Livorno, 23/08/1876 - Firenze, 14/06/1945
asce
a Livorno il 23 agosto 1876. A seguito della morte del padre, che lascia in
gravi condizioni economiche la famiglia, Ghiglia è costretto ad impiegarsi in
una fonderia e successivamente a darsi al commercio ambulante. Con le stesse
matite oggetto del suo commercio comincia a disegnare. Dopo questi primi
esperimenti da autodidatta, frequenta gli studi di Manaresi
e di Guglielmo Micheli dove instaura rapporti di
amicizia duraturi con Llewelyn Lloyd, Antony De Witt e Modigliani. Con
quest?ultimo soprattutto nasce una profonda amicizia accomunata dal medesimo
desiderio di fuga dal ristretto panorama livornese verso più stimolanti
orizzonti artistici. Nel 1902 i due risultano domiciliati insieme a Firenze, in
via San Gallo. E? l?epoca in cui Ghiglia frequenta, sotto consiglio di Fattori,
la Scuola Libera di Nudo.
Le esperienze
fiorentine facilitano la maturazione artistica del giovane livornese: sempre
nel 1901, forse con la protezione di Fattori, esordisce all?Esposizione Internazionale
di Venezia con un Autoritratto, che dimostra nel piglio romantico e
internazionalista, molteplici echi simbolisti, da Bocklin a Costetti. Seguono le esposizioni alla Primavera
Fiorentina (1903 e 1903) e ancora alla Biennale (1903) dove impressionò favorevolmente
la critica con l?inquietante Ritratto ispirato alla pittura del danese Hammershoi (anch?egli a Venezia) che gli procurò la
promessa di una personale alla successiva Biennale del 1905. La cosa però non
venne mantenuta dalla giuria: vennero infatti accolti solo due dei venticinque
dipinti proposti dall?artista.
I primi anni del secolo sono importantissimi per Ghiglia: tramite Costetti
e Cimento approfondì le tematiche simboliste di Bocklin e von Stuck, presto conobbe Papini, Ometti e Ardengo
Soffici. Ed è proprio tramite quest?ultimo che Ghiglia si interessa ai
neotradizionalisti francesi, conosciuti peraltro in occasione delle esposizioni
a Venezia tra il 1905 e 1907. Da Vallotton e dai francesi della ?Revue Blanche?
Ghiglia adotta il ?colore a taches vibranti di
pigmento, e le masse semplificate racchiusi in contorni essenziali?. A questo
periodo risale anche il determinante incontro con Gustavo Sforni, al quale
restò per sempre legato da un serrato rapporto di amicizia e di lavoro (dal
1911, con un "patto informale", Ghiglia venne da lui stipendiato in cambio di
un diritto di prelazione sulle opere). Sforni, collezionista di van Gogh, Cèzanne, Degas, Utrillo e Fattori, nonché pittore egli stesso, spinse
Ghiglia verso la sintesi costruttiva cezanniana proprio mentre Soffici celebrava l?arte di Cèzanne in
mostra nelle stanze del Lyceum insieme agli impressionisti francesi. Si avverte così in Ghiglia un progressivo sforzo di
integrazione tra la ?macchia? toscana e le sintetiche architetture cezanniane acuite negli anni 1913-14 in coincidenza con
l?interpretazione sintetico-classica di Fattori e con la nuova rassegna degli
impressionisti alla secessione romana (1914).
Dal 1914 si ritira a Castiglioncello dedicandosi con maggior frequenza allo
studio del tema della natura morta analizzato più dal punto di vista formale
che sentimentale . Nel 1921 Ugo Ometti, che aveva presentato Ghiglia su
?Dedalo? (1920), lo inserisce nella collettiva ?Arte italiana contemporanea?
alla Galleria Pesaro di Milano; dopo la partecipazione alla storica Mostra del
Novecento Italiano del 1926, Ghiglia torna alla Pesaro per una personale. Di li
in poi si chiude in un progressivo isolamento che lo porterà alla produzione di
opere dai toni intimisti e di raffinata eleganza. Si spengerà a Firenze nel
1945.
(Estratto da : La pittura in Italia ?
Il Novecento. Electa, Milano, 1992; I Postmacchiaioli. Catalogo a cura di Raffaele Monti e
Giuliano Matteucci. Edizioni De Luca, Roma 1994.)
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