Napoli, 16/07/1852 - 01/02/1929
Nacque a Napoli il 16 luglio 1852 e, quando aveva appena un giorno, fu
deposto nella ruota dello Stabilimento dell'Annunziata. Il 30 luglio
venne affidato a Giuseppina Baratta, moglie di Giuseppe Bes. Dopo la
morte del marito, la Baratta nel 1863 sposò Francesco Jadicicco, di
professione muratore, quel "Mastro Ciccio" tante volte raffigurato nella
produzione plastica del Gemito. Di indole irrequieta e prepotente, il
Gemito trascorse un'adolescenza povera e turbolenta, legandosi di
assidua consuetudine con il coetaneo Antonio Mancini, detto Totonno,
anche nelle precoci esperienze artistiche. Frequentò gli studi di due
scultori: Emanuele Caggiano e, a dodici anni, di Stanislao Lista,
promotore dello studio del vero nella scultura. Nel 1864 fu ammesso a
seguire i corsi del Regio Istituto di belle arti, ma cercò piuttosto
ispirazione nei vicoli del centro antico e nel circo Guillaume allogato
al teatro Bellini. Risale al 1868 il suo esordio alla mostra della
Società promotrice di belle arti di Napoli dove espose il Giocatore.
Insieme con altri artisti ribelli all'arte ufficiale il Gemito prese in
affitto uno studio nell'ex convento di S. Andrea delle Dame. Qui presero
forma le delicate testine in terracotta datate 1870-72 e conservate a
Napoli, mirabili per vivacità di sguardi e naturalezza di atteggiamenti,
quali Moretto, Scugnizzo e Fiociniere (collezione del Banco di
Napoli), Malatiello e Fanciulla velata (Museo nazionale di
S. Martino). Nel 1871, al concorso annuale per il pensionato artistico
romano, il Gemito si classificò al primo posto con il rilievo
Giuseppe venduto dai fratelli (Napoli, Galleria d'arte
dell'Ottocento dell'Accademia di belle arti) giustificando la stima del
professore di pittura Domenico Morelli. Per il saggio di statuaria
realizzò Bruto (terracotta: Roma, Galleria nazionale d'arte
moderna), la sua prima immagine dichiaratamente collegata al mondo
antico che andava studiando al Museo nazionale di Napoli.
Nel 1873 conobbe Matilde Duffaud, che divenne sua convivente nonché
modella nel nuovo studio sulla collina del Mojarello, a Capodimonte.
Dello stesso anno sono i busti bronzei raffiguranti D. Morelli e
G. Verdi e quelli in terracotta raffiguranti F.P. Michetti
(Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) e Toton l'amico mio.
Quest'ultimo fu acquistato dal pittore spagnolo Mariano Fortuny allora
residente a Portici, del quale il Gemito nel 1874 eseguì il busto per la
tomba al cimitero del Verano a Roma. A questo periodo risale anche il
Ritratto di GuidoMarvasi (Napoli, collezione del Banco di Napoli).
Nel 1876 trasferì lo studio nei pressi del Museo nazionale, che
frequentò da allora regolarmente copiandone le sculture di Pompei ed
Ercolano. L'anno seguente partecipò all'Esposizione nazionale di belle
arti di Napoli e al Salon parigino dove, presente per interessamento del
noto mercante Alphonse Goupil, ottenne buon successo di pubblico, in
particolare, per il Gran pescatore o Pescatore napoletano,
in bronzo a grandezza naturale (Firenze, Museo del Bargello). Il Gemito
scelse il fanciullo del popolo quale costante iconografica della sua
produzione grafica e plastica sin dal Giocatore e il corpo di
adolescente nudo al sole quale banco di prova di un'appassionata
costruzione plastica e volumetrica.
Trasferitosi a Parigi nel 1877, riunitosi con l'amico Mancini e
raggiunto dalla Duffaud, ottenne il successo mondano ma non il benessere
economico, per un'incauta amministrazione. Eseguì il Ritratto di
Cesare Correnti commissario italiano all'Esposizione universale
parigina del 1878. Al Salon del 1878 presentò due busti in bronzo:
quello ricoperto d'argento del pittore G. Boldini, allora
residente a Parigi, e quello di J.-B. Faure, cantante e
collezionista degli impressionisti; al Salon seguente, dove ottenne la
medaglia di terza classe, espose il Ritratto del dottor Landolt
(gesso) e quello del pittore Federico de Madrazo (terracotta:
Venezia, Museo Fortuny); a quello del 1880 espose il ritratto in bronzo
di Paul Dubois, scultore e direttore dell'École des beaux-arts, e
meritò la medaglia di seconda classe per la statuetta bronzea a figura
intera Ritratto di G.L. Ernesto Meissonier. Quest'ultimo ritratto
segnala particolarmente l'indirizzo stilistico parigino sotto
l'influenza del modello di Meissonier, pittore ufficiale di costume e di
storia, che fu per il Gemito precettore, mecenate e ospite nella villa
di Poissy e nello studio di Parigi. Il Ritratto di Meissonier fu
nuovamente esposto nel 1880 a Torino alla IV Esposizione nazionale di
belle arti insieme con il busto bronzeo di Amedeo d'Aosta, duca
di Genova, commissionatogli dalla colonia italiana a Parigi e conservato
nel palazzo reale di Napoli.
Tornato definitivamente a Napoli all'inizio del 1880, il Gemito lavorò
senza tregua per più di un anno all'Acquaiolo (bronzo: Roma,
Galleria nazionale d'arte moderna), dalla posa sbilenca e malferma per
un gioco di membra in movimento eppure statiche. Rilettura del Fauno
danzante di Pompei e riprodotta in innumerevoli esemplari, l'opera fu
composta a ricordo della città partenopea su commissione, tramite
Filippo Palizzi, di Francesco II di Borbone, l'ex re di Napoli esule a
Parigi.
Morta precocemente Matilde per tisi nell'aprile del 1881, il Gemito si
ritirò per alcuni mesi a Capri disegnando molti ritratti dal vero, sulla
scorta dei quali modellò Rosa (esposta al Salon parigino del
1882). L'anno seguente sposò Anna Cutolo, detta Nannina, la modella di
Domenico Morelli; e nel 1885 nacque la figlia Giuseppina: moglie e
figlia saranno entrambe ispiratrici di opere del Gemito.
Nel 1883 fu esposto alla Promotrice napoletana il bronzo Il filosofo
con la dicitura "Nec plus ultra": se l'opera appare una scultura
antica ispirata alla Testa dello Pseudo-Seneca del Museo archeologico
napoletano, le sembianze ricordano quelle di Mastro Ciccio, l'amato
anziano patrigno. Nello stesso anno ad Anversa furono tributati al
Gemito due diplomi d'onore accompagnati rispettivamente dalla medaglia
d'argento e da quella di prima classe; due anni dopo, nella stessa
città, all'Esposizione universale lo scultore ottenne la medaglia di
prima classe con una rappresentativa selezione di opere, tra cui la
prima copia del Narciso rinvenuto a Pompei.
In seguito il Gemito manifestò i sintomi di un esaurimento psichico
(causato dalle vicende personali, dall'insoddisfazione dei risultati
raggiunti, dall'ossessiva ansia di superare se stesso) che lo portò al
ricovero. Fuggito nel 1887 dalla casa di cura Fleuret, si segregò
nell'abitazione di via Tasso per trascorrervi, tra deliri, digiuni e
allucinazioni, circa un ventennio, nel corso del quale si dedicò
prevalentemente alla grafica, alternando momenti lucidamente creativi a
periodi di solitaria alienazione.
Nel contempo il successo internazionale dell'artista era ormai solido e
accompagnato da riconoscimenti ufficiali: a Buenos Aires, nel 1886,
vinse la medaglia d'argento di prima classe; a Parigi, nel 1889 e nel
1890, il grand prix per la scultura; ad Anversa, il diploma d'onore nel
1892; a Parigi, nuovamente il grand prix nel 1900. In occasione della V
Esposizione internazionale biennale di Venezia del 1903, il Gemito ebbe
l'onore di esporre nella sala del Mezzogiorno insieme con Morelli.
Inoltre, Achille Minozzi, amico e appassionato collezionista dell'opera
gemitiana, volle consacrare la sua raccolta pubblicando nel 1905 una
monografia lussuosa scritta da Salvatore Di Giacomo.
Morte la madre e la moglie, il Gemito riprese la vita pubblica nel 1909:
per consegnare il Pescatorello, richiestogli per la regina
Margherita da Elena d'Orléans, duchessa d'Aosta, e per esporre, su
incitamento di questa, alla VIII Biennale di Venezia i disegni di
ambiente popolare napoletano che ne riconfermarono il successo mondiale.
Allo scorcio del secolo appartiene la produzione incentrata sulla figura
femminile: ritratti di popolane, le "zingare", riprese da sole o con
bambini nelle attitudini quotidiane e nella vitale gestualità (Maria
la zingara, Nutrice, Carmela: Napoli, collezione Minozzi). Inoltre
eseguì numerosi disegni famigliari e autoritratti di grande potenza
simbolica e passionale (Autoritratto con Matilde Duffaud,
1880-81, sanguigna acquerellata: collezione del Banco di Napoli), cui
seguiranno quelli più tardi con la barba fluente e l'aspetto da profeta
michelangiolesco, sia grafici sia plastici (Autoritratto, del
1921, in bronzo: Milano, Civica Galleria d'arte moderna).
Del 1910 sono le opere Sorgente e Giovinezza di Nettuno;
del 1911, in occasione dell'Esposizione internazionale di belle arti di
Roma, Medusa, revival ellenistico per cui trasse spunto dal fondo
esterno della Tazza Farnese del Museo nazionale napoletano; al 1914 e al
1918 risalgono Inverno, Tempo, Vasaio, Fanciulla greca, Sibilla
Cumana, Sirena, opere con cui porta una nota di prezioso estetismo
nel nuovo clima simbolista.
Nel 1911 si trasferì al Parco Grifeo di Napoli. Nel 1913 e nel 1915
partecipò rispettivamente alla XI Esposizione di belle arti di Monaco e
all'Esposizione universale di San Francisco. Nel 1919 Matteo Marangoni,
allora deputato, ottenne dal Parlamento una "pensione d'onore" (mai
consegnata a causa di disguidi burocratici) per il Gemito, che si
trovava in pessime condizioni finanziarie. L'anno seguente avvenne
l'incontro a Napoli, dopo quarant'anni, con Mancini, cui altri ne
seguirono a Roma.
Nel 1922 nella capitale venne organizzata dalla rivista La Fiamma
un'esposizione dell'opera gemitiana. Nel 1924 l'artista fece l'ultimo,
deludente, viaggio a Parigi. Negli anni 1920-26 lavorò assiduamente
intorno al tema di Alessandro Magno, protagonista di tante sue
visioni, proponendo l'immagine ideale dell'eroe mitico in busti e
medaglie. Al 1926 risalgono le sue ultime opere: Sibilla, in
argento, esposta alla Promotrice napoletana, e Ritratto dell'attore
Raffaele Viviani (terracotta: Napoli, Museo di Capodimonte). Lo
Stato italiano, nel 1927, gli assegnò per volontà di B. Mussolini un
premio in denaro di 100.000 lire. Esposizioni antologiche vennero
allestite nel 1927 alla galleria di Lino Pesaro a Milano e, l'anno
seguente, in Castelnuovo a Napoli.
Emanuela Bianchi - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000) -
treccani.it
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