Bologna, 29/07/1889 - Vicenza, 25/10/1942
Ecco un altro artista che ha fatto e patito la guerra e dalla guerra è
stato condotto alla conquista morale d'uno stile: la quale conquista è,
prima di tutto, una conquista morale, un fatto del sentimento e della
volontà. Ubaldo Oppi è davvero un giovane, nato a Bologna nel 1889. Non
aveva vent'anni quando a Vienna conobbe Klimt e studiò un poco in
quell'ottima Accademia.
Poi viaggiò Germania, Boemia, Ungheria, Russia, Rumenia, dipingendo
teneri paesaggi a pastello, facendo ritratti, sopratutto continuando a
studiare anatomia e a disegnare il corpo umano.
A Parigi nel 1911 fu travolto dallo sgombero dei postimpressionisti,
tutto scatole, come si può ancora vedere in mille quadri, armadi a
casellario, scacchiere, fantocci di panno e alberi da giocattoli di
Norimberga. Quando non ne potè più d'essere, corpo e anima, così
spatriato, si rifugiò nel Louvre, davanti ai quadri italiani. Quella
tranquilla e nobile rispondenza tra paesi e figure, tra uomini e iddii,
gli dette la nostalgia dell'Italia e dell'ordine antico, la brama di
ritrovarsi in una terra luminosa e sua cui potesse abbandonarsi con
fiducia filiale.
Tornò, e venne la guerra Oppi è stato ufficiale negli Alpini, dal
Pasubio alla Bainsizza ferito tre volte. Dalla guerra ha tratto (sono
parole sue) "una migliore salute spirituale, un più sicuro ottimismo, un
amore infinito (almeno vorrei che fosse infinito) verso la natura e gli
uomini". Quella vita da anacoreta, sulle cime, accanto alla morte, tra
compagni fidati e risoluti, gli è rimasto impressa nell'anima come il
modello d'una vita ideale, come un esempio di purità e di disciplina
dentro una chiara luce.
Tornato nel 1919 al suo lavoro di pittore, non ha più titubato. Con la
sua arte egli vuole parlare a tutti, non più soltanto ai cenacoli. La
figura umana, piena, bella e robusta, a dominio del paesaggio di fondo,
è il suo idolo. I sentimenti da esprimere sono semplici e cordiali: il
riposo e il ballo domenicale in un'osteria del suburbio; il canto di due
donne nell'aperta campagna; poi, nel bozzetto per la pala di San
Venanzio destinata alla chiesa di Valdobbiadene, l'immagine d'un gran
santo che fu un poeta e che in quella pittura tende le braccia e schiude
le labbra, anch'egli, a cantare; poi, nel Risveglio di Diana un
casto nudo di donna nel crepuscolo dell'alba davanti a un umido
paesaggio ancora assonnato; poi, nel ritratto della Sposa e nelle
Due amiche, altre figure di giovani donne atteggiate con grazia di
statue.
Si guardino le date dei quadri per misurare il progresso di questo
pittore un progresso visibile, di composizione, di disegno, di colore,
di tecnica, d'una tecnica sempre più unita e nascosta, rara dopo tanti
anni di bravure ostentate e di pennelli che sciabolavano; ma più, un
progresso intimo, di coscienza, di sobrietà, di stile. Ecco un'arte che
si parte dal vero, ma lo domina lo sceglie e lo ordina per creare
qualcosa che sia più durevole e consolante della fugace realtà.
Questa prima mostra dell'arte di Ubaldo Oppi era giusto che si tenesse a
Venezia dove nel 1910, a ventun anni, tornando d'oltremonte, egli trovò
i primi consensi e i primi amici. Era un ignoto allora, anzi uno
sperduto che faticosamente cercava sè stesso. Adesso Ubaldo Oppi sa
quello che vuole. E questa mostra è solo una prima e convincente prova
di quello che egli può.
(Ugo Ojetti - Catalogo XVI Mostra
Internazionale di Venezia - 1928)
|