Alessandria d'Egitto, 13/08/1887 - Viareggio, 16/05/1971
E' nato ad Alessandria d'Egitto nel 1890 (?), da genitori italiani. Da
sè stesso studiò la pittura e particolarmente la xilografia, alla quale
ha
saputo conferire, mediante colorazioni e modulazioni sapienti di
chiaroscuro, una ricchezza tecnica inusitata od accenti espressivi
novissimi,
specialmente in vista dell'evidenza plastica. Sulla trama di soggetti
spesso letterari, il Di Giorgio tesse armonie decorative squisitamente
raffinate. Stampe del Di Giorgio sono possedute dalla Galleria degli
Uffizi di Firenze, dalla Moderna di Roma, di Bologna, di Lucca e da
quella
Imperiale di Tokio. E' «invitato» alla Biennale di Venezia.
(Mario Tinti - Fiorentina Primaverile 1922)
Figlio di Giuseppe e di Giuseppina Sciffo, di origine siciliana, nacque
ad Alessandria d'Egitto il 13 ag. 1887. Dopo aver compiuto gli studi
classici, si trasferì in Italia dove dal 1904 al 1911 frequentò
l'accademia di belle arti di Firenze, dedicandosi soprattutto
all'incisione sotto la guida di A. De Carolis. Durante gli anni
dell'accademia conseguì due premi di incoraggiamento per viaggi di
studio a Venezia e, in seguito, completò la propria formazione artistica
con brevi soggiorni a Siena e a Roma. Dal 1912 al 1914 risiedette con la
famiglia a Monaco di Baviera, dove iniziò l'attività di incisore.
Praticò fin dagli inizi la cosiddetta xilografia originale, riportata in
auge da A. De Carolis e E. Cozzani, fondatori nel 1912 della
Corporazione italiana degli xilografi, un'associazione che si proponeva
di svincolare la xilografia da una funzione meramente illustrativa,
ponendola in continuità con la grande tradizione incisoria italiana del
Cinquecento e valorizzandone altresì l'impegno artigianale contro le
nuove tecniche di riproduzione fotomeccanica. Fra il 1913 e il 1914 il
D. fu tra gli illustratori della rivista L'Eroica, diretta da E. Cozzani,
che costituiva una delle più prestigiose ed esclusive rassegne di
xilografia originale dell'epoca. L'influsso dello stile del maestro è
evidente in alcuni di questi primi lavori, quali L'Annunciazione (L'Eroica, III [1913]),
t. 3, 1, p. 10, L'Alba della gloria (ibid., III [1913], t. 1, 3-4, p.
103), ma soprattutto l'Autoritratto (ibid., IV [1914], t. 2, 3,
p. 19; cfr. L'Eroica. Una rivista?, 1983, tav. 38), che
nell'impostazione della figura e nell'ispirazione neorinascimentale
della composizione ripete fedelmente lo schema dell'Autoritratto del De
Carolis del 1904 (cfr. ibid., tav. 40).
In seguito, tuttavia, egli si allontanò dal virtuosismo retorico e
ridondante da cui era partito, giungendo a una sempre maggiore
stilizzazione delle forme. Quanto ai soggetti il Di Giorgio abbandonò
ben presto i temi letterari di ispirazione dannunziana e si dedicò a un
recupero di figure e immagini di gusto esotico e vagamente
arcaicizzante. Dal punto di vista della tecnica grafica egli sperimentò
e semplificò in maniera originale i vari procedimenti tradizionali,
ottenendo ad esempio xilografie a chiaroscuro o a colori mediante la
successiva inchiostrazione, con diverse tinte, di una sola matrice; tale
procedimento era a volte arricchito dall'applicazione di motivi
decorativi ritagliati da sottili lamine d'oro (Sapori, 1921).
Come incisore, fu presente a varie rassegne nazionali e internazionali:
a Levanto alla Mostra xilografica del 1912, a Bologna nel alla Mostra di
bianco e nero, a Roma nel 1921 e nel 1923 alla I e II Biennale, a Monza
alla I Esposizione internazionale delle arti decorative del 1923 e,
nello stesso anno, alla Mostra di belle arti di Torino. Sempre nel 1923,
a Parigi, si inaugurò la prima mostra personale, al Cercle des Alliés en
Faubourg Saint-Honoré, con la quale il Di Giorgio si segnalò
all'attenzione della critica francese con xilografie come: La morte
del re barbaro e il Maggio in Versilia (cfr. anche
L'Eroica [catal.], p. 72 n. 109; Marotti, 1971, p. 128). Dal 1912 al
1940 (con l'esclusione del 1934) prese parte regolarmente alle Biennali
di Venezia, prima come incisore e poi anche come pittore, distinguendosi
in particolare nell'edizione del 1928 con la litografia Ritratto del
duce (Polidori, 1932). Fra le opere presentate a Venezia si
ricordano, oltre ad alcuni monotipi quali Raccoglimento (1928)
e Fanciullo malato (1931), caratterizzati da calcolati passaggi
di tono che conferiscono rilievo plastico alle figure, le numerose
litografie, soprattutto profili e ritratti, come il Ritratto del
poeta Enrico Pea (1926) e la Testa di marinaio (1932), i
cui volumi levigati e torniti sono precisamente ritagliati dalla linea
continua del contorno. Ma è in xilografie come Gli ebrei
(1914), Maternità (1922), L'oiseau bleu (1923) che si
evidenzia il rifiuto delle contaminazioni pittoriche così come di ogni
virtuosismo effettistico; tale ricerca di una maggiore semplificazione
formale lo portò a preferire al tratto sottile del bulino quello marcato
e sintetico della sgorbia.
Dopo il successo ottenuto dalla mostra personale di incisione,
organizzata a Roma nel 1926 dalla rivista Fiamma, il Di Giorgio venne
incaricato, nell'aprile dello stesso anno, d'insegnare litografia e
decorazione nell'Istituto d'arte per la decorazione e illustrazione del
libro ad Urbino. Dal 1930 fu anche direttore dello stesso Istituto
nonché insegnante di xilografia. Nel 1934 venne trasferito come
insegnante di disegno dal vero all'istituto d'arte di Napoli, di cui fu
dal 1954 al 1960 anche preside. A partire dal 1930, aveva affiancato
all'attività d'incisore anche quella di pittore (soprattutto di ritratti
e nature morte) e continuava a partecipare a mostre in Italia e
all'estero: nel 1927 alla Mostra internazionale di incisione moderna di
Firenze, nel 1931 alla Mostra d'arte "Settimana italiana" di Atene, nel
1935 alla personale a Livorno, ancora nel 1935 e poi nel 1938 e nel 1939
alle mostre del Sindacato interprovinciale fascista di belle arti di
Napoli, nel 1937 alla personale a Viareggio e alla Mostra d'arte
italiana e contemporanea a Berlino, nel 1939 alla III Quadriennale di
Roma e, sempre nel 1939, al Concorso nazionale di pittura a San Remo, in
cui risultò vincitore con un Ritratto di signora, ora alla Galleria
nazionale d'arte moderna di Roma.
"La sua pittura rammenta Renoir e la sua architettura è pure a prima
vista di gusto piuttosto ottocentesco: ma ad un esame meno superficiale
rivela una freschezza e un'ironia, cordiale però, moderna. Bello il
personaggio, nel gran ritratto, bella la stoffa, bella la natura morta,
bello il cane ..." (L. Borgese, Ritratti e scultura ... in una
importante mostra ... in San Remo, in L'Ambrosiano, 24 luglio 1939).
Gli ultimi anni di attività del Di Giorgio furono dedicati quasi
esclusivamente alla pittura, anche a causa di un incidente che lo privò
dell'uso della mano sinistra. Dopo il 1940, comunque, divennero meno
frequenti le occasioni di esporre le proprie opere: l'ultima mostra di
incisioni e disegni fu organizzata a Napoli, dove egli visse appartato
per molti anni, alla Galleria del "Ponte" insieme allo scultore A.
Selva. Nel 1969, per le precarie condizioni di salute, si trasferì a
Viareggio, dove risiedeva la famiglia e dove morì il 16 maggio 1971.
Le opere del Di Giorgio figurano attualmente presso alcune gallerie e
musei italiani e stranieri, fra cui la Galleria d'arte moderna di
Milano, il Museo Revoltella di Trieste, il Gabinetto di disegni e stampe
degli Uffizi, la Galleria d'arte moderna di Torino, la Galleria
nazionale di pittura di Atene, il Museo nazionale d'arte moderna di
Tokyo e il Museo d'arte moderna della città di Buenos Aires. Numerosi
dipinti si trovano inoltre presso collezioni private a Napoli e a Roma.
(Luciana Soravia - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 40 (1991) -
treccani.it) |