Reggio Emilia, 30/01/1870 - Roma, 01/11/1918
Anima ardente irrequieta d'artista, si fece ben
presto conoscere come apprezzato autore di quadri di genere e ritratti,
quali il Ritratto
della madre ammalata e Il sangue, esposto a Venezia nel
1901, ed ora presso la Cassa di Risparmio di Reggio Emilia, dove pure
trovansi Il
vento e Fuochi fatui.
Nel 1903, in seguito ad un disinganno amoroso, si fece frate a
Montecassino, e divenne Fra' Paolo.
Da allora si ispirò alle tradizioni dell'arte sacra italiana.
Sue opere principali di questo periodo: Festa di Cristo; Le quattro
Virtù, affresco nella cupola della chiesa di Borgo Solestà in
Ascoli, La Vocazione e La morte di San Serafino, nella stessa chiesa
Ritratto di Padre Serafino Gavasci, nel convento dei Cappuccini
di Ascoli; Visione francescana, per la chiesa dei Cappuccini di
Faenza; I Misteri del Rosario, per la chiesa di San Gregorio in Caldirola;
San Luigi Gonzaga, Sant'Antonio da Padova, L'Assunzione, il
frontone dell'abside e un trittico, nella chiesa di Quintodecimo sulla
riva destra del Tronto; vari ritratti di suoi confratelli.
Altre sue opere sono nella chiesa dei Cappuccini di Ancona e in quella
di Jesi.
(A. M. Comanducci)
Nacque a Reggio Emilia l'8 gennaio 1870 da Angelo,
cuoco nella casa del vescovo, e da Beatrice Cobianchi.
La madre, donna dalla profonda fede religiosa, gli impartì una rigida
educazione, basata sui principi cattolici. Compì i primi studi nella
città natale: dopo una breve esperienza seminarile (1881), frequentò il
ginnasio pubblico che lasciò nel 1885 per iscriversi alla Regia Scuola
di disegno per operai, dove ebbe come maestri Gaetano Chierici e Cirillo
Manicardi. Nel 1888 si diplomò.
Le prime opere note sono due disegni a carboncino datati 1888 (Ritratto
di Desideria Mussini e Ritratto di Giuseppe Mussini; ripr. in Farioli,
1987, pp. 116 s.), caratterizzati da un minuzioso realismo, memore degli
insegnamenti di Chierici. In linea con la temperie culturale del momento
Mussini sembra volgersi verso un modello di pittura veristico-sociale,
ma anche verso la tradizione della pittura lombarda, prediligendo il
genere del ritratto e l'uso di una tavolozza scura fatta di toni bruni
sovrapposti in sottilissime variazioni, come si nota nel Ritratto di
Vittorio Bellelli del 1890 (ripr. ibid., p. 58).
Nel 1890, chiamato a collaborare da Manicardi, decorò le pareti e i
soffitti di alcune sale della villa di Francesco Bagnoli a Jano di
Scandiano, illustrando in stile bizantineggiante le Storie della vita di
Matilde di Canossa, impresa che lo impegnò fino al 1892.
Nei dipinti murali di villa Bagnoli propone motivi e iconografie in
linea con il gusto eclettico del revival storico in voga sul finire del
XIX secolo. Alla sua sola mano si devono attribuire le decorazioni
neorinascimentali di una cameretta con tondi raffiguranti i bambini
della famiglia Bagnoli e quelle della sala del camino, dove, tra ornati
floreali d'ascendenza liberty e nature morte di un realismo insistito e
puntuale, ritrasse il gruppo dei committenti, in abiti di diverse
epoche.
Nell'ottobre 1890 contribuì alla fondazione della "Cooperativa pittori di
Reggio Emilia", di cui divenne in seguito direttore artistico, evento che
volle celebrare dipingendo una tavola, I soci che discutono
l'avvenimento, con le figure ritratte a grandezza pressoché naturale.
Avendo dovuto distruggere l'opera a causa di alcune lesioni del legno,
nello stesso anno tradusse il soggetto nella tela
Gruppo di componenti della Cooperativa pittori
(Reggio Emilia, Musei civici). L'anno seguente
cominciò a collaborare come articolista e critico d'arte con "Il Reggianello", quotidiano locale di ambito cattolico.
Ottenuto un sussidio dal Civico Istituto Ferrari-Boninie dalla
Deputazione provinciale di Reggio Emilia, all'inizio del 1892 si
trasferì a Roma. Studiò all'Accademia di Francia e frequentò la scuola
libera del nudo annessa al Regio Istituto di belle arti. Suoi insegnanti
furono Ettore Ferrari, Scipione Vannutelli e Cesare Mariani. Nel 1893
vinse una borsa di studio quadriennale grazie al concorso del Legato
Sanguinetti bandito dall'amministrazione provinciale di Reggio Emilia.
La nuova disponibilità economica gli permise di stabilirsi a Firenze,
dove si iscrisse alla scuola del nudo della Regia Accademia di belle
arti.
Nel 1896 presentò Autoritratto (Reggio Emilia, Fondazione Cassa di
risparmio ) all'Esposizione triennale di belle arti e industrie di
Modena; dipinse inoltre Sacro Cuore (ripr. Farioli, 1987, p. 74) e
Gesù
fra i cardi (Reggio Emilia, cattedrale), due quadri dalla chiara
impostazione e iconografia simboliste. Nello stesso anno venne eletto
consigliere comunale a Reggio Emilia nelle file del Partito socialista.
Tra il gennaio e l'agosto 1897 soggiornò a Venezia, dove visitò la
Biennale d'arte. Tornato nella città natale, lavorò nella casa della
famiglia Medici dipingendo una stanza con scene mitologiche e ritratti
clipeati in stile quattrocentesco (ripr. in Sgarbi - Luna, 1991, pp. 46
s.); inoltre si impegnò sempre più come conferenziere e militante della
causa operaia.
Nel 1898, a Torino, partecipò all'annuale mostra promossa dalla
Promotrice di belle arti (Autoritratto). Nel 1901 espose alla IV
Biennale d'arte di Venezia
Il sangue (Reggio Emilia, Fondazione Cassa di
Risparmio), un quadro intriso di forti suggestioni
decadentiste-simboliste. Nello stesso anno terminò il Ritratto di sua
maestà Vittorio Emanuele III, destinato alla sala del Consiglio di
amministrazione della Cassa di risparmio di Reggio Emilia.
All'inizio del 1902, dopo essersi dimesso sia dal partito sia dalla
Cooperativa dei pittori, fece ritorno a Firenze dove trovò lavoro come
direttore presso la Società ceramica artistica fiorentina del cav.
Hermanin, per la quale ideò egli stesso alcuni pezzi. Per qualche mese
fu ospite nello studio dello scultore Libero Andreotti, in seguito andò
ad abitare con l'amico pittore reggiano Giovanni Costetti. Nel capoluogo
toscano collaborò con la rivista "Il Leonardo", diretta da Giovanni
Papini, scrivendo articoli e saggi critici che firmò con lo pseudonimo Augustus. Nonostante il trasferimento mantenne sempre stretti legami con
l'ambiente reggiano, sia per soddisfare le richieste dei committenti
privati, sia per portare a termine le imprese approntate, come la
decorazione di due cappelle nella chiesa di S. Nicolò, delle quali
dipinse le volte (1902) con Angeli musicanti (terza cappella di destra)
e Angeli in un roseto (terza cappella di sinistra) in stile
neorinascimentale secondo la maniera di Melozzo da Forlì.
Nell'aprile 1903 ottenne un sussidio biennale dalla Cassa di risparmio
di Reggio Emilia per potersi dedicare all'attività artistica senza
preoccupazioni economiche. In estate partecipò alla Biennale di Venezia
con l'opera
Il ritratto della madre ammalata (Reggio Emilia, Fondazione
Cassa di Risparmio). Poi la sua vita ebbe una svolta: la notte tra il 25
e il 26 ottobre scomparve da Firenze e nei giorni seguenti da tutti i
quotidiani fiorentini e reggiani fu riportata la notizia del suo
presunto suicidio, connesso con un duello con Costetti, divenuto suo
rivale in amore per la pittrice Beatrice Ancillotti. In realtà,
nonostante avesse già scelto i padrini per il duello (Libero Andreotti e
Adolfo De Carolis), Mussini non volle impugnare le armi e preferì
lasciare la città, dopo aver inviato due lettere ad altrettanti amici
reggiani annunciando l'intenzione di togliersi la vita. Allontanatosi da
Firenze, pensava di andare in Austria ma, giunto a Gorizia, allora
territorio austriaco, rimasto senza denaro chiese ospitalità al convento
dei cappuccini, dove un frate italiano gli consigliò di recarsi dai
francescani di Trieste. Da lì, manifestato il desiderio di vestire il
saio, fu indirizzato al ministro provinciale ad Ascoli Piceno. Nel
convento ascolano, accolto dal padre superiore Gavasci, visse per un
anno in isolamento, dedicandosi alla pratica contemplativa e rifiutando
ogni visita dall'esterno, la corrispondenza degli amici e la lettura dei
quotidiani. Il 25 gennaio 1905 con la semplice cerimonia della
vestizione divenne terziario dell'Ordine, assumendo il nome di fra
Paolo, in omaggio al pittore Paolo Uccello. Nel frattempo aveva iniziato
la decorazione della chiesa conventuale con un ciclo di dipinti murali
dedicati alla vita di s. Serafino.
Nell'ottobre 1905, in concomitanza con il centenario della morte di s.
Serafino, furono presentati al pubblico i primi due riquadri con
La vocazione di s. Serafino e La morte di s. Serafino (l'unico dipinto a
olio e non a tempera su muro) eseguiti nell'abside. Mussini proseguì i
lavori tra il 1906 e il 1907 con le Allegorie delle Virtù cardinali
nella volta a crociera, aiutato da un gruppo di allievi (Arturo da Monterinaldo, Elio Anastasi, Guido Giammarini, Didimo Nardini, Alberto
Castelli, Ernesto Coppola, Giulia Castelli). Dopo aver dipinto
Il culto dei fiori e Il miracolo dei cavoli (1907) sulle pareti ai lati
dell'altare maggiore, interruppe i lavori per soddisfare altre
commissioni che gli erano state affidate. Tornò a occuparsi del ciclo
pittorico a più riprese tra il 1910 e il 1915, per concluderlo soltanto
a pochi giorni dalla morte.
Stilisticamente i lavori di Ascoli dimostrano l'eclettismo della maniera
di Mussini, capace di fondere il minuzioso realismo delle descrizioni
fisionomiche con certe suggestioni formali e iconografiche desunte dai
simbolisti o dai preraffaelliti, ma la novità principale del ciclo è nei
paesaggi che fanno da sfondo alle scene: ampli scenari di vegetazione
variopinta e lussureggiante realizzati attraverso la tecnica
divisionista.
Nel 1905 ricevette l'invito per la Biennale di Venezia e decise di
inviare La testa di Cristo, l'ultimo lavoro eseguito a Firenze prima
della sua precipitosa fuga, che era stato acquistato dalla Cassa di
risparmio di Reggio Emilia. Nel 1907 concluse La Maddalena (Ascoli
Piceno, Pinacoteca civica), commissionatagli dal conte Antonio Sgariglia
per la cappella della villa di Folignano. Nel febbraio 1908 espose nella
vetrina di una farmacia di Ascoli un cartellone pubblicitario disegnato
per un medicinale: il Neurobiogeno del cav. Umberto Rosati (ripr. in
Sgarbi - Luna, 1991, p. 104).
Nel 1910 fu mandato dal padre provinciale ad Ancona affinché realizzasse
i dipinti e alcune decorazioni parietali per la chiesa della Madonna
delle Grazie.
Nel pannello centrale del trittico collocato sull'altare maggiore
raffigurò S. Francesco che presenta a Cristo crocifisso s. Chiara, s.
Luigi di Francia e s. Elisabetta d'Ungheria; nei pannelli laterali
S. Bonaventura da Bagnoregio e S. Lorenzo da Brindisi. Inoltre realizzò i
quadri con L'Annunciazione per il coro, La Pietà per la lunetta della
cappella laterale e i dipinti murali del pulpito. Contemporaneamente
lavorò alla pala d'altare (La Trinità) per la chiesa dei cappuccini di
Jesi. In questi lavori l'eleganza sfarzosa e raffinata delle figure,
l'andamento sinuoso delle linee, il misticismo sensuale, le insistite
allegorie floreali e la vibrante resa della luce evocano analoghe
esperienze preraffaellite, congiunte al gusto oramai pienamente liberty.
Tornato ad Ascoli si dedicò alla produzione da cavalletto ritraendo i
frequentatori del convento (Lo studente Remo Tonucci; Il professor
Gustavo Modena, 1910; ripr. in Farioli, 1987, p. 100) o i confratelli
(Padre Fedele da Monterado; ripr. in Sgarbi - Luna, 1991, p. 111;
Padre Diego da Offida, ripr. in Farioli, 1987, p. 101) ma il suo umore tornò a
farsi instabile, tra crisi nervose e accessi d'ira, che peggiorarono nel
corso del 1911. Non essendo vincolato dai voti, ebbe il permesso di
lasciare il convento a suo piacimento per viaggiare, visitare mostre o
tornare a Reggio Emilia, da dove continuavano a giungergli numerose le
richieste di ritratti, come quello del Conte Luigi Sormani Moretti nel
suo studio (1913, Reggio Emilia, Musei civici ).
Nel corso degli anni Mussini realizzò una straordinaria galleria di
ritratti e autoritratti, condotti con sorprendente acutezza d'indagine
fisionomica e introspettiva, nei quali la veristica descrizioni dei
volti si coniuga al realismo lenticolare nella descrizione degli oggetti
e ai ricercati effetti luministici, come mostra l'Autoritratto in
controluce del 1912 (Ascoli Piceno, convento dei padri cappuccini).
Tra il 1910 e il 1913, coadiuvato dall'allievo Arturo Cicchi, si dedicò
ai dipinti murali della chiesa di S. Maria delle Piane a Quintodecimo di
Acquasanta Terme, dove propose un complesso ciclo biblico.
Tra decorazioni floreali squisitamente liberty e figure angeliche di
matrice preraffaellesca, illustrò episodi della Storia del genere umano,
l'Annunciazione e la Crocefissione e due trittici per gli altari
laterali (l'Assunzione della Vergine tra s.Luigi Gonzaga e s. Antonio da
Padova;
La Madonna del Rosario tra le ss. Agnese e Eurosia).
Nell'Assunzione Mussini dimostra la totale adesione ai principi e alle
tecniche divisioniste, poiché, nella volontà di spiritualizzare la scena
attraverso gli effetti di luce, smaterializza forme e volumi lasciando
appena intravedere le immagini tra la fitta tessitura di sottili
pennellate di colore puro.
Nel 1913 applicò la maniera divisionista alla grande pala d'altare
destinata al santuario del Ss. Crocefisso di Faenza (La Madonna col
Bambino tra i ss. Francesco e Chiara), attirando su di sé aspre critiche
e rimproveri da parte dei superiori. I toni accesi della polemica,
amplificati dai giornali, ebbero un effetto drammatico sul
frate-artista, che non sentendosi più libero di esprimersi svestì il
saio e lasciò Ascoli. Si trasferì a Genova, ospite nella casa di
Giuseppe Cicognani, e si invaghì di una giovane straniera di nome
Camilla.
In dicembre decise di allontanarsi dalla donna e si imbarcò alla volta
di Buenos Aires, dove lo raggiunsero alcuni allievi, collaborò come
articolista al giornale "La Patria degli Italiani" e trovò la protezione
di Lorenzo Pellerano, mecenate e collezionista d'arte, di cui eseguì un
ritratto (ripr. in D'Ascoli, 1926, p. 39). Ciò nonostante nel luglio
1914 volle ritornare in Italia. Trascorsi pochi giorni a Genova si
trasferì a Castagno, un paesino alle falde del monte Falterona, e nel
mese di settembre, nell'incessante ricerca di serenità interiore,
raggiunse l'eremo di Camaldoli. Durante il soggiorno presso i
camaldolesi riprese la tavolozza e dipinse la Visione di s. Romualdo
(1915, eremo di Camaldoli, sala Capitolare), inoltre scrisse
un'autobiografia che bruciò appena terminata.
Nei primi mesi del 1915 si stabilì di nuovo nel convento di Ascoli,
restandovi fino a ottobre, quando si recò a Firenze per raggiungere
Camilla, la giovane conosciuta a Genova, deciso a sposarla. Ma la
confessione sui trascorsi della donna lo indusse ad abbandonarla e a
fare ritorno ad Ascoli, dove rimase per alcuni mesi; all'inizio del 1916
si trasferì a Roma e prese uno studio in via Margutta. Qui, su incarico
di padre Gavasci, lavorò alle tele che avrebbero concluso il ciclo delle
Storie di s. Serafino nella chiesa conventuale di Ascoli (L'Ascensione
per l'altare maggiore; Il beato Benedetto da Urbino e Il beato Bernardo
da Offida per gli altari laterali).
Nel giugno 1917, insieme all'allievo Aldo Castelli, si trasferì a
Caldarola per affrescare a tempera un ciclo su I misteri del s. Rosario
nella cappella della Madonna del Rosario all'interno della chiesa di S.
Gregorio. Terminata l'impresa, all'inizio del 1918 tornò a Roma in preda
a continue crisi nervose. Concluse le tele destinate al convento di
Ascoli, dipinse un ultimo, drammatico, Autoritratto (ripr. in Sgarbi -
Luna, 1991, p. 198) e l'Interno di studio (ripr. in Farioli, 1987, p.
112). In ottobre, colpito da febbre spagnola, fu ricoverato all'ospedale
Fatebenefratelli.
(Francesco Santaniello - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77
(2012) -
treccani.it)
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