Trento, 24/06/1886 - Roma, 26/01/1919
Sovvenuto economicamente da fidenti ammiratori, per l'interessamento di
Bartolomeo Bezzi potè studiare all'Accademia di Venezia, discepolo di
Guglielmo Ciardi e di Augusto Sezanne. Sotto la guida di quest'ultimo,
collaborò alla decorazione della Cassa di Risparmio di Rovereto, e
divenne in breve abile nella pittura a fresco. Ma più mostrò le sue
qualità personali nel paesaggio e nella figura, nelle quali ebbe modo di
manifestare le sue possibilità di colorista. Nel 1908 ordinò una mostra
individuale a Ca' Pesaro in Venezia, e nel 1909 espose a quella Biennale
Sole d'inverno, in cui un insignificante
angolo del Lido rivive e acquista fascino per opera dell'artista.
Dopo aver partecipato anche l'anno dopo alla Internazionale, con A
Villa Glori, nel 1912 ordinò a Ca' Pesaro, un'altra personale, nella
quale presentò al pubblico quattordici opere: Paesaggi lagunari,
di Burano, di San Francesco del Deserto, di Tre Porti,
quali li vedeva l'artista dalla sua casetta, sulla cui facciata una
lapide lo ricorda "pittore francescano - d'acque e di stelle - d'alberi
e di cieli - nella laguna deserta". Scoppiata la prima guerra europea
egli accorse volontario; ma, in seguito a malattia contratta in trincea,
dovette tornare, e soggiornò sul Lago di Garda, e poi a Roma, dove morì.
Tardo riconoscimento del suo valore, le principali gallerie si
assicurarono sue opere: Il giglio rosso e Primavera nel
Veronese sono nella Galleria d'Arte Moderna di Roma; L'americanina,
in quella di Milano; Idillio primaverile, in quella di Venezia;
La moglie al sole, nella Galleria Capitolina di Roma.
Nel 1920 all'Internazionale Veneziana gli fu riservata una sala, nella
quale, oltre le citate, figurarono: San Francesco del Deserto,
appartenente al sig. Everardo Gasparetti di Venezia; Case e orti a
Burano; Biancospino; Strada a Tre Porti; Siesta; La casa dell'artista;
Mattino d'inverno; Pioggia a Rocca di Papa; I pagliai, Carpegna;
L'aratura; Natura morta; L'eremita ortolano; A Villa Strohlfern.
Altri dipinti del Moggioli: Sera a Mazzorbo; Cipressi veronesi; Il
convento di San Bonaventura sul Palatino; Fiori sotto la pioggia.
Alla Mostra dei Quarant'anni (Venezia, 1935) eranvi esposte diciotto
opere. Fu anche sensibilissimo incisore per litografia. Si ricordano il
gruppo di 5 litografie nelle quali cercò di tradurre le sue impressioni
d'un sommesso lirismo così in Mormorio del ruscello e nella
Fanciulla al lavoro.
A. M. Comanducci
Fin dall?adolescenza nutre interesse per la pittura, alla quale si
dedica en plein air nei sobborghi collinari di Trento insieme
all?amico Benvenuto Disertori. Grazie a Bartolomeo Bezzi e alla
generosità di Antonio Tambosi, nell?ottobre 1904 giunge a Venezia per
frequentare l?Accademia di Belle Arti. Iscritto dapprima al III Corso
Comune, nel febbraio 1905 viene promosso al III Corso Speciale per la
pittura di Vedute di Paese e di Mare sotto la guida di Guglielmo Ciardi,
il quale lo avvia alla pittura ?dal vero?. Negli anni seguenti
(1906-1907) è fra i migliori allievi di Augusto Sezanne, titolare della
cattedra di Ornato, con il quale collaborerà negli interventi di
restauro e di rifacimento in stile della Cassa di Risparmio di Rovereto
e del Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme a Cavalese. Sul piano
della produzione pittorica questa fase giovanile è documentata da
soggetti tipicamente lagunari - i viali alberati del Lido, dei giardini
Napoleonici e Papadopoli, il bacino della Giudecca osservato dalle
Zattere, imbarcazioni da pesca ormeggiate tra le briccole ? risolti con
assoluta libertà compositiva attraverso l?uso di pennellate rapide e
dense.
Nel 1907 la prima apparizione pubblica: appena ventenne viene ammesso
alla VII edizione della Biennale con Giardino di sera. Nel febbraio 1908
compie il primo viaggio a Roma; gli esiti di tale soggiorno saranno
protagonisti, insieme ad altri "studi e bozzetti", della personale
allestita nell?ammezzato di Ca? Pesaro nell?estate 1909, anno che lo
vede presente ai Giardini con Sole d?inverno e per la prima volta a
Burano, chiamato a «imbrattar continuamente tele per Pieretto [Bianco]»,
ovvero a collaborare con il pittore triestino nella messa a punto del
ciclo decorativo incentrato sul Risveglio di Venezia. Alla fine
dell?anno raggiunge di nuovo la capitale: qui dipinge A Villa Glori,
un "motivo della campagna romana in pieno sole" che sarà poi accettato
alla Biennale del 1910; si tratta del primo paesaggio a cui l?artista
affida il compito di comunicare un?emozione, uno stato d?animo, una
vibrazione poetica ("voglio che riesca una cosa sincera ed espressiva in
modo che, chi lo guarderà, senta almeno in parte l?emozione che ho
provato io sul vero", diceva).
Nel novembre 1910, in compagnia di Benvenuto Disertori, si reca ad
Assisi; durante il soggiorno umbro, protrattosi fino all?aprile 1911,
Moggioli medita di stabilirsi a Venezia, la città nella quale dice di
aver maturato "il senso del colore e il gusto". Scrive alla fidanzata:
"a Venezia ho fatto fin qui le mie cose migliori e credo che lì soltanto
potrò farne ancora [?]. Lavorerò con ansia poiché l?anima mia è piena ed
ha bisogno di sfogo e tutto quello che non si può dire con parole? lo
trasmetterò nei miei quadri? Farò parlare i miei paesaggi". Poche righe,
ma che suonano come una indiscutibile dichiarazione di poetica. Nel
dicembre 1911 con la compagna Anna Fontanazzi si stabilisce a Burano:
abita dapprima in Fondamenta S. Mauro e poi al civico 77 in Fondamenta
della Giudecca. Il 1912 è l?anno della "rivelazione stupenda e
definitiva" (le parole sono di Gino Damerini) alla settima collettiva
capesarina; un successo sancito dal numero di vendite (vengono
acquistate 6 opere su 14) e da una pittura piacevole, appagante per gli
occhi, capace di restituire le suggestioni atmosferiche legate alle
stagioni e al variare delle ore del giorno.
L?anno seguente è ricco di appuntamenti espositivi. Moggioli intraprende
un nuovo viaggio a Roma poco dopo l?apertura della prima mostra della
Secessione romana, dove è fra i membri del Gruppo Veneto, e poi
aderisce alla seconda esposizione di Belle Arti promossa dal Comitato
Nazionale Artistico Giovanile di Napoli. All?annuale rassegna dell?Opera
Bevilacqua La Masa si riconferma paesista e commenta con
sarcasmo la querelle alimentata dalla stampa in merito al presunto
indirizzo futurista della mostra: "a Palazzo Pesaro, grande
baccano e per nulla ché davvero non c?è niente di tanto originale che ne
valga la pena. [?] Capirai che dove si suona un trombone non si sente un
violino". Una frase lapidaria, che ribadisce la posizione di
indipendenza del suo linguaggio figurativo. Nel 1914 partecipa alla
seconda edizione della Secessione romana mentre Sera di primavera,
tela di forte impatto emotivo, cromatico e visivo, figura alla XI
Biennale veneziana. Il capitolo veneziano, interrotto da un breve
soggiorno ad Asolo nell?ottobre 1914, si conclude nel marzo 1915 a causa
del rapido mutare degli eventi bellici.
In aprile il pittore si arruola volontario a Verona e spera di essere
impiegato come disegnatore. Viene ammesso al IX Reggimento Artiglieria
da Fortezza e si dice pronto per la "vita di soldato"; ben presto lavora
come cartografo alla Direzione dell?Artiglieria, attività che lo impegna
duramente, tanto che spesso, dopo lunghe ricognizioni in quota, deve
fermarsi a "collegare gli schizzi fatti [?] e formarne un gran panorama
di tutto il settore". Alla metà del mese di ottobre viene nominato
maestro di disegno per tre ore settimanali in IV ginnasio ad Ala,
incarico che manterrà fino alla primavera 1916. Continua a non poter
dipingere liberamente e comunica più volte tale disagio alla moglie:
"sarebbe disastroso stare per tanti mesi di seguito senza occuparmi
della mia arte"; "mi piacerebbe occuparmi un po? dell?arte mia [?] sento
una profonda nostalgia dei miei motivi lagunari. Quella tranquillità,
quella pace". In dicembre viene trasferito all?ospedale psichiatrico di
San Giacomo alla Tomba di Verona e quindi all?ospedale territoriale
della Croce Rossa di Torino, dove, per via del precario stato di salute,
viene riformato. Nel gennaio 1916 si stabilisce a Cavaion Veronese dove
riprende a dipingere "lavorando a dei quadri di un tipo tutto nuovo",
nei quali si assiste alla ripresa di interesse per la figura. Alla fine
di giugno si reca un paio di mesi a Milano per eseguire dei ritratti su
commissione, ma l?ambiente gli appare freddo, poco accogliente: "questi
milanesi sono indietro un secolo in fatto di gusto pittorico. Trovano la
mia colorazione troppo moderna, il che vuol dire non di loro gusto".
Il 4 ottobre 1916 Moggioli è a Roma; tre giorni più tardi ottiene uno
degli atelier di Villa Strohlfern per risiedervi stabilmente. Si tratta
dello studio numero 26, descritto alla compagna con parole entusiaste:
«non si può immaginare un posto più bello [?]; è un paradiso
tutt?attorno, quieto, tranquillo. L?unico rumore è il canto degli
uccelli». Nel medesimo anno partecipa all?ultima edizione della
Secessione romana. Nel 1917 invia tre dipinti all?Esposizione delle Tre
Venezie presso la Galleria Pesaro di Milano e in estate, su invito di
Ferruccio Scattola, si reca a Rocca di Papa. L?ultima stagione pittorica
è segnata da un progressivo schiarimento della tavolozza; di questo
cambio di rotta è ben consapevole l?artista: "l?arte che faccio adesso
al contrario di quella degli anni felici ch?era piuttosto grigia,
patetica, malinconica, è tutta luce, vita gaiezza"; "il mio temperamento
si va delineando sempre più nettamente. Le malinconie se ne sono andate
assieme alle meditazioni. Ne è saltata fuori un?arte gaia, serena, da
ottimista". Il 21 agosto 1918 raggiunge le Marche, ospite a Carpegna dei
coniugi Zandonai e agli inizi di ottobre, mentre è sul punto di riunirsi
alla famiglia (sfollata a Varese) e di fermarsi a Milano per visitare
l?Esposizione di Belle Arti dell?Accademia di Brera, appena giunto a
Firenze è costretto a rientrare a Roma per il rapido diffondersi
dell?epidemia di spagnola, la temuta influenza che di lì a poco
l?avrebbe strappato alla vita.
(Testo di Mauro Zazzeron -
umbertomoggioli.com)
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