Pillole d'Arte

    
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Mosè Bianchi ( di Giosuè )




Monza, 13/10/1840 - Monza, 15/03/1904

Nato a Monza il 13 ottobre 1840 morto in povertà a Monza il 15 marzo 1904. Compiuti gli studi secondari nella sua città, nel 1856 prese dimora a Milano per frequentare l'Accademia di Brera dove insegnavano il Sogni e lo Zimmermann. Nel 1859 interruppe gli studi per seguire Garibaldi fra i Cacciatori delle Alpi e, terminata la guerra, tornò all'Accademia, alla scuola del Bertini, dipingendo gli allora inevitabili quadri storici: L'arciprete Stefano Guandeca che accusa l'arcivescovo di Milano; Anselmo Pusterla e La congiura di Pontida, che venne esposto alla mostra di Brera nel 1863 e nel quale rivelò le sue buone qualità per il corretto disegno e l'equilibrio dell'insieme. Nel 1864 partecipò alla mostra della Biennale di Brera col quadro Vigilia della sagra, attualmente nella Galleria d'Arte Moderna di Milano, che ottenne molto successo e che due anni dopo fu inviato al Salone di Parigi. Fece seguire La Signora di Monza e indovinati e felici ritratti. Col premio del pensionato Oggioni, si recò a Venezia e a Parigi. Le opere del Tiepolo e la bravura del Meissonier e del Fortuny esercitarono su lui una influenza alla quale improntò la sua maniera che, quando egli ebbe occasione di decorare volte e pareti come negli affreschi della Villa Giovanelli a Lonigo, risentì soprattutto la dominante potenza del Tiepolo.

Tornato a Milano, espose il capolavoro I fratelli al campo, poi La benedizione delle case; Cleopatra; Un giorno di parata; Amore allo studio e Interno del Duomo di Monza, che venne acquistato dal re del Belgio. Dopo il 1880 iniziò il secondo periodo delle lagune in burrasca, delle vedute di Chioggia, e con queste opere si impose ed eccelse. Luigi Archinti scrisse di lui, in quell'epoca, con vero entusiasmo: "Il Bianchi sa cogliere nella regione delle lagune una verità d'impressioni preziose e di colorazioni smaltate per la quale è il primo pittore d'Italia". Verso il 1890 cominciò la serie delle impressioni della vecchia Milano pittoresca, affaccendata, sotto la neve, nebbiosa, fangosa, poi si dedicò a ritrarre le vedute autunnali di Gignese sul Lago Maggiore. In città riprendeva il lavoro intenso, con foga geniale e profonda coscienza. Fu direttore ed insegnante all'Accademia Cignaroli di Verona; consigliere comunale di Milano; membro della Giunta superiore per le Belle Arti; consigliere dell'Accademia di Brera, ricoprendo tali cariche con la più semplice dignità che considerò indivisibile compagna della bellezza.

Opere principali: Parola di Dio; Due amiche; Il canale di Chioggia e Barche del carbone a Chioggia, nella Galleria d'Arte Moderna di Roma; La monaca di Monza e l'amante Egidio, e Il pittore Londonio, nel Museo Civico di Torino; Barca chioggiotta, nel Museo Revoltella di Trieste; La famiglia del chioggiotto, nel Museo Caccia di Lugano. Nella Galleria d'Arte Moderna di Milano nella sala a lui dedicata, si rammentano: Il ritratto dei pittore Fasanotti; Ritorno dalla sagra; Cavaliere settecentesco; Porto di San Felice a Chioggia; Marina, oltre i già citati I fratelli al campo e Vigilia della sagra. In raccolte private: Processione, collezione comm. Rossello di Milano; Pietà (da questo dipinto eseguì l'affresco nella cappella Visconti a Carnisio), raccolta comm. Balzan di Milano; I convenevoli, raccolta conte Cambiaghi di Monza; Sotto il ponte di Rialto a Venezia, raccolta Gustavo Botta di Milano; Dopo il duello, raccolta cav. Pluda di Milano. Numerosi lavori sono presso gli eredi di Pompeo Mariani.

(A. M. Comanducci)


Figlio di Giosuè (nato Monza 20 giugno 1806, morto ivi 9 settembre 1875, ritrattista di carattere accademico, compositore di quadri sacri e maestro di pittura), nacque a Monza il 13 ottobre 1840. A sedici anni era già iscritto a Brera, dove seguì i corsi di disegno architettonico del viennese F. Schmidt, quelli di scenografia e prospettiva di L. Bisi, di disegno e ornato di G. Sogni e di L. Bernacchi, meno intonandosi alle rigide norme "viennesi" del corso di paesaggio dell'austriaco A. Zimmermann. Dopo la seconda guerra d'indipendenza, cui aderì come volontario, senza tuttavia aver occasione di parteciparvi in modo attivo, si ambientò meglio nel nuovo clima artistico di Brera, dove col 1859 venivano create due nuove cattedre di pittura, dell'Hayez e del Bertini. La sua significativa preferenza per la scuola del secondo, di cui divenne allievo prediletto, è indice del nascente temperamento pittorico del Bianchi, che cominciò ad affermarsi alle mostre di Brera fin dal 1862, esordendo nell'impegnativo genere storico-romantico ancora di moda, con l'animata composizione L'arcivescovo Pusterla accusato di tradimento sacrilego dall'arciprete Guandeca (propr. Litta, Milano). Seguiva, nel 1863, La congiura di Pontida (propr. Rossi da Schio, Monza): ma la spontaneità della sua natura, anelante anche in queste opere a più mosse ricerche formali, coloristiche e compositive, e la serietà della sua preparazione meglio risaltano nella prima opera sacra di maggior respiro, la pala della Comunione di s. Luigi Gonzaga per la chiesa di Albino, esposta a Brera nel 1864.

Quasi spontaneo fiorì, dall'ambiente e dalle figure di questo suo primo quadro sacro, quel genere di amabili aneddoti di sagrestia che, a partire dalla Vigilia della sagra, anch'esso del 1864 (Accademia di Brera), consacrò la fama nascente del Bianchi, e definì le sue caratteristiche con la nota serie dei "chierichetti" e delle "sagrestie", soggetti trattati anche in seguito in gustose varianti. Negli anni seguenti tornava però a nuovi stimoli tardoromantici, con la Signora di Monza e con la Cleopatra, del 1868, entrambe replicate anche più tardi (Gallerie d'arte moderna di Milano e di Torino). Nel 1864 con un breve viaggio a Firenze e a Roma il Bianchi tese ad allargare i suoi orizzonti culturali, cosa che poté far meglio nel 1866, grazie al Pensionato Oggioni, guadagnato col quadro La visione di Saul, che gli consentì di soggiornare a Venezia e a Parigi. Quivi soprattutto lo impressionò lo spigliato pittoricismo neo-settecentesco del Fortuny, nonché il figurativismo squillante del Meissonnier, che fruttificarono in tutta una serie di scenette settecentesche, assai care al mercante Goupil, che ne mantenne l'accaparramento anche dopo il ritorno del Bianchi in Italia. In patria, come saggio finale del Pensionato Oggioni, egli presentava una delle sue prime opere veramente personali, La lettrice (1867, Accademia di Brera), alla quale seguivano I fratelli al campo (1869, Pinacoteca di Brera) - intitolato in origine Ricordo di Venezia per rievocare la sfortunata guerra del 1866, e la Benedizione delle case, del 1870.

In queste opere appare messo a miglior frutto, con più serio impegno compositivo ed espressivo, quel frizzare di pennellata che riscatta tante sue scenette di genere. Ma più definiti intenti di pura ricerca pittorica maturano nel decennio a partire dal 1870, a base di vivaci ricerche d'impostazione cromatica e tonale. Proprio del 1870, infatti, è quel vero capolavoro, quasi ricerca impressionistica avanti-lettera dei rapporti fra figure e luce-tono, attuato nella Uscita di chiesa (propr. M. Innocenti, Milano). Del decennio seguente è l'impegnativa serie delle "lavandaie", con tipiche ricerche di sintesi naturalistica, di cui l'esempio più noto sono Le lavandaie della Galleria d'arte moderna di Milano. Ma non mancano in questo periodo una nuova versione della Vigilia della sagra, su sfondo di portico aperto, una nutrita serie di "chierichetti" che culmina nel Ritorno dalla sagra del 1877 (Gall. d'arte moderna di Milano), di quadretti di genere, e quel gruppo di più calibrati e poetici interni di chiese, dove sempre sembra affiorare il ricordo del bel duomo della sua città, di cui l'esempio più noto è L'interno del duomo di Monza, esposto a Brera nel 1874e acquistato dal re del Belgio. Intorno agli stessi anni sono le migliori prove del Bianchi ritrattista che, dai ritratti giovanili (1868-70 circa) del nipotino e poi allievo prediletto Pompeo Mariani, al ritratto del padre e a quello della marchesa Ponti, esposti a Brera nel 1874, dagli autoritratti alla serie dei ritratti per la moglie Carolina, sposata nel 1870, testimoniano d'un artista, se non psicologista, sempre dedito a raffinate ricerche tonali.

Più impegnativa l'opera affidatagli intorno al 1877: affrescare i tre saloni terreni della villa Giovannelli di Lonigo nel Veneto. Proprio attraverso questo lavoro, risolto con quasi fatali reminiscenze tiepolesche, egli trovò l'impulso per riaccostarsi all'ambiente di Venezia, e soprattutto di Chioggia, che doveva offrire una svolta significativa alla sua carriera pittorica. Il lombardo Bianchi, che non conosceva altro ritmo d'acqua che quello delle pigre rogge di Monza punteggiate di lavandaie dal gesto calmo e pieno, divenne, per inattesa comprensione della più intima sostanza della vita chioggiotta, del suo mare e della sua gente, il più frizzante e poetico "marinista" del nostro Ottocento. Una sua prima Laguna in burrasca comparve a Brera nel 1879, ma la sua vera rivelazione si ebbe all' Esposizione di Torino l'anno dopo, specie con una grande, ribollente Burrasca, acquistata in Inghilterra che, se scandalizzò il pubblico non abituato a simili "modernismi", si acquistò l'ammirazione dei competenti, fra cui A. Fontanesi e D. Morelli. Motivi prediletti, per le possibilità di ricerca pittorica che offrivano, il mare in burrasca, la lotta dei pescatori per tirar in secco le barche, le traversate in laguna, le larghe visioni di porti e imbarcaderi, s'intrecciano con accenti personalmente canalettiani o guardeschi, o più francamente impressionistici: e basterà ricordare Porto s. Felice a Chioggia e Traversata in Laguna, della Galleria d'arte moderna di Milano, o Imbarcadero a Chioggia della coll. Cartotti di Lessona.

Un ordine affine di ricerche pittoriche, sul filo d'una pennellata compendiosa e carica di fermenti, il Bianchi perseguì nella serie di vedute, e specialmente di inverni milanesi, che formano, insieme con le marine, la parte più vitale della sua opera dopo il 1879-80 (gli esempi più nutriti si trovano nella Galleria d'arte moderna e nella raccolta Zanoletti di Milano). La sua comprensione della temperie lombarda, della vita brulicante d'una città perpetuamente lievitante fra pioggia, nebbia e neve disciolta in pozzanghere, sa farsi pittura e poesia al di là di qualsiasi spunto descrittivo o aneddotico, e la pennellata spensierata del seguace di Fortuny diventa adulta e consapevole d'una specifica ricerca di "valori". Non mancano, tuttavia, anche in questo periodo, ritorni a motivi giovanili, come quella Parola di Dio del 1887 (Gall. naz. d'arte moderna, Roma), che è forse l'ultimo interno di chiesa del Bianchi.

Intorno al 1890, con le villeggiature a Gignese sul lago Maggiore, inizia una nuova serie di vedute di montagne e pastori, di più greve pittoricismo, dove l'artista tenta d'intonarsi al solido naturalismo lombardo a lui poco congeniale. Il miglior Bianchi restava quello delle giovanili "lavandaie" o dei più liberi e compendiosi spunti dal vero, come il Lavoro della terra della collezione Vernocchi di Gallarate, del 1887. Negli anni estremi poi parve abbandonare la sua briosa concezione del vero, per più classiche ricerche di forma, come nel Bagno pompeiano, nella Mandolinata (1897, propr. Treccani degli Alfieri), in Prima del duello (1894), estrema ripresa del genere settecentesco. Ma ben più conta, per un'esatta valutazione del talento del Bianchi, un lato quasi ignorato della sua attività, quello del disegnatore geniale tutto semplificazione delle cose - quale risalta, per esempio, nella serie di album della Civica Raccolta Bertarelli al Castello Sforzesco di Milano - e dell'acquafortista, un lato fino a oggi quasi dimenticato, ma ora rimesso in valore dalla ristampa di trentacinque rami originali dell'antica calcografia A. Fusetti curata dai suoi nuovi proprietari. La prima acquaforte del Bianchi è tratta dalla Vigilia della sagra del 1864 e altre furono stampate nel 1872 a Parigi da Alphonse Cadart; la pratica dell'acquaforte, con accanite ricerche tecniche e creative, per mettere a fuoco motivi fine a se stessi, anche al di fuori della riproduzione dei suoi quadri, lo accompagnò per tutta la vita.

Vita di duro studio e tormento, nell'apparente facilità di un'arte che non temeva di piacere, ma che riusciva sempre a dispiacere ai conformisti della pittura: tanto che gli mancarono quasi riconoscimenti ufficiali e accademici. Solo nel 1898, ormai malfermo in salute, si decise ad accettare la cattedra all'Accademia Cignaroli e si trasferì a Verona. Ma pochi mesi più tardi lo colpiva una paralisi, che lo tolse ben presto al lavoro. Morì a Monza il 15 marzo 1904.

(Ugo Nebbia - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 10 - 1968)