Livorno, 11/10/1858 - 14/09/1939
Ulvi Liegi, nome che in realtà è pseudonimo di Luigi Mosè Levi,
nacque in una agiata famiglia ebraica livornese, mosse i primi passi nel
mondo dell'arte presso la scuola di Carlo Markò e Luigi Corsi, e dagli
anni Ottanta si recò presso l'Accademia di Firenze per completare i suoi
studi. Esordì, appena ventenne, presso la Promotrice di Firenze, città
che divenne punto di riferimento per l'artista, sede dei suoi contatti e
delle sue amicizie, ottenute alla fine dell'Ottocento presso il gruppo
dei Macchiaioli. Contemporaneamente alla sua principale attività di
pittore, sviluppò un certo interesse anche per le altrui opere,
intraprendendo un'attività di collezionista. Questo suo gusto per il
mecenatismo si espresse anche nella promozione di un concorso, il cui
premio, costituito da un mese di studi a Firenze, fu a carico
dell'artista finché poté godere delle fortune della propria famiglia.
Nel 1886 si recò a Parigi, dove incontrò Federico Zandomeneghi, il quale
stava esponendo all'ottava ed ultima mostra degli impressionisti.
Successivamente si recò a Londra, dove partecipò ad alcune esposizioni e
mostre e due dei suoi paesaggi furono scelti da Telemaco Signorini per
partecipare all'Esposizione Universale di Parigi. Dopo il 1895 si
trasferì a Firenze ed intensificò la produzione dei suoi paesaggi,
influenzato dalle bellezze naturali dei colli toscani. La serenità e la
stabilità di questi anni gli permisero di nutrire la propria creatività
con nuove sperimentazioni, giungendo alle accese tonalità che dominarono
le sue opere. Dopo una sosta di qualche anno, nel 1913 riprese la sua
attività espositiva partecipando alla II Mostra d'Arte Livornese e
l'anno successivo partecipò alla Prima Esposizione Invernale d'Arte
Toscana, tenutasi a Firenze. Nel 1918 tenne la sua prima personale
presso la Galleria Mario Galli a Firenze.
La produzione tra gli anni Venti e Trenta non vide grandi
trasformazioni, alle immagini maggiormente aderenti agli aspetti
naturali, si alternarono suggestive visioni ipercolorate. Nei primi anni
Venti partecipò anche alle esposizioni del Gruppo Labronico, da poco
costituitosi, di cui fu nominato presidente a vita. Il suo legame con il
nuovo gruppo livornese, il quale spesso espose a Milano alla Galleria
Pesaro, ed il ruolo di primo piano attribuitogli, ne garantirono il
successo e la memoria a livello nazionale, ma tuttavia non lo
risollevarono dalla miseria. Nel 1932 il Comune di Livorno lo premiò con
una medaglia d'oro per l'alto valore artistico delle opere e per
l'impegno profuso nell'attività culturale della città. Morì in povertà
nel 1939.
La sua arte fu percorsa da un tratto signorile ed elegante, mai banale o
superficiale. La sua eleganza stette nella sapienza degli accordi
cromatici delicatemente accostati e nell'attenta ricerca sul colore
stesso. Ebbe inoltre, la capacità di cogliere i dati essenziali e di
registrarli in una sintetica ottica attraverso la quale il paesaggio
risultava immediato e naturale. Linguaggio agile e schietto che
affascinò per il suo essere lineare e puro e che lo porterà a
conquistare consensi anche al di fuori dei confini italiani. Egli amò
viaggiare ed i contatti con le altre tendenze giovarono al suo
linguaggio, che si manterrà comunque personalissimo. Fu influenzato in
una prima fase dallo stile di Signorini, per poi sviluppare il suo
personalissimo senso di luminosità reso attraverso la costruzione a
macchie, in grado di creare i suoi caratteristici spazi limpidi.
( Da
giovannifattori.com)
|