gliene sappiamo grado; e poi ai posteri l'ardua sentenza, e non a quegli artisti che poco fanno e molto censurano.

E ritornando al quadro soggiungeremo che oltre alla varietà dei ruderi, scorgi pure bastevole varietà nell' elemento frondoso; e, la foglia d' acqua, ed il verde parietario e il cipresso, e il pino, e dal lato opposto dei grandi alberi che son primi a venirti innanzi agli occhi vedi un gruppetto di salici che incurvano i rami sull' acqua infuocata di sole, e si disegnano ripercossi nella liquida superficie. E mentre quella luce da risalto e vita a grandi ombre, niente v' ha di ozioso e disprezzato, niente fatto con animo d' illuder senza ragione; ma dovunque si posa lo sguardo non vdi che lo studioso pennello ricercatore del toni più grati all' occhio, e quel ch' è più, nessuna durezza. Imperciocchè se v' ha cosa che noi deploriamo e vituperiamo nel ritrarre il paese, questa si è la durezza, impossibile la dove si mostra un orizzonte, e l'acqua che bacia la riva e la via che si prolunga a perdita di vista. E questa durezza in pittura di paese è per noi colpa, per noi che abbiamo sempre innanzi agli occhi Ischia, e Capri, e Nisida e tutte le isolette sfumate voluttuosamente su pel nostro golfo, per noi che vediamo svanire talvolta per incanto di naturali accidenti di luce e di distanza lo stesso gigantesco Vesuvio. Del canto nostro felicissimi ci reputiamo se questo elogio può dare a Nicola Palizzi un conforto amichevole, ed un mezzo di venire in maggior grido, non in superbia.

In quanto alla pittura del paese in generale, si può dallo studio che vi si pone, argomentare che questa parte del dipingere procede verso uno splendido avvenire, pel quale occorrerà ai nepoti di trovare in noi una tal quale coscienza d'arte che parve nascondersi nelle forme convenzionali adottate nel secolo della ultima decadenza.
Le quali speranze manifestiamo spontaneamente e volentieri, nel vedere per tutta Italia rinfrondarsi la corona del paese istorico, corona che già posa sul capo di Massimo d' Azeglio, di Markò e di Smargiassi, e diremmo di altri ancora, se non ci sembrasse vanità il riempiere questo breve articolo di piùi nomi.

 
Carlo T Dalbono