Montegrino Valtravaglia, 29/09/1804 - Cremona, 05/07/1873
Nato a Montegrino, sopra Luino, il 29 settembre del 1804, e
non del 1806 come hanno sostenuto molti biografi, era figlio di Giovan
Battista, muratore. Il padre si trasferì col ragazzo primogenito ad
Albino, in quel di Bergamo, nella villa dei conti Spini per alcuni
importanti lavori e qui, per la sua piccola statura, il figlio venne
soprannominato Piccio, un nomignolo che durerà per sempre e col quale
firmerà molte sue opere. E in questo ambiente che comincia a disegnare,
e il conte C. Spini, vedutane la capacità, lo raccomanda a Giuseppe
Diotti, professore di pittura all'Accademia Carrara. Convintosi delle
attitudini del ragazzo, questi lo accoglie nella scuola, benché non
avesse compiuto i prescritti dodici anni, nel novembre del '15, e
predice per lui un avvenire di "artista straordinario". Premiato per tre
volte, è ammesso presto alla sezione di nudo. La sua prima opera
pubblica è l'Educazione della Vergine per la parrocchiale di
Almenno San Bartolomeo, consegnata nel 1826, opera di estrazione
neoclassica, ma corretta da una tenerezza tolta all'Appiani più
intimista e con riferimenti a Bernardino Luini, che per anni è il suo
pittore preferito.
Ha in particolare uggia la pittura di storia, in cui si esercitarono per
decenni i pittori italiani, dall'Hayez al Pollastrini, all'Ussi; in
effetti la loro pittura resta gelida in correttezze formali; il
Carnovali invece aspira a far vibrare i risvolti del sentimento, a
scoprire le passioni al di fuori di quei lucidi manichini, apparati per
effetti teatrali. Dipingerà, è vero, anch'egli scene mitologiche o
bibliche, come la Rebecca scacciata o la Morte di Lucrezia
o la Morte di Virginia (tutte in raccolte private a Bergamo); ma
di esse coglierà l'animo profondo, la partecipazione emotiva. La poetica
romantica della sua pittura non è un atteggiamento letterario, ma
piuttosto una sensibilità per le risonanze del sentimento. Essa, d'altra
parte, corrisponde a un'inclinazione della sua stessa esistenza,
giudicata un po' bizzarra, in quanto amava la solitudine, i viaggi
improvvisi a piedi, la contemplazione schiva dei paesaggi. A piedi, per
quasi certo suggerimento di Pietro Ronzoni, un pittore bergamasco di lui
più anziano di ventitré anni, il Carnovali si reca a Roma nel 1831. Non
ha certamente studiato i marmi romani, ma piuttosto le pitture di
Raffaello, in accordo con la sua vena romantica. Sulla strada del
ritorno si sofferma difatti, a Parma, sulle pitture del Correggio e del
Parmigianino, e se ne vedono gli effetti nella più tarda Arianna
abbandonata.
Amico di molti personaggi bergamaschi e cremonesi, che ne accettano le
stramberie, ma capiscono il suo valore pittorico, esegue molti ritratti,
a mezzo busto per lo più, in cui l'indagine psicologica si allea con una
espressività pittorica di sottili impasti cromatici e di mezze luci,
creanti una sorta di alone soffice. Dal 1836 prende dimora anche a
Milano, ma si tiene distante dall'ambiente artistico, rifiutandosi di
rispondere a chi batteva al suo studio. Ha modo invece di seguire gli
spettacoli musicali e di ritrarre la Malibran e altri cantanti. Si
innamora di una sorella del cantante Marini, Margherita; ma non le si
rivela. La morte precoce di Margherita gli provoca un dolore tanto più
cocente quanto più silenzioso. Per quanto i suoi ritratti siano
ricercati, e in particolare i bozzetti di tanti episodi biblici o
mitologici, la sua fama è ristretta in ambienti locali di Bergamo e
Cremona; la sua pittura libera, a stesure immediate di pennello che
creano l'immagine e l'atmosfera che la avvolge, non trova alcun ausilio
dalla critica del tempo. Nel 1840 la Fabbriceria di Alzano Maggiore gli
commette una pala con Agar nel deserto; la consegnerà dopo tanti
studi e abbozzi solo nel 1863: verrà aspramente criticata da Pasino
Locatelli e poi rifiutata. La consuetudine classicheggiante di allora
non permise ai critici di avvertire la novità della pittura del
Carnovali, intimamente romantica.
Un altro viaggio a piedi compie col collega Giacomo Trécourt a Parigi,
nel 1845, è l'anno in cui Baudelaire ha preso le difese di Delacroix, e
il Carnovali vuol vedere con occhi propri. A Parigi ha certamente
guardato la pittura italiana esposta al Louvre, ma anche Watteau, e, in
fondo, deve aver pensato che Delacroix trasferiva nei propri quadri
tanti motivi della pittura italiana, veneziana in particolare, cioè la
stessa sulla quale il Carnovali studiava di continuo nelle chiese e
nelle collezioni bergamasche. Quando partì per Parigi non era più il
giovane pittore in cerca di insegnamenti: l'artista era già sbocciato e
maturo. Delacroix, certo, fu un pittore legato alle grandi vicende
culturali e storiche della Francia; il Carlovali resta legato a spunti e
motivi più intimi e teneri; ma l'inclinazione romantica è uguale e
l'espressione pittorica non differisce molto da quella del maestro
francese. Non si può dire che il Carnovali sia rimasto indifferente alla
pittura di questo: ma nemmeno che ne discenda. La grande tradizione
italiana, in particolare veneziana, con la influenza delle luci vaporose
lombarde lo avevano nutrito in maniera indipendente, e quindi si deve
parlare di affinità, anche se Delacroix è più eloquentemente impetuoso e
complesso.
Si conoscono altri viaggi a piedi a Roma, forse nel '48 e di sicuro nel
1855 con F. Faruffini, con il quale si spinse fino a Napoli. Anche
questo rapporto amichevole col Faruffini dice quali affinità li legasse
e ha ragione E. Cecchi quando scrive che la pittura del Carnovali e del
Faruffini sta alla base della scapigliatura di Tranquillo Cremona e di
Daniele Ranzoni: quel colore sfumato nella luce e l'intensità emotiva
che coinvolge le figure in spessori di atmosfera. Il rifiuto della pala
dell'Agar nel deserto provoca una polemica vivace da parte dell'amico
Trécourt, che però non riesce a fermare il rifiuto. Non sappiamo quali
siano state le reazioni del Carnovali, del quale non restano
testimonianze scritte. Intanto la sua pittura aveva accresciuto
l'interno fuoco emotivo e si manifestava con un colorismo acceso,
frantumato, vibrante di passionalità e di luci balenanti. Lo dimostrano
i quadri dipinti dopo il '60, tra cui il Mosè salvato dalle acque
(ora in collezione privata a Bergamo), la Susanna al bagno già
del conte Camozzi, la Bagnante della Galleria civica di Milano, e
l'Adorazione del vitello d'oro della collezione Finazzi di
Bergamo (intorno al 1870). Altri quadri rivelano una particolare
morbidezza sensuale, che resta costante nella sua pittura, e cioè le
telette di Selene ed Endimione (coll. priv., Bergamo), di
Diana e Atteone (coll. Finazzi, Bergamo), di Amore e Psiche
(coll. priv., Milano). Il 5 luglio 1873 si bagnò nel Po, a Cremona.
Venne ritrovato cadavere tre giorni dopo e sepolto a Coltaro come
sconosciuto. Le sue spoglie, successivamente identificate, furono
traslate nella cappella della famiglia Bertarelli a Cremona.
(M. Valsecchi - Articolo completo su
treccani.it)
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