Ceramanico Terme (L'Aquila), 31/10/1880 - Roma,
03/11/1966
Figlio di Vincenzo e di Floridea Chirone (Tirone),
nacque a Caramanico (L'Aquila) il 31 ott. 1880. A dieci
anni divenne allievo di F. P. Michetti - che era solito
trascorrere a Caramanico le proprie vacanze e, con la
sua affettuosa guida, il giovane D'Antino imparò il disegno
ispirandosi ai circostanti paesaggi agresti. Dal 1898
studiò a Roma sotto la guida dello scultore E. Ximenes.
Frequentò poi, a Napoli, l'Accademia di belle arti,
seguendo le lezioni di A. D'Orsi. Durante il soggiorno
napoletano conobbe Gemito, Scarfoglio e Mancini,
imbevendosi di verismo partenopeo: la sua produzione
giovanile è influenzata dal naturalismo dei suoi primi
maestri. Tornato a Roma nel 1906, esordì alla Esposizione degli amatori e
cultori di belle arti dello stesso anno. Il clima romano era allora dominato, si può dire, da due principali
linee di tendenza: una legata alle espressioni grafiche, rapide ed
efficaci, di gusto liberty, che facevano capo al raffinato A.
Terzi e al più denso e problematico D. Cambellotti (non a caso uniti
nella collaborazione alla rivista annuale Novissima); l'altra
del divisionismo pittorico di Lionne, Innocenti, Noci, Crema, Baricelli
e Terzi stesso.
In tale situazione il D'Antino elaborò un suo modo elegante e originale di
stilizzare la figura esaltandone, attraverso la tridimensionalità, le
linee slanciate, in questo influenzato dalla pratica del fregio
filiforme e continuo che Cambellotti, nell'aura decorativa
mitteleuropea, andava già disegnando per occasioni pubblicitarie e
riviste illustrate. Fu presente all'Esposizione degli Amatori e Cultori di
Belle Arti
del 1909 con due opere che preludono al suo impegno maggiore:
Particolare d'un monumento funebre e Ritratto di signorina.
Nel 1910 vi espose tre bronzi e una piccola terracotta, affermandosi in
modo definitivo a giudicare da quanto ne scrisse Colasanti (1910):
"scultore ad un tempo vigoroso e delicato, capace di ravvivare una bella
forma con un profondo sentimento... espone un nudino di donna di rara
solidità e un Ritratto di bambino che, per la vivacità e per la
modellatura franca, nervosa, efficacissima, è una delle sculture più
ammirate della mostra... ma tutta la sua fantasia arguta, tutto il suo
spirito di osservazione appariscono nella Processione, cinque
figurine di bimbi, nelle quali il sentimento del patetico si associa ad
una comicità irresistibile".
Partecipò nel 1911 all'Esposizione Intemazionale di Roma, con
Signora; l'anno dopo espose nella sala romana della prima Mostra
d'arte giovanile a Napoli con i pittori A. Noci, C. A. Petrucci, U. N.
Bertoletti e gli scultori A. Dazzi, G. Niccolini, G. Prini e A. Cataldi,
assieme ai quali partecipò, nell'estate dello stesso anno (con il marmo
Ritratto della baronessina De Rubeis e due figure inbronzo),
alla Mostra del ritratto, allestita nei locali del Circolo artistico di
Roma per dissidi con la Società degli amatori e cultori: come si vede,
una vera e propria anticipazione della Secessione romana dell'anno
successivo. A partire dal 1913 il D'Antino si configurò sempre più chiaramente come un
secessionista, per la sua evidente adesione al modernismo nutrito dalle
influenze già segnalate, alle quali possono aggiungersi quella dovuta
allo scultore Prini, figura allora di spicco nell'ambiente romano, e
quelle più blande derivate da G. Minne e G. Kolbe. Negli anni dal 1913
al 1916 - arco di tempo scandito dalle quattro edizioni della mostra
della Secessione romana, cui partecipò regolarmente - gli arrise il
maggior successo di pubblico e di critica, unanime quest'ultima nel
definirlo elegante, raffinato, squisito e vigoroso.
Nel 1918 tenne una mostra personale alla galleria A. De Conciliis di
Milano assieme ad Umberto Prencipe (pittore ed incisore), esponendovi
ventuno opere, quasi una retrospettiva completa delle precedenti
occasioni collettive ufficiali di Napoli e di Roma. In questi anni l'indagine pressoché monotematica intorno al nudo
femminile (se si eccettuano rare sculture di busti e di gruppi di
bambini) conduce il D'Antino a sviluppare una ricerca sulla espressività del
corpo nello spazio, spesso atteggiato a passo di danza e proteso in un
gesto di offerta, foriero forse di future astrazioni se, come accadde a Prini, Cataldi, Selva e Drei - cioè agli scultori operanti nella sua
stessa area - gli anni del primo dopoguerra non gli avessero trasmesso
l'urgenza di una maggiore solidità e robustezza di forme e volume che il
naturalismo d'ispirazione classica prometteva attraverso la
solennizzazione del gesto e l'irrigidimento del panneggio.
Vittorio Pica, nel 1921, presentando quindici opere dello scultore
abruzzese alla collettiva della galleria Pesaro "A. e G. Carozzi, A.
Bocchi, R. Brozzi, N. D'Antino", accennava alla "equilibrata armonia
delle masse" e alla "delicata grazia dei particolari" delle "vaghissime
statue in bronzo", rinunciando però a tracciarne un'utile genealogia
stilistica che alcuni, in seguito (Lavagnino, 1956), hanno voluto far
risalire alla contemporanea scultura francese, altri (Bellonzi, 1967) ai
"nudi allegorici" di Felice Casorati. Sempre nel 1921 il D. collaborò
alla rivista Cronache d'attualità, diretta a Roma da Anton
Giulio Bragaglia, pubblicando un gruppo di disegni; nello stesso anno fu
membro della Commissione ordinatrice della I Biennale romana, mostra
alla quale parteciperà nel 1923 e 1925. Nel 1922, 1926, 1928, 1932 e
1934 partecipò alla Biennale di Venezia. Espose anche alle Sindacali
romane del 1932, 1933, 1934 e 1940 e alle Quadriennali di Roma del 1931,
1935 e 1939.
Si cimentò pure, tra il 1929 e il '31, con grandi realizzazioni
plastiche, come le due statue di atleti in marmo, Il timoniere
e Lo sciatore, del Foro Mussolini (Foro italico) a Roma, la
grande fontana luminosa dell'Aquila (1933), il Ritratto di Michetti
a Francavilla al Mare (1938) e di D'Annunzio (1940). R.
Fanti, che nel 1949 visitò con G. Balla lo studio dello scultore,
riferisce della presenza nel locale dei gessi del Levriere,
opera degli anni Venti oggi alla Galleria nazionale d'arte moderna di
Roma, e del busto di Donna Paola Medici del Vascello, del
bozzetto del Monumento ai Caduti de L'Aquila e di un
Autoritratto, esposto alla XCIII Mostra degli amatori e cultori di
belle arti del 1927. Gli ultimi anni della vita dell'artista trascorsero tra i ricordi di
una apprezzata carriera di scultore e la ripresa della pratica della
pittura con la quale il D'Antino si era presentato alla Biennale di Venezia
del 1934; rare le occasioni di mostrarsi in pubblico. Tra queste va
segnalata la collettiva cui partecipò con V. Brozzi ed A. Bocchi, nel
1947, alla galleria Addeo di Roma.
Il D'Antino morì a Roma il 3 novembre 1966, lasciando una situazione ereditaria
confusa che rende difficile una catalogazione complessiva della sua
opera.
(Mario Quesada - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986) -
treccani.it) |