Pillole d'Arte

    
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Beppe Del Chiappa



Firenze, 1883 - Torino 1950

Beppe Del Chiappa - nato a Firenze nel 1883 - è torinese d'adozione dal 1908. Non è un giovane prodigioso, non è un artista famoso. Vive solitario, nella sua piccola casa ridente con la sua sposa e con la sua malinconia. Il quartierino è al quinto piano di un palazzone di via Cernala. La stanza da lavoro al sesto, sopra i tetti. Beppe del Chiappa ama star lontano dalla folla e in alto. A guardarlo, diritto e cortese e corretto, in mezzo al suo studio, tra le sue opere incorniciate di argento, vien di pensare a un altro mesto e diritto e cortese uomo che l'avrebbe amato, per la sua anima e per le stranezze della sua arte: a Guido Gozzano. Beppe del Chiappa è pallido come Gozzano: e, sulle sue labbra erra, come su quelle cosi esangui del nostro sempre vivente Morto, un indefinibile sorriso. Ma gli occhi dell'artista ?come quelli di Guido? sono sinceri e vivi e pieni di bontà.

Sembra impossibile che il bravo allievo della R. Accademia di B. A. di Firenze, l'assiduo degli Uffizi, l'innamorato del periodo raffaellesco fiorentino e primaverile, il venerabondo di Giotto, di Andrea del Castagno e di Fattori si sia traviato ?direbbe un professore di disegno? fino a questo punto.

Beppe Del Chiappa sa quello che vuole. Parla: «Ho lavorato, mi sono sfaticato, ho consumato colori e tele per dieci, quindici anni alla ricerca del bel disegno, del bel colore, del bel pezzo di vero in perfetta luce, secondo tutte le leggi della grammatica e della sintassi pittorica. E qualcosa ho fatto. Paesaggi prospetticamente esatti, con le loro ombre postate e con i toni a posto; ho dipinto ritratti di belle signore, di donne eccentriche, eleganti e pallide di una rassomiglianza fotografica. . . Badi che io rispetto ed ammiro Sargent e Boldini e Blanche e Whistler e Grosso e più ancora quei formidabili antichi ritrattisti dai quali questi contemporanei derivano modi e forme. Ma tutte le volte che firmavo un'opera, allora, mi sentivo inquieto e disgustato, quasi avvilito. Nato e cresciuto in mezzo ai capilavori, con negli occhi la purezza dei Della Robbia e di Fra Giovanni che cosa potevo fare io schiacciato da cosi epiche grandezze ?
Io mi sentivo ?fino da giovinetto? incline al fantasticare. Dipingendo un paese o una persona mi astraevo, invincibilmente, dalla materialità del luogo, dalla carnalità, dal fisico dell'individuo. . . Ero straziato. . . Oggi dopo tanta pena, mi sembra di aver trovato il mio viottolo. Cerco anime. Mi par di trovarle. . . E dipingo, con la coscienziosità tecnica dei miei tempi scolastici, studio sempre l'anatomia, studio le pieghe, cerco gli impasti migliori. Sono lento, al lavoro, e incontentabile».

Beppe del Chiappa non è un pittore mancato che dipinga, per illudersi o per illudere, stramberie e fantasticherie letterarie di seconda o di terza mano e non è, ci pare, neppure uno di quei molti artisti che non avendo niente nel cranio, tentano di tradurre sulla tela, con segni volutamente puerili, stiracchiati, grotteschi colorati. E' semplicemente un onesto calmo artista, che a metà ormai del cammino della vita, ha trovato attraverso prove e riprove il suo stile. Esso è e può essere discutibile come tutti gli stili, forse è una mistura d'altre scritture pittoriche, ma è certo interessante.

A guardare i quadri di Beppe del Chiappa si pensa alla verità di G. Baudelaire: «L'art pur c'est crèer une magie suggestive contenant a la fois l'objet et le sujel, le monde extérieur a l'artiste et l'artiste a lui mème». Il pittore del Chiappa, che è un toscano spaesato, tuffato nell'indeterminatezza grigia e fredda dei cieli e delle nebbie del nord, è paesista, ritrattista e decoratore. Decoratore nel più buon senso della parola. Degas nelle ballerine dipingeva con superba verità di segno e con grassi impasti le sudate, estenuate, volgarissime proletarie della grazia. Tutta la carne. Tutta la fatica. Degas le vedeva avvolte nelle garze, nell'aria rossa e pesante del gaz. Del Chiappa le sue ballerine le immagina e le dipinge invece come dipingerebbe i delicatissimi fiori. La carne, l'abito, la posa non sono che mezzi per esprimere il suo sentimento che è quasi sempre musicale, su tre toni: il roseo della carne, il rosso o il nero della seta e del velluto, il grigio dello sfondo. E al sentimento, il moderno ma non modernista nostro pittore, aggiunge il tristo e triste segno del tempo, la tragica passione delle nuove generazioni, eroiche e malate, operose e sognanti. La sua pittura è disinteressata, cerebrale e voluttuosa. L'inconfessata ansia nostra si riflette nelle sue figurazioni languide, malate, artificiose. La donna domina i suoi sensi, il suo spirito.

La pittura non è per Beppe del Chiappa imitazione e contraffazione del vero: è poesia. Qualche volta umile poesia, ma sempre poesia. Ed è forma e luce. Bella forma e luce calma. Lux lucei.

(Da un profilo di Emilio Zanzi - Fiorentina Primaverile 1922)