Pillole d'Arte

    
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Marco De Gregorio




Napoli, 12/03/1829 - Resina (Na), 16/02/1876

Figlio di Francesco de Gregorio e di Elisabetta Beato nacque il 12 marzo 1829 a Resina (ora Ercolano, in provincia di Napoli). Il pittore mutò il cognome in de Gregorio senza purtuttavia legalizzare il mutamento. Allievo dell'accademia di belle arti di Napoli dopo il 1850, vi studiò soprattutto la pittura storica. Le sue prime prove ufficiali, infatti, avevano soggetti storico-biblici come quella presentata - in qualità di alunno dell'accademia - alla mostra borbonica del 1851, Mosè che difende le donzelle ebree (oggi dispersa). Subito dopo realizzava già un'opera più moderna, Nello studio del pittore. Era di nuovo presente alla mostra borbonica nel 1859, dove espose Galileo Galilei e un Ritratto di un uffiziale dello Stato Maggiore dell'esercito in grande uniforme (oggi disperse). Per questa mostra fu premiato anni dopo, il 31 maggio 1863, con una medaglia d'argento. Alla fine del sesto decennio realizzò opere come La morte del prete e La passeggiata del prete (entrambe del 1857, ora a Napoli, Museo di S. Martino).

Repubblicano radicale in politica, nel 1860 si unì ai garibaldini e combatté sul Volturno. Qui si ritrovarono insieme vari artisti, fra cui Gonsalvo Carelli della generazione precedente, e i più giovani Michele Tedesco e Francesco Loiacono; questi ultimi probabilmente conobbero in tale occasione il De Gregorio e iniziarono allora un sodalizio che continuò con la scuola di Portici. Negli anni giovanili si può supporre che, oltre a frequentare l'accademia, il De Gregorio conoscesse da vicino la produzione di Gonsalvo Carelli e di Giacinto Gigante, di cui si colgono alcuni influssi in opere come la Veduta di "Porta Grande" dall'interno del parco di Capodimonte (ora a Napoli, Museo di Capodimonte). Tale dipinto, insieme a Strada di paese - identificato con Casacalenda (Museo di Capodimonte) -, è certamente stato realizzato fra il '63 e il '67, anno in cui risulta datato Vita di paese. Sono comuni alcuni caratteri stilistici: una sottile indagine sulla luce in rapporto all'ombra, un'analisi quasi ingenua dei particolari, la chiarezza della prospettiva, la pacatezza del racconto e infine "l'atteggiamento estatico e affatto subordinato di fronte allo spettacolo della natura" (Causa, 1966). Per questa via il De Gregorio conservava la "poesia dei lontani" di Gigante senza alcun effetto di sintesi e si avvicinava invece alla visione analitica di Palizzi. Superava così "ogni forma di evasione cara ai romantici di osservanza, sia quella sentimentale, sia quella eroico-scenografica" (ibid.).

Il De Gregorio è stato il fondatore, insieme a Federico Rossano, della scuola di Portici, anche detta scuola di Resina e dal Morelli, ironicamente, "Repubblica di Portici". Per gli inizi della scuola di Resina si può risalire al 1860-61, quando il De Gregorio - di ritorno dalle battaglie garibaldine - aprì uno studio a Portici nell'ex palazzo reale. Gli intenti dell'artista erano quelli di continuare la lezione palizziana, in contrapposizione all'orientamento di Morelli, ma con l'obiettivo di superare la stessa nozione di realismo di F. Palizzi, giudicato eccessivamente minuzioso fino alla pedanteria. Eliminando via via il chiaroscuro, i contorni netti e l'eccessiva definizione dei particolari, il De Gregorio si evolveva nella direzione di un realismo sintetico, tutto giocato sui rapporti di luce, intesi innanzitutto come rapporti costruttivi. Non si può escludere come ipotesi - anche se non se ne hanno le prove - che a spingerlo verso questa concezione più moderna di realismo abbia potuto agire, accanto alla conoscenza della pittura dei macchiaioli toscani, la fotografia. Tale svolta fu accelerata dall'arrivo a Napoli del toscano Adriano Cecioni nel 1863, che improntò l'orientamento dell'intera scuola di Portici. Dal 1863 al 1867 si ebbe il periodo migliore della scuola, grazie all'adesione di G. De Nittis e del Cecioni che costituì un importante tramite tra macchiaioli e napoletani, fornendo a questi ultimi un indispensabile apporto teorico.

L'amicizia col Cecioni indusse il De Gregorio a frequentare di tanto in tanto l'ambiente fiorentino, dove del resto aveva avuto modo di farsi conoscere, ancor giovane, all'Esposizione nazionale del 1861, insieme all'inseparabile amico Rossano. Dal 1861 alla sua morte - tranne che dal 1868 al 1871 - partecipò a quasi tutte le esposizioni della Promotrice di belle arti di Napoli. Fra le opere presentate ricordiamo: La fine di un uomo di principî (dispersa), esposta nel 1865 e acquistata dal Municipio di Napoli (dove, tuttavia, non è stata rintracciata), che riscosse aspre critiche da parte di F. Netti e di V. Imbriani; Festa al villaggio, ancora memore degli effetti di controluce di Filippo Palizzi. Nel 1868 il De Gregorio diventò socio della Promotrice e in quello stesso anno intraprese un viaggio in Egitto, da cui portò appunti, schizzi e fotografie che poi utilizzò. Da Netti sappiamo che in Egitto dipinse il sipario per il nuovo teatro del Cairo su commissione del viceré e che ebbe tanto successo da essere invitato a rimanere come direttore della scenografia in quello stesso teatro. Ritornò a Napoli nel 1871, dove riprese probabilmente la guida della scuola di Portici che, tuttavia, si avviava al suo declino. Ridotto in stato di miseria, tentò - anche su consiglio di Cecioni - di lanciarsi su un mercato diverso da quello napoletano, troppo angusto. Entrò così in contatto con il mercante francese A. Goupil e con la galleria Pisani a Firenze.

È documentata la sua presenza nel 1872 a Firenze, con De Nittis, Rossano e R. Belliazzi. Il suo temperamento poco incline al compromesso gli impedì di piegarsi supinamente alle esigenze del mercato e così non riuscì ad avere in vita quella fortuna che arrise al De Nittis. Il viaggio in Egitto, con l'esperienza diretta che comportò del mondo arabo, gli consentì di fare una piccola concessione al gusto orientalista degli anni Sessanta e Settanta, senza mai sconfinare in preziosi esotismi, ma privilegiando ancora una volta un taglio rigorosamente realista. Ai primi anni Settanta risalgono le opere: Mercato arabo (1873, Napoli, Accademia di belle arti), Fumatori di oppio (Napoli, palazzo reale), Ragazzi egiziani (Napoli, Museo di S. Martino) e così via.

Conoscitore degli scritti di M. Bakunin, che era stato a Napoli dal '65 al '67, dedicò grande attenzione al mondo contadino, che celebrò con il suo linguaggio asciutto e sincero al di fuori di qualunque retorica populista. L'anno 1873 fu particolarmente intenso: partecipò all'Esposizione universale di Vienna e realizzò molte opere fra le quali: Zappatore (Napoli, Museo di Capodimonte, Strada di Resina, Contadino di Somma (Napoli, Museo di Capodimonte), La Favorita a Portici. Intorno al 1873 il gruppo dei porticesi, con in testa il De Gregorio, si associò a Cecioni e compagni per la pubblicazione del Giornale artistico. Agli ultimi anni della sua vita appartengono poi le seguenti opere: Preti in funzione esposto alla Promotrice napoletana del 1875 e descritto da Netti, che ne lodava il carattere e l'analisi della luce; I racconti del nonno; Nella villa, che il De Rinaldis proponeva di identificare, sulla base della descrizione del Cecioni (1905, p. 78), con Nel parco di Portici, esposto alla Promotrice napoletana del 1875 e nella retrospettiva del De Gregorio organizzata dai suoi amici - e in particolare dal Belliazzi - nell'Esposizione nazionale napoletana del 1877.

Il percorso del De Gregorio è stato coerente e senza sbalzi. Nel 1875 Netti constatava che, grazie al suo spirito di "cercatore" e di "realista accanito", presentava alla XII Promotrice opere che costituivano "sempre un progresso sugli anni passati dal lato dell'esecuzione". Il suo realismo austero, che stabiliva un ponte fra F. Palizzi e M. Cammarano, costituì un punto di riferimento per le generazioni più giovani e un baluardo contro la facile pittura ad effetto di M. Fortuny. Da Cecioni sappiamo che il pittore spagnolo, rispettando le altrui scelte pittoriche, era andato nel 1874 a visitare a Portici lo studio del De Gregorio "che rappresentava in arte il suo estremo opposto".
Consunto da una grave forma di tisi tracheale, da disturbi cardiaci e da una misera vita di stenti, il De Gregorio morì a Resina il 16 febbraio 1876.

Il profilo che ne tracciò il Netti (1876, p. 230), tutt'altro che indulgente, rimane ancora oggi un punto di partenza nella valutazione della sua personalità:
"non era un grande artista, neppure bravissimo pittore nel senso tecnico della parola. Ma la sua pittura aveva tutte le qualità dell'uomo. E l'uomo era brusco, senza reticenze, senza tolleranze, tenace in una discussione, ma di una lealtà rara, di una onestà rigida ed inalterabile, di un cuore buono, aperto e ingenuo... Anche la sua pittura è così: la realtà crudamente tradotta; senza grazie, ma fedele e sincera. Prima di dire una menzogna volontaria in pittura, si sarebbe lasciato tagliar le mani".

Gran parte della sua produzione è andata dispersa. Oltre i dipinti già citati, ricordiamo: Capri (Firenze, Galleria d'arte moderna), Colazione in giardino (Napoli, Museo di S. Martino), Berretto rosso (pubbl. in Ricci-Piceni-Autiello, 1963, tav. CXII), La guglia di Fanzago (pubbl. in Ricci-Piceni-Autiello, 1963, tav. CXXIII), In terrazza (ill. in Pittori napoletani dell'Ottocento [catal., Galleria Mediterranea], Napoli 1987), Paesaggio campano (pubbl. in Pittura napoletana dell'Ottocento [catal., Galleria Mediterranea], Napoli 1980, fig. 1).

(M. Picone Petrusa - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988) - treccani.it)