Torino, 15/10/1886 - Torino, 20/03/1962
Nacque il 15 ottobre 1886 a Torino. Già nello studio
del primo maestro, Giovanni Giani, aveva assistito alla metamorfosi del
solenne "quadro storico", qual era inteso da un Gastaldi o da un Enrico
Gamba, in scena di genere trattata con minuzioso e manieroso verismo. Ma
contro tali tendenze, nella Torino del primo Novecento, si affermavano
le ambigue squisitezze del simbolismo bistolfiano; anche il giovane
Bosia fu conquistato dai virtuosistici effetti di luce, da quei lenti
ritmi lineari che miravano a vincer l'inerzia della pietra, a
trascendere la materia aspirando a una spirituale purezza che, troppo
spesso, si traduceva in vago sentimentalismo e in piacevolezza
decorativa.
Del Bistolfi il Bosia dipinse un ritratto - oggi
conservato nella torinese Galleria d'arte moderna - caratteristico per
l'intonazione cinerea, che si ritrova anche nei paesaggi (Lungo il Po,
Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), non immuni da reminiscenze
fontanesiane. Apprezzato come ritrattista (Ritratto di bimba,
Torino, Civica galleria d'arte moderna), il Bosia partecipò alle
principali manifestazioni artistiche: oltre che nei cataloghi delle
Promotrici torinesi, il suo nome compare fra gli espositori assidui a
Roma e alle Biennali di Venezia.
Qui egli poté avere esperienza diretta di quegli
aspetti della pittura europea che al principio del nostro secolo
riscuotevano in Italia largo tributo di ammirazione; soprattutto le
allegorie di Hodler, esteriormente scarne e intimamente scarse di valori
pittorici, dovettero riuscire al Bosia più congeniali delle estrose
decorazioni e della vivida policromia di Gustav Klimt, che pure è stato
citato fra le componenti della sua cultura. In realtà, il pittore cerca
di coprire una fondamentale povertà di fantasia con l'apparente
ascetismo delle forme semplificate, così come la tavolozza svigorita mal
riesce a evocare una dolente religiosità. Sono specialmente evidenti
queste debolezze negli affreschi lasciati dal Bosia a Torino: una
lunetta nella chiesa di S. Maria degli Angeli (1932), con le Vicende
della chiesa e del suo nome, lo mostra ancorato a un generico
primitivismo, non raro nell'eterogeneo aggregato di tendenze diverse, o
anche antitetiche, confluenti nel Novecento italiano del primo
dopoguerra.
Promosse il Bosia a rappresentante dell'arte
ufficiale l'ambizioso affresco La Vita, faticosamente composto
nel salone de La Stampa, e scoperto nel 1935: sulla lunga parete si
allineano monotone e rigide immagini simboliche, dal campanile (simbolo
della religione) al fabbro (simbolo dell'industria), passando per
l'invenzione peregrina del balilla pensoso sui giocattoli meccanici e
del poeta in sparato, involontariamente grottesco. Tuttavia né
commissioni ufficiali né personale prestigio valevano a celare i limiti
dell'artista; anzi li rendevano più evidenti all'irrequieto ambiente
torinese, mantenuto in fermento grazie all'attività di Casorati.
Allontanatisi presto dal Bosia gli allievi più dotati
- citiamo in particolare Gigi Chessa -, nel 1940 l'esposizione
retrospettiva presenta ai torinesi un linguaggio pittorico appartenente
"a una civiltà artistica trapassata"; "anacronistico" è qualificato il
pittore anche da critici non avversi al valori della tradizione.
Anna Bovero - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971) -
treccani.it
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