Castel di Sangro (Aq) 05/05/1840 - Napoli, 16/11/1906
A Napoli, dopo essersi laureato in belle lettere, si iscrisse
all'Istituto di Belle Arti, nel quale allora insegnava Filippo Palizzi.
Durante i corsi vinse facilmente parecchi premi ed infine ottenne il
pensionato per recarsi a Roma. Ivi studiò profondamente gli antichi
maestri ed in particolare quelli del Seicento. Trattò dapprima e per
poco il quadro storico, poi, animo sensibile e sdegnoso, attento
osservatore delle vicende della vita umana ed in specie delle condizioni
dei paria della vita sociale, le interpretò con arte suggestiva e
robusta; cosicché i suoi quadri non hanno soltanto quel valore polemico
che taluno volle loro attribuire, ma resteranno anche quando i motivi
umani che li ispirarono non saranno più che un lontano ricordo.
Capolavoro di lui è L'Erede che fu esposto a Milano nel 1881 ed
ora trovasi nella Galleria d'Arte Moderna di Roma con Vanga e latte,
esposto a Torino nel 1884. Altri suoi importanti quadri sono: Il
Parmigianino; Il Sacco di Roma, del Municipio di Napoli; Arte e
Libertà; Lo studio di Salvator Rosa, esposto a Torino nel 1880 e a
Vienna; Ogni buon stivale diventa ciabatta; La prima lezione di
equitazione, proprietà del baritono Titta Ruffo; Bestie da soma,
inviata a Venezia nel 1887; Il medico di campagna; Pancia e cuore; La
compagnia della morte; Dopo la sconfitta; I bravi; I notabili del mio
paese; L'aquila; Il cavalluccio; Ritorno all'ovile; La catena.
Il Patini tentò anche, con minor successo, il soggetto sacro, e si
ricordano in proposito i quadri: Gloria del Sacramento; Le tentazioni
di Sant'Antonio; Cristo nell'Orto; Il Redentore; Cristo risuscita il
figlio della vedova; L'Annunziata; Il Purgatorio; Il Crocifisso;
L'Angelo Custode; Sant'Antonio di Padova; San Carlo Borromeo. Ci
sono rimasti di lui anche i bozzetti per le decorazioni dell'Aula Magna
dell'Università di Napoli (lavoro che per la morte dell'artista restò
incompiuto), e gli affreschi nell'aula del Consiglio Comunale della
città stessa. La pinacoteca Corrado Giaquinto di Bari conserva il suo
dipinto Il sequestro (o Nudo patriottismo), mentre il suo
dipinto Testa di frate è conservato presso la Galleria d'Arte
Moderna Ricci Oddi di Piacenza
Da A. M. Comanducci (Ed. 1962)
Terzo di dieci figli, nacque a Castel di Sangro il 5 maggio 1840 da
Giuseppe, cancelliere di Giudicato Regio, poi notaio, e da Maria
Giuseppa Liberatore, appartenente a una famiglia benestante. Iniziò gli
studi presso l?istituto fondato da Leopoldo Dorrucci a Sulmona, dove il
padre si era momentaneamente trasferito, e qui rimase "ospite dei suoi
maestri" anche dopo la partenza del genitore. Trasferitosi a Napoli, si
iscrisse nel 1856, dopo un?iniziale esperienza universitaria, al Regio
Istituto di belle arti, dove frequentò i corsi di Giuseppe Mancinelli,
entrando inoltre in contatto con Domenico Morelli, Filippo e Nicola
Palizzi, la cui lezione verista avrebbe inciso sulla sua formazione.
Alla Mostra borbonica del 1859 ottenne una medaglia d?argento di seconda
classe. Attorno a quest?epoca eseguì i dipinti S. Liberata, per
la chiesa omonima di Rivisondoli, e Il buon samaritano
(collezione Intesa Sanpaolo), composizione di evidente discendenza
accademica pur nel forte realismo della scena. Nel 1860 partecipò
all?impresa garibaldina entrando nei cacciatori del Gran Sasso,
battaglione formato dal compaesano Antonio Tripoti, combattendo tra
Castel di Sangro e la Marsica. Subito dopo l?Unità riprese gli studi a
Napoli e nel 1862 fu tra i soci artisti della Società promotrice di
belle arti di Napoli. Nel 1863 risulta arruolato nella Guardia nazionale
per la repressione del brigantaggio. Come tale appare nell?Autoritratto,
eseguito quello stesso anno, quando espose alla Promotrice partenopea
I napolitani insorgono contro gli spagnuoli nel 1547.
Nel 1864 fu nominato socio effettivo dell?Associazione nazionale
italiana di mutuo soccorso degli scienziati, letterati e artisti ed
espose alla Promotrice napoletana Innanzi al Bello ogni ferocia è
spenta
(Napoli, Museo civico di Castel Nuovo), episodio di cronaca in costume,
riferito alla vita del Parmigianino, stilisticamente vicino a Bernardo
Celentano. Ancora a un maestro antico, di cui è esaltato il ruolo attivo
nella società, è dedicato La pietà (o Mattia Preti e gli
storpi), ascrivibile agli anni Settanta dell?Ottocento. Nel filone
storico, va ricordata anche la tela dedicata alla Morte di Galileo
(Castel di Sangro, coll. Cassa di risparmio per la Provincia
dell?Aquila), la cui lettura va probabilmente intesa in chiave
anticlericale. Nel 1867 eseguì il ritratto postumo del patriota
sulmonese Panfilo Serafini (Sulmona, Pinacoteca comunale) ed
espose alla Promotrice di Napoli Arte e libertà (Castel di
Sangro, Pinacoteca civica; il bozzetto è presso la Galleria comunale
d?arte moderna di Bologna) parte, con La compagnia della morte
ed Episodio della rivolta di Masaniello (Castel di Sangro,
Pinacoteca civica), di una serie di dipinti ispirati alla Napoli del
Seicento, ai pittori Salvator Rosa, Aniello Falcone e a Masaniello, il
più noto protagonista della rivolta partenopea del 1647, tra i simboli
rivoluzionari dell?Italia risorgimentale.
Nel 1868 vinse il concorso per due anni di pensionato a Firenze con
Edoardo III e i deputati di Calais (Napoli, Galleria
dell?Accademia di belle arti). L?anno seguente dipinse il ritratto del
noto patologo abruzzese Salvatore Tommasi e quello del filosofo
hegeliano, anch?egli abruzzese, Bertrando Spaventa (Napoli, Museo
nazionale di S. Martino; il bozzetto è presso la Biblioteca civica
Angelo Mai di Bergamo) cui fu legato da amicizia e sintonia
intellettuale. Nello stesso anno si trasferì a Firenze, dove eseguì
La zingara, soggetto in costume di stile morelliano (Napoli,
Galleria dell?Accademia di belle arti). Entrò quindi in contatto con
l?ambito macchiaiolo, ormai evolutosi verso un luminoso naturalismo,
senza tuttavia trarne le conseguenze più radicali. In Lettura in
convento (Castel di Sangro, collezioni d?arte del Municipio), pur
rievocando il pacato intimismo della pittura d?interni di Odoardo
Borrani, il riferimento più diretto appare quello alla pittura olandese
del Seicento.
Tra il 1871 e il 1872 fu a Roma, dove frequentò Michele Cammarano, che
rappresentò per lui un importante riferimento stilistico e con il quale
collaborò a due grandi tempere per gli allestimenti effimeri volti a
celebrare l?ingresso nella capitale di Vittorio Emanuele II; dipinse,
inoltre, in sua compagnia, soggetti campestri. Nel 1872 partecipò al
concorso indetto dal Consiglio provinciale di Roma con Nello studio
di Salvator Rosa (Roma, Collezioni d?arte della Provincia), una
colorita rievocazione di cronaca in costume, sintesi tra la lezione di
Ernest Meissonier e le influenze della colonia spagnola di artisti
residenti a Roma alla quale si era avvicinato. L?opera fu inviata
all?Esposizione universale di Vienna dell?anno successivo, quando
partecipò anche alla Promotrice napoletana con Il ciabattino,
esposto con il titolo edificante Ogni buon stivale diventa ciabatta
(Napoli, Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes, collezione d?arte del
Sanpaolo-Banco di Napoli). In quest?epoca soggiornò nuovamente a Napoli,
dove entrò probabilmente in contatto con l?opera di Hans von Marées,
impegnato ad affrescare la Stazione zoologica Anton Dohrn.
Nel 1875 fu nominato cavaliere dell?Ordine Mauriziano e partecipò al
concorso (poi vinto da Antonio Fontanesi) per il posto di professore di
pittura nella neonata Scuola d?arte di Tokyo. Nel dicembre 1877 sposò
civilmente la modella Teresa Tambasco, dalla quale aveva già avuto due
dei cinque figli. Nel febbraio 1878 fu nominato professore onorario
dell?Istituto di belle arti di Napoli e lavorò al dipinto I notabili
del mio paese, la cui intonazione risponde ai canoni della pittura
di genere con una vena ironica. Si dedicò anche, spinto da ragioni di
sopravvivenza, alla pittura destinata al mercato, caratterizzata da
scene aneddotiche ricche di dettagli domestici, di cui è un esempio
La lezione di equitazione (1872, Vercelli, Museo Borgogna), opera
esposta a Torino nel 1880 e menzionata nei registri del mercante
parigino Adolphe Goupil. Nel 1880 dipinse una delle sue opere più
celebri, L?erede (Roma, Galleria nazionale d?arte moderna),
maturato quasi contemporaneamente alla scultura Proximus tuus di
Achille D?Orsi e inviato all?Esposizione nazionale di Milano del 1881.
Con L?erede, che suscitò l?acclamazione del pubblico, Patini inaugura il
proprio impegno nella pittura di contenuto sociale, radicata nella
difficile vita rurale abruzzese. Attraverso colori secenteschi che
accentuano lo squallore monocorde dell?ambiente e probabilmente
riversando nel soggetto un?eco della celebre Rue Transnonain di Honoré
Daumier, Patini enfatizza la condizione drammatica di un?intera classe
sociale, racchiudendo tuttavia, nella figura del bimbo, il "germe delle
grandi riforme sociali" (da una lettera alla principessa Maria della
Rocca, cit. in T. P., 1990, p. 27).
Appartenente al medesimo filone, ma con un?intonazione amara e senza
riscatto, è Tre orfani (Castel di Sangro, Pinacoteca civica), in
cui l?occhio di Patini, attento cronista della realtà che lo circonda,
si fissa ancora una volta sul quadro doloroso di un?infanzia desolata,
dominata da solitudine e povertà. Collocabile attorno alle stesse date è
Il sequestro o Nudo patriottismo (Bari, Pinacoteca
provinciale), dove la delusione per gli esiti dell?Unità prende forma
nell?irrompere dell?esattore nella casa del patriota - identificato come
tale dal ritratto di Mazzini accanto al letto - appena spirato.
Tra il giugno e l?agosto del 1882 dipinse, per una sala del liceo
provinciale aquilano (oggi Biblioteca provinciale Salvatore Tommasi), la
grande tempera L?aquila, dove il rapace è protagonista di una
scena verista, carica di pathos (un grande bozzetto conclusivo è di
proprietà della Cassa di risparmio della Provincia dell?Aquila). In
settembre fu nominato direttore artistico e insegnante di pittura della
scuola serale di arti e mestieri dell?Aquila, con lo scopo, secondo le
parole del contemporaneo Primo Levi, di promuovere con la sua
autorevolezza e capacità "lo sviluppo dell?arte industriale".
Al 1884 risale Vanga e latte, soggetto naturalista affrontato con
l?impegno del quadro di storia, dove grazie al punto di vista ribassato
e al paesaggio desolato sotto il cielo nuvoloso, la dimensione
quotidiana assume una grandezza epica. L?opera è giocata sul contrasto
tra le cure di una madre sfinita dalla fatica e la durezza del lavoro
dei campi; pur nello squallore della miseria, gli umili sono presentati
come figure che resistono, in certo modo eroicamente, all?avversità del
destino. Come Patini stesso raccontava in una lettera a Levi, in
osservanza dei più stretti principi veristi i modelli furono fatti
posare per buona parte all?aperto comportando notevoli difficoltà a
causa della rigidità del clima. Vanga e latte fu inviato
all?Esposizione nazionale di Torino del 1884 insieme a L?erede,
opera che nel frattempo era stata rubata e ritrovata a Londra. Alla
mostra torinese L?erede venne acquistato dalla Galleria nazionale
di Roma, mentre si segnalano due versioni successive, una nel Municipio
di Calascio e l?altra presso l?Accademia di belle arti di Napoli.
Vanga e latte fu invece comprato dal ministero dell?Agricoltura.
Nel 1886 dipinse Bestie da soma (Aquila, collezioni d?arte
dell?Amministrazione provinciale), presentato all?Esposizione nazionale
di Venezia del 1887. Il dipinto compone con L?erede e Vanga e
latte un?ideale trilogia sociale, segnando una tappa fondamentale
dell?arte realista italiana, attraverso l?applicazione di un rigoroso
principio di aderenza al vero. Le contadine, i corpi abbandonati e lo
sguardo assente per la fatica, sono immerse in una luce naturale che fa
risaltare il paesaggio roccioso sullo sfondo, quasi un traslato poetico
della bellezza indifferente della natura tesa a illuminare
impietosamente la miseria umana. A Palazzo Pitti a Firenze è conservato
un bozzetto riferibile alla prima versione dell?opera, mentre un altro,
relativo a una seconda stesura, si trova presso il Museo di Capodimonte
a Napoli. Si conoscono inoltre altri bozzetti e studi di particolari in
collezione privata. Patini fu anche paesaggista, dedicandosi soprattutto
a scorci abruzzesi tra i quali si ricordano Via Paradiso a Castel di
Sangro, nel quale rivela una sensibilità luministica partenopea, e
Alle sorgenti del Sangro (entrambi Castel di Sangro, Pinacoteca
civica).
Nel 1888 risulta membro della Commissione conservatrice degli scavi e
monumenti dell?Aquila e, nello stesso anno, fu eletto presidente della
Società operaia dell?Aquila, in seno alla quale organizzò, poco dopo, il
I Congresso regionale operaio. In quest?epoca aveva già eseguito Il
Medico condotto (anche noto come Il medico del villaggio o
Pulsazioni e Palpiti; Aquila, Amministrazione provinciale; del 1891
è una seconda versione), tutto incentrato sul nodo emozionale dei
personaggi riuniti intorno al capezzale del malato, ed era intento a
finire il S. Carlo Borromeo tra gli appestati, commissionato dal
priore della Confraternita dei Ss. Ambrogio e Carlo del popolo milanese,
poi collocato nel duomo dell?Aquila. Dell?opera si conoscono uno studio
e tre bozzetti, dei quali uno si trova nelle collezioni d?arte della
Cassa di risparmio della Provincia dell?Aquila, un secondo, di grandi
dimensioni (più quadro compiuto che bozzetto), presso il Comune
dell?Aquila, il terzo in collezione privata. Tra il 1888 e il 1892
dipinse ad affresco le figure degli Evangelisti, nei pennacchi della
chiesa aquilana di S. Maria della Concezione. Nel 1889 partecipò
all?Esposizione di belle arti di Roma e, con la delegazione massonica
aquilana, fu presente alla cerimonia d?inaugurazione del Monumento a
Giordano Bruno in Campo de? Fiori. Tra il 1891 e il 1901 lavorò a
Il Messia, acquistato da Enrico Camerini, più tardi sindaco
dell?Aquila, mentre nel 1892 terminò L?Annunciazione per la
chiesa di S. Nicola a Calascio, antico borgo che conserva, del medesimo
artista, nella chiesa di S. Antonio, Le tentazioni di S. Antonio
abate e un?altra Annunciazione.
A partire da questi anni si concentrò particolarmente sui soggetti
religiosi, tra cui ricordiamo Crocefisso (1897) per la cattedrale
di S. Pelino a Corfinio, Cristo nell?orto (Collezione Intesa
Sanpaolo; un altro esemplare è a L?Aquila, collegio d?Abruzzo dei padri
gesuiti) e
L?evangelista Matteo. Al 1894 risale la prima redazione di
Orfanelle, dove la luce morbida che si posa sui volti sembra
materializzare l?innocenza dell?infanzia ancora inconsapevole dei mali
dell?esistenza. Il soggetto sarebbe stato in seguito parzialmente
ripreso nell?Angelo custode, realizzato tra il 1901 e il 1903 per
la chiesa di S. Maria dei Raccomandati (oggi in deposito presso la Curia
arcivescovile dell?Aquila) a San Demetrio ne? Vestini. Tra il 1894 e il
1895, decorò la sala Baiocco dell?albergo Italia a L?Aquila; nel 1895 la
regina Margherita di Savoia gli fece visita nello studio aquilano. Si
infittivano intanto i contatti di Patini con l?ambiente massonico, in
particolare con Vincenzo Orsini e Luigi Frasca, che lo aiutarono
economicamente attraverso acquisti e incarichi. Simbologie e
interpretazioni massoniche permeano alcune opere della sua stagione
matura.
Nel 1898 eseguì la tela con S. Antonio da Padova per il santuario
della Madonna della Libera a Pratola Peligna. Nel 1900 due opere chiave
dell?impegno sociale patiniano, ovvero
Pulsazioni e palpiti e la seconda versione de L?erede,
furono scelte, insieme a Pancia e cuore (Roma, Galleria nazionale
d?arte moderna), da un comitato napoletano per figurare all?Esposizione
universale di Parigi; una commissione nazionale formata da Francesco
Jacovacci, Ettore Ferrari e Camillo Boito optò tuttavia per
l?esposizione solo di Pancia e cuore che, a quel punto, fu
ritirata dall?artista. Nello stesso anno partecipò al concorso per il
posto di professore di pittura nell?Accademia di belle arti di Napoli,
città nella quale in quel periodo risulta in cura per problemi nervosi
presso la casa di salute villa Petrilli a Capodimonte. Nel maggio 1903
fece ritorno all?Aquila dove portò a termine Redenzione
per San Demetrio ne? Vestini. Nel 1905, grazie all?interessamento di
Leonardo Bianchi, rettore dell?Università di Napoli e membro del Gran
Consiglio della massoneria italiana, partecipò al concorso indetto dal
ministero della Pubblica Istruzione per la decorazione dell?aula magna
dell?ateneo partenopeo del quale risultò vincitore. Nel 1906 ricevette
dal Consiglio comunale la cittadinanza onoraria dell?Aquila. Poco dopo
si trasferì a Napoli per lavorare alla decorazione dell?Università che
non riuscì a portare a termine (ne resta testimonianza in alcune foto
d?epoca dei bozzetti). Morì a Napoli il 16 novembre 1906.
(Eugenia Querci - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 -
2014)
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