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Assisi (Pg), 09/11/1886 - Roma, 20/05/1965
Nasce da Emma Tini, di
famiglia gentilizia, e da Gustavo, ricco proprietario terriero. In
giovinezza compie studi classici e si laurea in Scienze politiche e
coloniali presso l'Università di Roma.
Dopo il 1913 vive a Roma, si impiega presso il Credito italiano e inizia
a prendere contatto con l'ambiente artistico e culturale della capitale,
frequentando la Casa d'Arte Bragaglia e la "terza saletta" del
Caffè Aragno.
La passione per la pittura si manifesta intorno al 1919. Sono di questa
data i primi timidi paesaggi e molti disegni, spesso legati a una vena
fantastica e surreale, vicina a quella dell'amica Edita Zur-Muehlen
Broglio, pittrice e animatrice di "Valori Plastici ".
Nel 1921 Mario Broglio gli offre la possibilità di esporre nella mostra
Das junge Italien che tra la primavera e l'inverno di quell'anno è
ospitata in varie città tedesche. Dalle carte dell' "Archivio di Valori
Plastici" risulta che alcuni quadri di Francalancia entrano a far parte
della "quadreria" che Broglio mette in piedi a fini commerciali insieme
a Mario Girardon, finanziatore della rivista.
Nel 1922 è nuovamente
Mario Broglio ad appoggiare l'amico presentando un suo gruppo di opere
esposto alla "Fiorentina Primaverile" insieme alle altre del gruppo di
"Valori Plastici". In questo periodo Francalancia abbandona l'impiego in
banca per dedicarsi interamente alla pittura. Nel corso degli anni Venti
espone alla Biennale romana ( 1925) e a varie mostre del "Novecento
Italiano". La prima personale è del 1928, alle "Stanze del libro" in
Piazza Rondanini. Trentatré le opere esposte, dai paesaggi dell'Umbria e
del Lazio, alle nature morte, agli interni. Propiziatore della mostra è
il collezionista Angelo Signorelli, autore anche di una presentazione in
catalogo. Nel giro di pochi giorni quasi tutti i dipinti vengono
venduti, tra gli acquirenti troviamo Alfredo Casella che si aggiudica
due paesaggi e l'interno malinconico. Notevole anche l'attenzione della
critica.
Francalancia ha ormai un posto riconosciuto nel panorama
artistico romano, quando nel 1929 espone alla prima mostra Sindacale
viene accolto da Roberto Longhi con il nomignolo "la clarissa del Banco
di Roma", per ricordare i suoi trascorsi lavorativi e la sua tendenza a
una pittura contemplativa, eppure alcuni dei suoi dipinti (ad esempio il
Ritratto di Sergiacomi) rivelano strane assonanze anche con il versante
più espressionista della "Scuola romana", tanto che alla Seconda
sindacale (1930) li troviamo nella stessa sala di quelli di Mafai e
Scipione. La partecipazione alla Quadriennale(1931), alla Biennale di
Venezia del 1932, la vittoria nello stesso anno del premio per l'Arte
Sacra a Padova, segnano un momento di buoni successi. Il suo nome è
ormai regolarmente affiancato a quelli di Trombadori e Donghi
all'interno delle ricerche del "realismo magico", anche se ormai la
fortuna di questo tipo di pittura comincia declinare. Anche un critico
fine come Alberto Francini , recensendo la Biennale del '32, preferisce
usare la definizione denigratoria di "metafisica addomesticata" .
Tra il
1933 e il '34 Francalancia soffre di una malattia nervosa che lo
costringe a durissime cure cliniche e a lunghe soste nel lavoro. Nel
1935 lo troviamo con tre dipinti alla II Quadriennale romana. Riprende a
dipingere intensamente, lavorando sui temi consueti: i paesaggi umbri e
laziali, la natura morta, la veduta romana. Negli anni successivi le
mostre più importanti si tengono a Roma alla galleria delle Terme (1942)
alla "Palma" (1951) alla "Tartaruga" (1956), alla "Nuova Pesa" (1964).
Nel dopoguerra continua ad essere apprezzato soprattutto come
paesaggista, ottenendo in questo campo alcuni riconoscimenti (Villa S. Giovanni 1957, Acitrezza 1961) Nel catalogo di una personale alla
galleria "Il Camino" pubblica per la prima volta uno scritto sulla
propria pittura, scelto tra le centinaia di fogli che da anni riempie di
appunti, aforismi, pensieri: "L'opera d'arte non deve far rimanere
perplesso e sorpreso lo spirito di chi osserva, come di fronte a qualche
cosa di eccezionale e di incomprensibile, ma deve destare un sereno
sentimento di commozione tanto profondo e invadente quanto più è
espressa la commozione che l'artista prova davanti alla natura./.../".
(da
scuolaromana.it)
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