Napoli, 06/08/1845 - Napoli, 08/02/1929
Nacque a Napoli il 6 agosto 1845 da Giovanni e Giovanna Feola. Nel 1857
si iscrisse al Reale Istituto di belle arti di Napoli, dove frequentò la
scuola di scultura allora diretta da Tito Angelini il cui insegnamento,
ancora di tipo tradizionale, non era però ostile alle nuove tendenze
veriste diffusesi fra gli allievi più giovani sull'esempio dell'opera di
Stanislao Lista.
Le capacità del D'Orsi si segnalarono già nel 1863, quando presentò alla
II Esposizione della Società promotrice di belle arti di Napoli la
terracotta raffigurante Un garibaldino ferito (Napoli, Museo
nazionale di Capodimonte). Nel 1872 vinse, insieme con Vincenzo Gemito,
il concorso per il pensionato di belle arti a Roma; allo stesso anno
risale la composizione in bronzo intitolata La religione nel deserto
(Napoli, Museo nazionale di S. Martino). Tutta la prima attività dello
scultore è legata alle mostre della Società promotrice napoletana, nel
cui ambito egli presentò opere come Un pescatore (1864), Don
Basilio (1871), La beghina (1872), La calunnia (1874),
Il cabalista e Sulla fossa (1876). Con tali lavori - si
tratta per lo più di bozzetti in terracotta o gesso di piccole
dimensioni, in cui vengono interpretati in chiave espressiva personaggi
tratti dalla realtà quotidiana - il D'Orsi raggiunse presto grande fama
a Napoli coniando alcuni soggetti che poi diverranno popolari nel
repertorio della scultura di genere.
Alla produzione giovanile si collega anche il Salvator Rosa, una delle più vivaci e sensibili
creazioni dello scultore, eseguita in terracotta a grandezza naturale
come modello per un monumento da erigersi in una piazza di Napoli.
Nonostante l'immediato successo riscosso fin dalla mostra della
Promotrice del 1871, dove fu esposta per la prima volta, quest'opera
finì col costituire motivo di profonda amarezza per l'autore che per
tutta la vita ne attese inutilmente la realizzazione. Infatti solo nel
1933, quattro anni dopo la sua morte, venne fusa in bronzo e collocata
in piazza F. Muzji al Vomero (De Marinis, 1984, pp. 57 s.). Il bozzetto
del monumento, in gesso bronzato, si trova attualmente nel Museo
nazionale di S. Martino a Napoli.
I Parassiti
(Napoli, Museo nazionale di Capodimonte), fu la più
impegnativa fra le opere presentate dallo scultore all'Esposizione
nazionale di belle arti di Napoli del 1877. L'opera suscitò grande
scalpore e fu oggetto di diverse valutazioni da parte della critica, che
in alcuni casi reagì scandalizzata di fronte al realismo quasi brutale
della rappresentazione. Anche all'Esposizione di belle arti tenutasi al
Champ de Mars a Parigi l'anno seguente i Parassiti non passarono
inosservati, tanto che Diego Martelli (1878) li definì "il più bel pezzo
di tutta l'Esposizione". Vittorio Emanuele II, che apprezzò
particolarmente questo gruppo, ne fece realizzare, a sue spese, la
fusione in bronzo che fu poi destinata alla Galleria d'arte moderna di
Firenze, dove tuttora si trova.
Negli anni successivi il D'Orsi, affermatosi ormai a livello nazionale,
contribuì con la sua opera alla diffusione della scultura realista in
Italia. In particolare a Milano, dove partecipò nel 1878 all'Esposizione
di Brera col bronzo Testa di marinaio (Milano, Galleria civica
d'arte moderna), svolse un'intensa attività artistica, tanto da poter
essere considerato fra gli iniziatori del realismo lombardo. A Torino,
invece, fu presente, nel 1879, alla XXXVIII Esposizione della Società
promotrice di belle arti col bronzo Testa di carrettiere (Napoli,
coll. priv.) e, nel 1880, all'Esposizione nazionale di belle arti, cui
partecipò con due lavori, A Posillipo, statuetta in bronzo
acquistata in tale occasione da Umberto I, e Proximus tuus,
composizione in gesso bronzato con cui il D'Orsi si pose fra i maggiori
esponenti del verismo sociale italiano.
Nonostante fosse ben lontana dai toni polemici della denuncia sociale,
presentandosi piuttosto come un appello alla compassione umana e allo
spirito cristiano di pietà - come conferma il richiamo religioso del
titolo latino -, la composizione del D'Orsi fu subito al centro di
vivaci polemiche. Molto si insisté sul suo significato politico e sulle
possibili connessioni con le dottrine socialiste. Da parte sua l'autore,
ancora tre anni dopo l'esposizione di Torino, affermava: "... vi accerto
che nessun pensiero di socialismo o di rivoluzione ha traversato il mio
spirito durante la creazione di questo gruppo. Se han voluto attribuirmi
altre idee, è stato molto ingiustamente".
Sta di fatto che Proximus tuus non ottenne a Torino alcun
riconoscimento ufficiale, mentre fu invece premiato il più piacevole e
disimpegnato A Posillipo. La scultura fu comunque riproposta con
successo in varie occasioni: nel 1883 alla Mostra internazionale di
Monaco di Baviera, nel 1885 all'Universale di Anversa, nel 1891
all'Internazionale di Berlino, nel 1897 all'Esposizione internazionale
di belle arti di Bruxelles (esemplare in marmo), nel 1901 al Salon di
Parigi e nel 1904 all'Esposizione universale di Saint Louis. Una
versione in bronzo dell'opera si trova attualmente alla Galleria
nazionale d'arte moderna di Roma.
Riconosciuto ormai come una delle figure di maggiore prestigio dell'arte
napoletana dell'epoca, nel periodo in cui Gemito era scomparso di scena,
il D'Orsi, che già nel 1878 era stato nominato per i meriti acquisiti
con le sue opere professore onorario, continuò la sua carriera presso il
Reale Istituto di belle arti di Napoli. Nel 1887-88 divenne libero
docente di scultura, nel 1895 aggiunto al professore titolare di
scultura Emanuele Caggiano e infine, nel 1902, ebbe la nomina di
professore di scultura insieme con quella di preside dell'istituto,
carica questa che mantenne fino al 1915. Intanto, fino alla fine del
secolo, il D'Orsi partecipava alle più importanti esposizioni in Italia
e all'estero, dove riceveva numerosi riconoscimenti. Fra le opere
esposte in questo periodo si ricordano soprattutto: A Frisio
(Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), presentato all'Esposizione
internazionale di Nizza e a quella di Torino nel 1884; Piccolo
pescatore (Napoli, collezione del Banco di Napoli), presentato a
Londra nel 1888; Pathos, esposta prima a Torino nel 1889 e poi
all'Universale di Parigi del 1900.
A Napoli il D'Orsi fu anche autore di alcune opere monumentali. Del
1886-88 è la statua di Alfonso d'Aragona, per la facciata di
palazzo reale; del 1906-08 circa sono i due frontoni laterali in bronzo
per il palazzo centrale dell'università degli studi, rappresentanti,
quello ad oriente, La scuola di G. B. Vico, quello ad occidente,
Giordano Bruno innanzi al tribunale dell'Inquisizione; del 1911 è
infine il Monumento a Umberto I in via Nazario Sauro Altre sue
opere monumentali si trovano a Cosenza (Monumento a Bernardino
Telesio), a Venosa (Monumento a Q. Orazio Flacco), a Brienza
(Ritratto di M. Pagano) e a Lucera (Monumento a R. Bonghi).
Ancora per tutto il primo ventennio del Novecento ed oltre il D'Orsi
proseguì incessante la sua attività, anche se l'ultima produzione rimase
confinata fra il bozzettismo grottesco e patetico di opere come Pane
pesante (1917, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) e il
classicismo convenzionale di lavori come Omero sognato nel 1915
(1920) ed Eolo (1928), presentati, rispettivamente, alla XII e
XVI Biennale di Venezia.
Numerose furono le onorificenze conferite al D'Orsi da varie accademie
d'Italia: egli fu fra l'altro professore onorario dell'Accademia di
belle arti di Carrara, accademico nazionale della Reale Accademia
Albertina di Torino, accademico d'onore della Reale Accademia di belle
arti di Venezia. A queste vanno aggiunti gli incarichi di rilievo, come
quello di vicepresidente della Società promotrice di belle arti di
Napoli (denominatasi dal 1892 "Salvator Rosa"), ricoperto dal 1906 al
1910, e quello di "membro della Commissione per gli acquisti d'opere
d'arte da destinarsi alla Galleria nazionale di arte moderna in Roma".
Nonostante i riconoscimenti ufficiali, il D'Orsi visse gli ultimi anni
assillato da problemi economici, tanto che fu costretto, dopo essere
stato collocato a riposo nel 1916 per limiti d'età a ritornare a
insegnare al R. Istituto di belle arti di Napoli come supplente di
plastica della figura. Morì a Napoli l'8 febbraio 1929; a causa
dell'estrema povertà in cui versava la famiglia, i funerali furono
celebrati a spese del Comune.
(Luciana Soravia - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 41 (1992) -
treccani.it)
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