Verona, 0/04/1874 - 04/10/1949
E' veronese, della città che dette i natali ad un'altro pittore
anch'egli soavemente mistico: Stefano di Zevio. Nacque nel 1874 e studiò
con Napoleone Nani. Lo chiamano «il Mistico» nome che è bene
appropriato, non soltanto all'arte, ma anche alla personalità,
all'indole del Donati; poichè veramente egli - uomo la cui modestia, e
vorremmo dire umiltà, è pari al genuino, intrinseco valore - può
paragonarsi agli antichi, più intimi lirici del pennello - uomini quasi
sempre modesti e semplici - che rivissero con intensità e schiettezza di
spirito il Poema cristiano e ne fecero ripalpitare nella loro arte tutta
l'essenza, insieme divina ed umana.
Vi sono gli artisti pseudo-mistici, pseudo-religiosi, per i quali l'arte
sacra è soltanto una illustrazione iconografica, possibilmente
circonstanziata di precisi riferimenti storici e archeologici delle
Scritture; nelle loro opere manca, però, ciò che è l'intrinseco,
l'essenziale dell'arte religiosa: la commozione mistica, quel palpito di
umanità commossa di sé stessa, del proprio destino e insieme del mistero
e del dramma della vita, senza del quale i personaggi sacri, presi a
raffigurare, non sono che le comparse esose e scipite di una qualsiasi
messa in iscena.
Anche a non essere panteisti, si sa che il divino può essere in ogni
cosa in ogni forma, se viste con quello spirito superlativamente
commosso e poetico che è alla radice di ogni eletta arte: per il pittore
vero artista ogni pennellata è un atto di devozione e di omaggio reso
alla vita «bella e buona» - come diceva Socrate: - alla divinità della
vita. Solo se possiede un tale tesoro di umanità, l'artista imprendendo
a distinguere storie religiose potrò fare arte religiosa.
Ora cotesto dono il Donati lo possiede indiscutibilmente. Ve ne sono
riprove lampanti nell'arte sua: quella di saper prestare sentimento
religioso anche a fatti soltanto umani; e, a riscontro, quella di saper
trasportare in un'attualità palpitante anche fatti sacri, la cui
trascendenza e solennità sembrerebbero essere remotissime, ormai, dallo
spirito così avvelenato di positivismo e tanto digiuno di sentimento
poetico e favoloso della vita moderna. E tutto ciò si congiunge nel
Donati ad una facoltà fuor della quale non esiste vera arte: l'efficacia
e padronanza dell'espressione, l'evidenza e l'armonia della forma.
Egli è un «maestro» nel senso originario e più vero della parola:
esperto di tutte le tecniche - specialmente quella che fu un tempo vanto
glorioso dell'arte italiana - l'affresco; - le quali egli insegna,
insieme ad ogni altra norma dell'arte, alla Scuola di Arte Applicata di
Verona. Ha affrescato varie chiese e cappelle del Veneto: la «Cappella
dei Caduti» a Verona, quella di Santa Croce del Breggio nel Trentino, e
quella «Cappella della Vittoria» nel Sant'Apollinare di Ravenna, nella
quale ha saputo elevare le figurazioni della nostra guerra cosi
acerrimamente realistica e moderna al cielo poetico dell'epos e della
storia, senza cadere tuttavia nel retorico e nel manierato, trovando
quel difficile quid medium fra la realtà e lo stile in che consistono,
appunto, il segreto e la misura della trasfigurazione artistica.
Il Donati ha esposto altresì nelle principali mostre italiane ed estere;
alla Internazionale di Venezia e alla recente Mostra d'Arte Sacra, dove
una sua originale «Via Crucis» ottenne la medaglia d'oro.
(Fiorentina Primaverile - 1922)
|