Pillole d'Arte

    
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Mario De Maria ( Marius Pictor )




Bologna, 08/09/1852 - Bologna, 18/03/1924

Dapprima studiò musica, poi frequentò l'Accademia bolognese dal 1872 al 1878, studiandovi col Puccinelli. Ammiratore e seguace di Luigi Serra, raggiunse nel 1882 Roma, non senza aver visitato Germania, Inghilterra e Francia ove ammirò specialmente il Décamps ed il Troyon, ai quali sovente si accostò. Stabilitosi a Roma partecipò, dal 1886 al 1888, al movimento del gruppo "In arte libertas", capeggiato da Nino Costa, e alleato dei "Macchiaiuoli toscani" che intendevano spodestare il concetto vecchio quanto vieto del disegno lineare convenzionalmente definitivo, e di ribellarsi ai postulati frigidi della prospettiva, per amore dei valori e per venerazione del colore.

Esordì a Roma nel 1883 con Una scena di barcaiuoli, che suscitò scarso interesse. Espose ancora nella Capitale nel 1886, e questa volta ottenne grande successo con i dipinti: Ospedale degli infetti; Peste di Roma; La sentinella della morte; Il prete nero di Subiaco; Sorgente infetta; Notte nefasta; Un'ombra di luna ed altri. Da allora in poi figurò in quasi tutte le esposizioni italiane ed estere, ottenendo premi e distinzioni. Dopo il 1892 si stabilì definitivamente a Venezia partecipando alle più importanti mostre. Nel 1909 alla ottava Esposizione Internazionale di Venezia tenne una mostra individuale dove presentò trentaquattro opere.

Alcune delle sue numerose opere: "Ponte nuovo a Parigi", premiata con medaglia d'oro a Monaco di Baviera: I cipressi di Villa Massimo; Il pomeriggio di un Fauno (sinfonia); Il meriggio di un Fauno (sinfonia); Il campo Santa Maria Mater Domini; Mura cancrenata; I monaci dalle occhiaie vuote; La consolatrice; La casa di Satana a Venezia, Il cortile di San Gregorio e La luna sulle tavole di un'osteria, entrambe nella Galleria d'Arte Moderna di Roma; Chiesa e campo dei giustiziati in Val d'Inferno nel Museo Revoltella a Trieste; Autoritratto, nella Galleria degli Uffizi a Firenze; Venezia nel 1848, La fame a Venezia nel 1848, La guerra, che appartengono ad Ugo Ojetti; I crocifissi di Henni e Androne veneziano, ospitate nella Galleria d'Arte Moderna di Milano; La barca a Torsio e Le pecore a Bergfeld nella collezione Ricci Oddi di Piacenza.
 
Trenta opere del De Maria, fra le più significative della sua produzione, furono esposte in occasione della Quindicesima Internazionale, in una mostra retrospettiva organizzata dalla città di Venezia nel 1926 per onorarne la memoria e quattordici alla Mostra dei Quarant'anni della stessa Biennale Veneziana (1935).

(A. M. Comanducci)

 

Nacque a Bologna il 9 sett. 1852 da Fabio, medico e collezionista d'arte, e da Caterina Pesci. La sua famiglia era agiata e vantava una tradizione artistica consolidata: il bisnonno, musicista, era stato direttore d'orchestra a Pietroburgo, mentre il nonno paterno Giacomo, scultore neoclassico seguace del Canova, aveva insegnato all'accademia di belle arti di Bologna. Malgrado le pressioni dei familiari che lo volevano indirizzare agli studi di medicina,  seguì le sue naturali inclinazioni. manifestando interesse prima per la musica, passione mai sopita nel corso degli anni, e poi per la pittura.
Studiò tra il 1872 e il 1878 all'accademia della sua città, dove seguì con una certa irregolarità e atteggiamento insofferente, tipico del suo carattere, il corso di pittura di Antonio Puccinelli. Il De Maria si mostrava insoddisfatto dell'ambiente accademico bolognese, sostanzialmente chiuso a radicali rinnovamenti del linguaggio figurativo, ed era particolarmente sordo agli insegnamenti del suo maestro. Di fondamentale importanza per la sua formazione fu la lunga e profonda amicizia con il pittore bolognese Luigi Serra, di qualche anno più vecchio, che era stato a Firenze in contatto con i macchiaioli. Serra gli trasmise tra l'altro l'interesse per l'arte del Quattrocento, che assieme a quella del Seicento e soprattutto all'opera di Rembrandt costituirà il suo punto di riferimento culturale e figurativo. La passione per l'arte del passato, che assume in lui aspetti quasi mistici lo porterà ad accrescere di nuove opere, da Tiziano a Canaletto, la già ricca collezione di famiglia.

Spinto dal desiderio di perfezionare la sua conoscenza della storia dell'arte, iniziò ancora studente una serie di viaggi nelle maggiori città italiane ed europee, e con lo stesso Serra, con Paolo Bedini e Raffaele Faccioli nel 1873 andò a Vienna per l'Esposizione universale. Un viaggio nella capitale francese è documentato nel 1878 sempre per l'Esposizione universale. Non si hanno dati certi per definire il campo degli interessi figurativi del pittore in questo momento ed eventuali contatti con l'ambiente artistico contemporaneo: si troverà un'influenza specifica, nella produzione successiva, soltanto della pittura dei paesaggisti di Barbizon e di Decamps, suggerita peraltro dallo stesso De maria nel dipinto Omaggio a Decamps (1897 è citato dalle fonti, ma non rintracciabile). Appartengono a questo periodo i due paesaggi parigini oggi dispersi, Un boulevard - effetto notte e Pont Neuf. Assai scarsa è la documentazione su questa prima produzione dell'artista già indirizzata alla pittura di paesaggio. Secondo Pantini (1902) l'esordio espositivo del De Maria fu fallimentare: suoi dipinti furono rifiutati alle esposizioni di Bologna e di Livorno nel 1874 e nel 1876, e successivamente (1880 e 1884) anche alle mostre di Torino e Milano. Nel 1878 partecipò all'Esposizione della Società promotrice di belle arti di Bologna con il dipinto A Mezzaratta - presso Bologna.

Dopo un viaggio a Londra, nel 1882 si trasferì a Roma, accogliendo i ripetuti inviti dell'amico Serra. Nella capitale entrò in contatto con la parte più rappresentativa e innovativa dell'ambiente artistico romano che si opponeva al "mestierantismo" e ai facili effetti della pittura alla Fortuny, ormai dilagante. Preso uno studio al n. 33 di via Margutta, frequentò dapprima Vincenzo Cabianca, amico di famiglia, dalla cui ricerca derivò alcune soluzioni compositive, oltre che un certo interesse per la pittura a macchia, documentato in alcune opere di questo periodo (Sull'aia, 1885-87, Firenze, Galleria d'arte moderna). Da Cabianca fu poi introdotto nel cenacolo di Nino Costa. Frequentatore del caffè Greco ed animatore egli stesso delle serate dell' "omnibus", grazie al temperamento esuberante ed al tono sempre vivace e accattivante della sua conversazione, conobbe gli artisti della giovane generazione, da G. Cellini a N. Parisani, N. Pazzini, G. Vannicola, A. Ricci, A. Morani, oltre ai critici A. Conti e D. Angeli, a D'Annunzio e A. De Bosis. Sono anni decisivi per la maturazione artistica del De Maria, che assorbe i temi culturali della cerchia costiana e in particolare la concezione idealistica dell'arte che Conti va formulando nei suoi scritti su La Tribuna con lo Pseudonimo di Doctor Mysticus.

Il De maria ricercava un diretto contatto con la natura, durante suggestive passeggiate per la Campagna romana, per scoprire "nel vero i pensieri della natura". La sua stessa indole eccentrica lo portava ad assumere l'atteggiamento aristocratico che si voleva connaturato all'artista, distaccato dalla realtà presente, volto verso il passato e la pittura degli antichi. Fece propria, grazie alla sua spiccata sensibilità artistica, l'esigenza di rivalutazione del lavoro pittorico, l'interesse per la sperimentazione e il problema delle tecniche. In questo periodo De Maria non fu presente a mostre ufficiali tranne che all'Esposizione di Roma (1883), dove presentò i Barcaioli (disperso), e a quella della Società degli acquerellisti, pure a Roma (1885). Si dedicava tuttavia con fervore all'attività pittorica, producendo una serie di opere in cui mostrò di essere giunto alla formulazione di una sua poetica, sotto certi aspetti del tutto autonoma e sostanzialmente costante nel corso della sua carriera. Diciotto di questi dipinti presentati alla I Mostra della Società "In arte libertas", salutati come la "rivelazione" di un artista eccezionale (Levi, 1886), costituivano la parte più originale della esposizione, confermando il ruolo di protagonista che il pittore era venuto ad assumere nel cenacolo romano (Tempesta, 1979, Damigella, 1981). Accanto ad una serie di quadri solari, d'impronta più naturalistica, dedicati a luoghi di Capri, e a un insieme di paesaggi della Campagna romana, il De Maria presentava alcune scene notturne con soggetti fantastici e letterari, visioni macabre illuminate dalla livida luce della luna. La luna sulle tavole di un'osteria, 1884 (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), proponeva l'atmosfera inquietante di un locale all'aperto, sconvolto da un fatto di sangue, così come l'aveva vissuto il pittore (Ojetti, 1911).

L'attività fotografica portata avanti dal De Maria all'inizio del suo soggiorno romano, parallelamente e come supporto alla ricerca pittorica, conferma quanto la partenza dal dato reale, dal "vero", sia alla base del suo processo creativo. Il ritrovamento di un fondo di fotografie eseguite dall'artista ha reso possibile riconoscere la derivazione di soggetti e iconografle di alcuni dipinti dalle istantanee eseguite tra il 1882 e il 1887. Oltre che per l'originalità dei soggetti, le immagini del De Matia si imponevano per gli effetti chiaroscurali, richiamo alla pittura di Rembrandt, e per la potenza espressiva della materia pittorica. Nel 1886 l'artista partecipò all'edictio picta della Isaotta Guttadauro di D'Annunzio, curata da G. Cellini, con due illustrazioni per L'alunna e una per Eliana (Ediz. La Tribuna, Roma). L'anno seguente espose alla Il Mostra di "In arte libertas" una serie di dipinti i cui titoli, richiamandosi a J.A. Whistler, invece di rimandare al soggetto ritratto, ponevano in evidenza gli elementi pittorici della composizione (tra gli altri Due grigi in una scatola di gialli, Fantasia sul bruno e sul grigio, ricordati da Ojetti, 1911). La sua presenza alla mostra del Circolo artistico tedesco di piazza Campitelli nello stesso anno conferma i rapporti con gli artisti tedeschi contemporanei, in particolare con A. Boecklin, già evidenti in certe analogie iconografiche e tematiche (I cipressi di villa Massimo, 1886 [riprodotti in Pantini, 19021), presenti anche nella produzione successiva (Il meriggio di un fauno, 1910, Venezia, Museo d'arte moderna). Benché minimizzata da certa parte della critica (Pica, 1899), è innegabile una derivazione della ricerca del De Maria dalla cultura figurativa tedesca, che va interpretata come partecipazione "a quel realismo visionario", in cui in modo misterioso si opera l'unità del mondo e dell'io, l'unione tra soggetto e oggetto, che anima la cultura mitteleuropea (Tempesta, 1979).

L'artista intensificò i rapporti con il mondo tedesco a partire dallo stesso 1887 per ragioni personali: il matrimonio con Emma Voight, originaria di Brema, lo spinse a soggiornare ripetutamente in Germania, nella campagna intorno a Brema, fonte di ispirazione di numerosi dipinti (tra gli altri Una notte a Bergfeld, 1917, Piacenza, Galleria d'arte moderna Ricci-Oddi) e anche nelle maggiori città, dove fu presente alle più importanti esposizioni (Monaco 1888, 1892, 1897, Berlino, 1887 e 1891), ottenendo un notevole successo. Nei musei tedeschi potenziò la sua conoscenza dell'arte contemporanea: ancora una volta era affascinato, come scriveva a Conti e a Cabianca (in Damigella, 1981, pp. 67 s.), da A. G. Decamps, C. Corot, J. F. Millet, C. F. Daubigny. L'allontanamento da Roma, dopo il soggiorno nel settembre del 1887 a Terracina con O. Carlandi - dove lavorò tra l'altro ad una tempera murale per il Circolo artistico, oggi distrutta - coincise con alcuni dissapori, non ancora dei tutto chiariti, con gli artisti di In arte libertas, e con il conseguente distacco dal gruppo.

Nel 1892 si trasferì definitivamente a Venezia, dove prese uno studio alle Zattere; dopo un primo periodo difficile caratterizzato da uno stato depressivo, il De Maria si inserì appieno nella vita culturale della città, diventando uno dei personaggi di spicco del dibattito artistico. Per la passata esperienza romana, e i rapporti che continuava ad intrattenere con Conti e D'Annunzio, era considerato come uno dei tramiti culturali con la capitale. Partecipò attivamente, come membro della Commissione consultiva, alla costituzione della Biennale, intervenendo anche nelle discussioni sulla salvaguardia del patrimonio architettonico veneziano che ebbe in Pompeo Molmenti un accanito sostenitore. I paesaggi di Venezia, che già comparivano nella produzione giovanile, diventano il luogo privilegiato in cui sono ambientate le composizioni del De Maria, ancora caratterizzate dal gusto del macabro e dell'orrido: "Le visioni più macabre allora lo soddisfacevano come una festa" (Ojetti, 1911). Gli angoli abbandonati, le mura corrose di Venezia offrono lo scenario naturale al suo mondo fantastico ed onirico, che a volte è popolato da piccole figure umane, simili a fantasmi. Nel 1894, firmandosi per la prima volta "Marius Pictor", anche per distinguersi da E. De Maria Bergler, espose alla Triennale di Milano il Fabbricante di scheletri (riprodotto in Pantini, 1902), per il quale la critica avanzava i nomi di E. A. Poe e di E. T. A. Hoffmann. L'anno seguente progettò con B. Bezzi la facciata effimera del padiglione principale, detto "Pro arte", della prima Esposizione internazionale di Venezia: di impostazione classicheggiante, lontana dai tipi di architetture neogotiche che comparivano nei suoi quadri, fu sostituita soltanto nel 1914.

A partire dalla metà dell'ultimo decennio del secolo si nota un ulteriore approfondimento, nella ricerca del De maria, degli elementi idealistici, a cui non è estranea l'amicizia con Vittore Grubicy, che si data dal 1899. Le dichiarazioni dell'artista che si ritrovano nella letteratura (Pantini, 1909; Ojetti, 1911) e il suo scritto La luce di Rembrandt, in Il Marzocco del 29 genn. 1911, testimoniano una concezione "mistica" dell'arte. La creazione artistica può avvenire soltanto in uno stato di particolare eccitazione nervosa, di trance, in cui il pittore, manipolando la materia pittorica riesce a rendere l'emozione della visione iniziale. Nel corso della sua attività egli perfezionò la ricerca di una tecnica adeguata alle "idee" espresse, usando materiali naturali e preziosi, sperimentando lui stesso miscele appropriate che dessero la garanzia dell'inalterabilità, stendendo sopra il dipinto a tempera degli strati successivi di velatura che rendevano la materia pittorica preziosa come quella degli smalti antichi. Dal 1895 partecipò, pressoché costantemente sino al 1932, alla Biennale veneziana; a quella del 1909 (VIII) ebbe una mostra individuale. Fu presente alla Triennale di Torino (1898) e di Milano (1900; continua fu la partecipazione alle edizioni delle mostre nel Glaspalast di Monaco, dove G. Cairati aveva ordinato nel 1900 la sala delle Corporazioni dei pittori e scultori, cui il De maria aveva aderito nel 1899. Dopo il 1905, in seguito alla morte tragica della figlia Silvia, il De maria attraversò una nuova e più grave crisi depressiva, che rese necessario il ricovero in una clinica a Berna. Di questo momento resta presso gli eredi a Venezia un diario con minuziose annotazioni sulla sua salute psichica e una serie di disegni di animali eseguiti allo zoo di Berna.

Tornato a Venezia, si dedicò al progetto e alla costruzione (terminata nel 1913) di una casa in memoria della figlia, simbolicamente allusiva nelle tre finestre - i tre "oci" - ai superstiti della famiglia, lui stesso, la moglie, il figlio Astolfo (la casa esiste tuttora; per i disegni si veda Scotton, 1983, pp. 405; foto d'epoca in de Guttry-Maino-Quesada, 1985, p. 179). Si fece più frequente a partire da questo momento l'abitudine del De maria di ritornare sui vecchi dipinti, correggendoli "per rivelare altri sentimenti", pur lasciando intatta la linea primitiva della composizione (Conti, in catal. Biennale di Venezia, 1926, p. 111). Dopo il primo decennio del secolo il De maria mostrò progressivamente un atteggiamento di chiusura di fronte ad un ambiente artistico che stava mutando radicalmente. Nel 1911, attraverso Grubicy, conobbe C. Carrà a Milano; aderì nello stesso anno alla Mostra d'arte libera nel padiglione Ricordi a Milano, dove esponevano, oltre a Carrà, U. Boccioni e L. Russolo. Non sono state finora sufficientemente indagate le ragioni della iniziale simpatia verso questi giovani artisti. Di fatto ogni rapporto si ruppe poco dopo la mostra milanese, quando la facile polemica futurista contro l'arte passatista si scagliò nel 1913 contro le pitture del De Maria dalle pagine di Lacerba (cfr. anche C. Carrà, Il rinnovamento delle arti in Italia [1945], Milano 1978, p. 560). Amareggiato, l'artista visse i suoi ultimi anni tra Asolo e Venezia. Morì a Venezia il 18 marzo 1924. Due anni dopo gli fu dedicata una mostra postuma alla Biennale di Venezia, presentata dall'amico A. Conti.

Nicoletta Cardano - Dizionario Biografico degli Italiani - Vol. 38 - 1990 (treccani.it)