Firenze, 11/08/1895 - 1983
Nacque a Firenze l'11 ag. 1895 da Donato, impiegato delle ferrovie, e da
Maria Baud. Autodidatta, non seguì studi artistici regolari. Frequentò
tra il 1912 e il 1914 la scuola libera del nudo presso l'Accademia di
belle arti di Firenze. Nel clima culturale fiorentino fu decisivo per la
sua formazione l'incontro con il pittore Arturo Checchi, a cui lo legò
una lunga e profonda amicizia.
Nel 1914 il Dani espose per la prima volta alla mostra della Società
promotrice di belle arti di Firenze. La sua opera, una tempera dal
titolo L'orto e le case, testimoniava nella "sintesi estrema di
piani e di toni in tinte piatte" l'aspirazione a riallacciare il proprio
stile alla tradizione dei maestri dell'affresco toscano del Trecento
(Tinti, 1922). Dopo questo esordio, salutato con un certo interesse
dalla critica, il Dani fu costretto ad interrompere la sua attività:
richiamato in guerra, andò al fronte, sul Carso. Ferito per ben due
volte, fu decorato con croce di guerra. Tornato a Firenze, riprese a
dipingere nel 1920.
L'anno seguente presentò alla prima Biennale romana tre pitture di
paesaggio. Come altri artisti toscani in questo periodo, mosso da un
profondo amore per la natura dei luoghi natali, il D. fa del paesaggio
il motivo centrale della sua produzione; ricorrenti le vedute della
campagna intorno a Firenze, del Chianti, del Mugnone e soprattutto
dell'Arno.
Appartengono a questo primo momento anche alcune opere a carattere più
spiccatamente narrativo, dettate da una vena "illustrativamente giocosa
del paesaggio" (Franchi, 1940), quasi "strapaesana" (Marsan, 1983). È il
caso di Fiera a Fiesole (1920),presentata con altri dipinti alla
Primaverile fiorentina del '22. Questa esposizione ratificò il successo
del giovane Dani, collocando ufficialmente la sua pittura all'interno
della più generale tendenza dell'arte italiana al ritorno all'ordine e
al recupero della tradizione e del mestiere. M. Tinti, nella
presentazione in catalogo, sottolinea come la ricerca dell'artista,
lontana dall'adesione ad un impressionismo di maniera e ancora di più da
stilizzazioni d'avanguardia, sia tesa al raggiungimento dello "stile"
secondo l'esempio degli antichi. Iniziò da questo anno (1922)
un'attività espositiva costante che lo vide presente a tutte le edizioni
della Biennale di Venezia, fino al 1940, alla seconda Biennale romana
(1923), alla mostra della Società di belle arti di Firenze a palazzo
Pitti (1927), all'esposizione regionale d'arte toscana nei chiostri di
S. Maria Novella (1928), e ad alcune importanti manifestazioni
all'estero come il premio del Carnegie Institute di Pittsburgh. Concorse
al premio Ussi nel 1924; sempre a Firenze, nel 1926 vinse il concorso
Stibbert.
Nella seconda metà del terzo decennio si nota nella produzione
dell'artista la tendenza ad una maggiore evidenziazione dei volumi. Nei
ritratti femminili come La ragazza con la mandola (1924),esposto
alla Biennale di Venezia del 1926, o Ragazza con lo specchio
(1928), presentato poi alla III Quadriennale di Roma (1939),
l'accentuazione plastica è affidata soprattutto alla stesura del colore
per pennellate larghe e corpose, influenzata quasi sicuramente da F.
Carena, che soggiornò a Firenze dal 1924. L'accresciuto interesse per le
valenze plastiche e per la strutturazione geometrica degli elementi
compositivi portarono il Dani quasi naturalmente ad aderire nel 1926 al
"Novecento" di Margherita Sarfatti. Alla prima mostra del gruppo,
organizzata a Milano in quell'anno al palazzo della Permanente, espose
tre dipinti (L'antico ponte crollato, La cava di pietra, Il pollaio
d'inverno) che testimoniano l'influenza, oltre che di Carena, anche
dei paesaggi di Ardengo Soffici.
In seguito il Dani partecipò attivamente alla formazione del gruppo del
"Novecento" toscano costituitosi nell'ottobre del 1927 nello studio del
pittore G. Vagnetti, in piazza Donatello a Firenze. Sostenuto dal
critico R. Franchi, questo insieme di artisti si poneva in un rapporto
contraddittorio, di filiazione e al tempo stesso di latente polemica,
con il raggruppamento milanese della Sarfatti. Quest'ultima in
particolare mal tollerava il confluire delle tematiche "strapaesane" e
di recupero del purismo quattrocentesco nella poetica del "Novecento".
All'uscita ufficiale del gruppo l'anno seguente, presso la milanese
galleria Milano, il Dani figurava con dieci dipinti, che manifestavano
chiaramente l'assimilazione dei dettami novecenteschi. La sua adesione
al movimento infatti, ribadita dalla presenza alla seconda mostra di
Milano nel 1929 e alle più importanti rassegne del "Novecento"
all'estero (Nizza, 1929; Buenos Aires e Basilea, 1930;Stoccolma e
Helsinki 1931), non fu un fatto occasionale, ma una "verifica della
disponibilità delle sue sensibili strutture geometriche, mutuate dalla
rilettura dei grandi cicli trecenteschi, nel clima di un generale quanto
regolarmente composito riguardare alle proprie origini" (Marsan, 1983).
Nel 1935 il D. si arruolò volontario in Africa. Da questa nuova
esperienza di guerra nacquero una serie di disegni a penna e lapis
esposti in parte in una collettiva al teatro delle Arti di Roma e
raccolti in volume con alcuni racconti, sempre sulla campagna d'Etiopia,
pubblicati nella collezione della rivista Letteratura dall'ed. Parenti
di Firenze, sempre nel 1938. Nel corso degli anni '30 continuò la
partecipazione del Dani a numerose mostre in Italia e all'estero: si
ricordano, oltre alla personale alla Bottega, d'arte di Livorno nel 1932
(presentaz. di N. Tarchiani), le edizioni delle mostre del Sindacato
fascista interregionale di belle arti a Firenze, le prime tre
Quadriennali di Roma, la mostra di arte italiana a Budapest nel 1937 e
la Rassegna di artisti toscani in occasione della VII
Settimana cesenate a Cesena.
L'arte del Dani proseguì coerentemente sulla strada di
quell'"attaccamento alle semplici verità pittoriche" che Soffici aveva
già notato nel 1923. Oltre che ai paesaggi si dedicò alle nature morte,
presentate alla III Quadriennale di Roma e alla antologica (con opere
dal 1914, tra cui La lettera d'addio [Roma, Galleria nazionale
d'arte moderna]) allestita presso la saletta Rizzi di via Rondinelli a
Firenze nel dicembre 1939.
Dopo la seconda guerra mondiale, reduce dalla prigionia, nel 1947 tenne
una personale alla galleria Michelangelo di Firenze. Nel catalogo, oltre
alle testimonianze di simpatia per la sua pittura da parte degli amici
Checchi, Ferroni ed E. Pozzi, venne pubblicato un intervento dello
stesso Dani. Dal testo, venato da un certo pessimismo, traspare la
figura di un artista tormentato, cosciente dei limiti della propria
ricerca e al tempo stesso fiero della coerenza, di ispirazione e morale,
del suo percorso creativo. Successivamente il Dani iniziò a lavorare ad
una serie di opere con tematiche a sfondo sociale. Nel 1957 espose alla
galleria di via Tornabuoni 74 a Firenze una tavola a tempera ispirata al
disastro minerario di Marcinelle in Belgio. Nel 1961 presentò alla
galleria Goldoni, sempre a Firenze, alcuni lavori pure dedicati al tema
delle sciagure minerarie: i nove dipinti e i due disegni esposti
dovevano servire alla preparazione di un grande affresco dal medesimo
soggetto.
Morì a Firenze nel 1983.
(Nicoletta Cardano - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986) -
treccani.it) |