Pillole d'Arte

    
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Vincenzo Camuccini




Roma, 22/02/1771 - 02/09/1844

Discepolo di Domenico Corvi, che lo fece esercitare per lungo tempo nella copia dei maestri del Cinquecento, e poi di Pompeo Batoni. Fu un corretto disegnatore, abile specialmente nelle composizioni e nei ritratti. Come l'Appiani, il Sabatelli e il Benvenuti, rimane nella storia dell'Arte italiana come uno dei rappresentanti del neoclassicismo. Visse a Roma, "pittore incontrastato", fra cariche e onori. Fu presidente dell'Accademia di San Luca, sovrintendente dei Palazzi Apostolici, membro corrispondente dell'Istituto di Francia, e nel 1820 venne nominato barone da Pio VIl. La sua vasta produzione è sparsa per le chiese romane, in gallerie di Stato e in quadrerie private.

Fra le sue opere principali si ricordano: La morte di Giulio Cesare e La morte di Virginia, tele acquistate dal re di Napoli e conservate nella Galleria di Capodimonte. I bozzetti, vivacissimi e ariosi, assai più pregevoli dei quadri, sono ospitati nella Galleria d'Arte Moderna di Roma, L'incredulità di San Tommaso, ordinata da Pio VIl, riprodotta in mosaico, esiste in San Pietro; La presentazione al Tempio, per la cappella della Madonna del Rosario in San Giovanni di Piacenza; Il miracolo di San Francesco da Paola, nella chiesa omonima di Napoli; San Gregorio e Sant'Agostino, nella chiesa di San Nicolò in Catania; Sant'Orso, nella chiesa metropolitana di Ravenna; La conversione di Saul nella chiesa di San Paolo in Roma; Tolomeo Filadelfo e Carlo Magno sono conservati nella Reggia di Napoli; Discesa di Gesù al Limbo; La battaglia di Ratisbona, Cornelia madre dei Gracchi, per Elisa Bonaparte principessa di Lucca; Deposizione, per il re di Spagna; Federico Barbarossa dà il comando della città di Perugia a Lodovico Baglioni duca di Svevia, per la casa Baglioni di Perugia; Il ritratto di Pio VII, conservato nella Pinacoteca di Cesena; del Duca di Blacas; del Re di Napoli e della Regina; della Contessa Sconvaloff; della Contessa Dietrischstein; del Pittore Kral nella raccolta del barone Camuccini a Roma, insieme ad un altro bozzetto della Morte di Giulio Cesare. Coltivò la litografia.

(A. M. Comanducci)

 

Figlio di Giovanni Battista, commerciante in carbone di famiglia ligure, e di Teresa Rotti, nacque a Roma il 22 febbr. 1771. Incoraggiato e materialmente sostenuto dal fratello maggiore Pietro, iniziò il suo tirocinio pittorico nello studio di D. Corvi, stimato maestro e accademico di S. Luca. Incline agli effetti drammatici dei contrasti di luce e d'ombra, di lontana ascendenza caravaggesca, il Corvi era tuttavia ossequiente alle soluzioni classicheggianti proposte alla pittura del Settecento romano dalla preponderante autorità di Pompeo Batoni; e agli alunni trasmise i modi tipici di quell'accademismo, tutt'altro che dogmatico, come dimostrano gli esiti diversi di un Landi e di un Cades, condiscepoli del Camuccini. Questi, in ogni modo, alieno da nostalgie settecentesche come da umori preromantici, imboccò senza esitare la via del classicismo e temprò la sua cultura non tanto sugli esempi del Batoni, quanto nello studio sistematico dell'antico e del Cinquecento: studio attestato da disegni numerosissimi e anche da qualche dipinto.

A prescindere dal Sacrificio di Noè, esercitazione di scolaro quattordicenne, conviene citare, come già significativa dell'interpretazione neoclassica di Raffaello, la copia della Deposizione (1789) eseguita dal Camuccini per lord Bristol. A fondare teoricamente la cultura del giovane pittore provvedevano, fra il 1780 e l'84, le "Opere del Mengs", edite dal D'Azara, gli scritti di F. Milizia e, soprattutto, la "Storia delle arti del disegno presso gli antichi" del Winckelmann, allora appunto tradotta in italiano; e vi provvedeva anche l'attività instancabile di Ennio Quirino Visconti, con le prime, esemplari illustrazioni del Museo Pio Clementino (1783-1807). Fra i pittori che in quei giorni tenevano il campo, il Camuccini dovette seguire sopra tutti Gavin Hamilton come l'interprete più ortodosso del "bello ideale"; e, nella scia dell'inglese, egli si trovò a dipingere, nel 1790, la scena di Archelao con Paride fanciullo per un soffitto della villa Borghese, rinnovata in quegli anni sotto la direzione dell'Asprucci, e palestra dei giovani artisti romani. Degli anni successivi conserviamo un folto gruppo di schizzi a penna acquerellati (Cantalupo, coll. Camuccini) e alcuni bozzetti a documentare la lunga e complessa elaborazione delle opere che dovevano assicurare al Camuccini l'ammirazione del pubblico e far di lui il protagonista della pittura ufficiale in Roma: la Morte di Virginia (1793-1804) e la Morte di Cesare (1793-1807).

Poco ci dicono oggi le due vaste, scolorite, troppo rilisciate composizioni, esposte a Napoli, nella Galleria nazionale di Capodimonte; ben altrimenti interessanti riescono i bozzetti, rapidi e vivaci nell'estrema semplificazione delle forme, e ancor più i disegni, le "prime idee" che svelano chiaramente le profonde radici culturali del pittore nel classicismo del Seicento romano: poiché alla prospettiva raffaellesca egli non giunge per via diretta, ma per il tramite del Domenichino e del più severo Poussin, così come Guido Reni gli suggerisce l'equilibrio dinamico dei gruppi; i quali, violentemente percossi da luci e ombre obliquamente proiettate, traducono in spettacolo propriamente teatrale quell'eco del naturalismo caravaggesco ancora percettibile in tanta parte del primo Settecento romano. Ne risulta una declamatoria dignità, un'aspirazione a classico rigore, che non diventa (come nel Marat davidiano) eloquente espressione di appassionato impegno ideologico, così come non la sfiora l'inquietudine fantastica dei chiaroscuri preromantici. Quegli schizzi, tecnicamente affascinanti per la bella sicurezza del tratto, riflettono, in sostanza, il clima culturale in cui Vincenzo Monti pochi anni prima aveva elaborato l'Aristodemo e il Caio Gracco.


Monti, che era in rapporti personali con Camuccini, abbandonò Roma durante la rivoluzione del 1798; anche il pittore se ne allontanò temporaneamente e, consigliato forse dall'amico Pietro Benvenuti, se ne andò a completare la propria cultura in Firenze, dove conobbe Luigi Sabatelli. Così si compiva quel cerchio di strettissimi rapporti e scambi di esperienze che già si era delineato con l'amicizia fra Camuccini, Bossi e Appiani. Passata la tempesta, Camuccini rimpatriava, e la sua fama crescente lo faceva accogliere, nel 1802, nell'Accademia di S. Luca, dove resta un suo Ritrovamento di Paride (il bozzetto, conservato a Londra, propr. sir A. Blunt, è stato esposto nel 1972 alla mostra londinese The Age of Neo-Classicism). L'anno successivo Pio VII lo nominò direttore dei mosaici di S. Pietro, Camuccini era ormai l'incontrastato dittatore della pittura romana. I quadri di soggetto religioso lo dimostrano fedele agli effetti chiaroscurali del suo maestro Corvi (Presentazione al Tempio, 1806); l'artista appare inoltre brillante, anche se non profondo osservatore, nei numerosi ritratti grandiosamente impostati dei personaggi più in vista nella società e nella cultura: Thorvaldsen, 1808, Roma, Accademia di S. Luca (altra versione a Roma, propr. Di Bagno); il Duca di Blacas, 1819, Cantalupo, collezione Camuccini; l'Autoritratto (è stato distrutto dalla guerra l'Autoritratto più celebre del pittore, ill. in Capitolium, VIII [1932], p. 71, ne esiste un altro, in età matura, incompiuto, nella collezione Camuccini, a Cantalupo), o in altri pittoricamente piacevoli per le tinte prevalentemente chiare e la franchezza del tocco, sì da riuscire di una freschezza insospettabile nelle opere di tono ufficiale: così ritratti dei figli Giovan Battista e Teresa (Cantalupo, coll. Camuccini).

 Stabilitosi il dominio francese in Roma, piovvero sul pittore onori e ordinazioni. Visitò Monaco e Parigi nell'anno 1810; attorno a questa data dipinse il Tolomeo Filadelfo e il Carlo Magno che convoca i dotti italiani, oggi a Montecitorio, per Carlo IV di Spagna una Deposizione, per l'ex ministro Godoy un Orazio Coclite e intanto si cimentava onorevolmente con la recente tecnica della litografia (I Dioscuri). Fece il ritratto di Maria Luisa di Borbone (Pitti) e per la stessa dipinse Cornelia madre dei Gracchi (Lucca, Pal. ducale); seguirono le Storie di Attilio Regolo per casa Capeletti, a Roma; il Furio Camillo del palazzo reale di Genova; per casa Baglioni a Perugia, nel 1812, l'Ingresso di Malatesta Baglioni IV a Perugia e Astorre II Baglioni riconquista una bandiera. La medesima scolastica compostezza impronta i soggetti classici e quelli tratti dalla storia più recente, in un eclettismo grato agli illustri committenti, mentre, col passar degli anni, si appesantisce il chiaroscuro dei quadri sacri (Giuditta, 1812, Alzano Lombardo, parrocchiale; lo stesso soggetto, 1826, Bergamo, Accademia Carrara). Reintegrato nei suoi domini, Pio VII si fece ritrarre da Camuccini (Tarquinia, Museo) e il 12 agosto 1814 lo nominò ispettore alla conservazione delle pubbliche pitture in Roma, carica che mantenne con "encomiabile serietà" sino al 1824 (Corbo).

Ferdinando I di Napoli già aveva posato per Camuccini (Napoli, pal. reale; bozzetto a Roma, propr. Camuccini); Francesco I, sul trono nel 1825, lo nominò direttore dell'Accademia napoletana a Roma e lo incaricò di riordinare la Galleria di Napoli. Nel clima della Restaurazione s'infittiscono, com'è naturale, le ordinazioni di soggetto sacro: dal Sant'Orso (1821) per il duomo di Ravenna ai SS. Simone e Giuda per S. Pietro. Benché non abbandoni i temi classici (un Congedo di Attilio Regolo, 1824, recentemente adattato come sovrapporta in palazzo Altieri; un Ritrovamento di Romolo e Remo, 1825, Roma, Accademia di S. Luca; un Collatino celebrante la virtù di Lucrezia, 1825, per il conte Apponyi), il pittore fra il 1823, e il '25 s'impegna in una serie di ottantaquattro litografie sui "Fatti della vita di Nostro Signor Gesù Cristo": significativa testimonianza dell' "arte sacra" negli anni di papa Leone XII. Pio VIII, appena eletto, volle un ritratto da Camuccini (1829, Cesena, Pinacoteca), che nominò barone; e l'anno dopo gli affidò il riordinamento della Pinacoteca vaticana. Qui il pittore fece trasportare, fra l'altro, il Platina inginocchiato davanti a Sisto IV di Melozzo da Forlì, dalla basilica dei SS. Apostoli, la Crocifissione di s. Pietro di Guido Reni e la Comunione di s. Girolamo del Domenichino (sostituì gli ultimi due con copie di sua mano sugli altari di S. Pietro in Montorio e S. Girolamo alla Carità). Intanto forniva un Miracolo di S. Francesco da Paola all'omonima chiesa di Napoli (1830-35; tuttora in loco), un S. Agostino e un S.Gregorio a S. Nicola di Catania (1833).

Di Camuccini è la lunetta con San Paolo sollevato al terzo cielo nell'abside della ricostruita basilica ostiense (1840), per la quale già aveva dipinto (1823) una Conversione di San Paolo, altare del transetto sinistro, e una Assunta (dispersa). Nella collezione degli eredi, a Cantalupo in Sabina, si trova ancora una Deposizione, destinata al duomo di Terracina (1841), a cui si possono aggiungere una Madonna del Soccorso in S. Pietro a Montelanico e una Madonna del rifugio a Torri in Sabina. Finché una paralisi, il 19 febbraio del 1842, non gli vietò l'uso dei pennelli, Camuccini continuò la sua attività di ritrattista. In questo campo oltreché nei disegni, giustamente pregiati dal Cicognara, Camuccini lasciò il meglio di sé, e la critica recente lo ha avvicinato all'inglese Th. Lawrence per le sue doti di mondana eleganza.

da Anna Bovero - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974) - treccani.it