Pillole d'Arte

    
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Giuseppe Pellizza da Volpedo




Volpedo (Al), 28/07/1868 - 14/06/1907

Frequentò l'Accademia di Brera a Milano, poi quella di Bergamo, discepolo di Cesare Tallone. Il primo quadro che egli espose fu Mammine, al quale fu assegnata una medaglia d'oro alla mostra Italo Colombiana di Genova nel 1892. Dal 1893 al 1895 visse e studiò a Firenze frequentando anche quell'Accademia. La sua vera affermazione però l'ebbe col quadro Fienile, che esposto a Milano nel 1894, a Firenze nel 1895 e a Torino nel 1896, sollevò molto rumore. Prima di adottare il metodo divisionista sui precetti di Angelo Morbelli, dipinse opere, con fermezza e sicurezza di disegno, con forza di chiaroscuro e con figure tipicamente caratterizzate, che si possono classificare di prima maniera. Alcune di queste, di grande interesse, sono: "L'annegato" (collezione Fiano, Roma); Mammine; Il fienile; Testa di vecchio; Ritratto dei signor Berutti; La moglie dell'emigrato; Discussione in canonica; Mediatore, quest'ultima conservata nella raccolta del signor Guido Rossi di Milano; Il ricordo di un dolore, nell'Accademia Carrara di Bergamo.

Le principali tele trattate con la tecnica divisionista, che il Pellizza definiva "più efficace e più consistente e talvolta più vaporosa e spirituale" sono: Girotondo, nella Galleria d'Arte Moderna di Milano; La statua a Villa Borghese, in quella di Venezia; La processione, nella citata raccolta del signor Guido Rossi; Morticino; Le prime nebbie; Lo specchio della vita; L'amore nella vita (trittico), nella collezione del comm. Eugenio Balzan a Milano; Vecchio mulino a Volpedo; Tramonto sulle colline di Volpedo; Montagna dell'Alta Engadina, che dipinse durante una visita a Segantini che amava come un padre; La neve; Passeggiata amorosa; Il galeotto di Portolongone, di proprietà dell'avv. Garbagni; I due pastori; Ponte castello; Prato fiorito; La Monta di Bogino; Il carro di Titone; La Clementina (paesaggio); Fiore reciso; Speranze deluse; Autoritratto, conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

Ha lasciato inoltre diversi ritratti e molte Madonne per le quali prediligeva la sembianza di sua moglie, una bellissima contadina che egli istruì ed educò in modo da farne una donna colta e gentile. Egli visse quasi sempre nella sua Volpedo, agricoltore e artista in sincerità ed umiltà di vita una vita d'affetti intensi e di profonda poesia. Il suo capolavoro, Quarto Stato, conservato nel Castello Sforzesco a Milano, rimane a dimostrare come il Pellizza possedesse non solo eccellenti qualità di artista moderno, attivo, studioso e diligente, ma fosse anche un precursore del concetto di elevazione e di educazione del popolo: del popolo lavoratore, dignitosamente inquadrato e guidato da un capo lungimirante. Questo irrequieto ed incontentabile artista volle ottenere dal suo pennello, tutta la forza che potevano dare i colori e tentò raffigurare Il sole nascente, in un suo grande lavoro, conservato nella Galleria d'Arte Moderna di Roma. L'opera riuscì ammirevole, ma la vista dell'artista ne ebbe a soffrire una forte scossa per la profonda osservazione del fenomeno luminoso.

In quel tempo gli venne a mancare la sua buona Teresa, e l'infelice Pellizza, privo della dolce e diletta compagna, ebbe un momento di supremo sconforto. Nel suo studio, di notte, si appese per il collo ad un filo di ferro e rinunciò così, forse, a conoscere la gloria. Fra i raccoglitori di opere del Pellizza si cita il Cav. Carlo Masera di Vigevano che conserva un buon numero di dipinti e fra essi una interessante variazione del Quarto Stato, ed un piccolo prezioso studio del Sole nascente.

A. M. Comanducci (Ed. 1962)

 

 Figlio di agiati possidenti, aggiunse al cognome la denominazione del paese natale, dove risiedette tutta la vita. La sua formazione artistica fu varia e precoce: a quindici anni, compiuti gli studi tecnici, era già iscritto a Milano all'Accademia di Brera, di cui frequentò i corsi per tre anni, dal 1884 al 1887, studiando pittura con P. Sanquirico. Nei primi mesi dell'87 fu a Firenze per un breve soggiorno, durante il quale fece la conoscenza di P. Nomellini, allora alle prime prove nello stile macchiaiolo, ma che, convertitosi in seguito al divisionismo, sarà fra quelli che lo orienteranno verso la nuova tecnica pittorica; nell'ambiente macchiaiolo Pellizza conobbe probabilmente anche un certo A. Muller, pittore mediocre, vissuto a Parigi: uno dei pochi italiani del suo tempo ad aver assimilato la lezione dell'impressionismo, Muller affascinava la nuova generazione, la quale, col cercar di imitare i dipinti da lui ammirati in Francia e appassionatamente descritti, così scatenava le ire del vecchio G. Fattori: " ... la storia vi registrerà come servi umilissimi di Pissarro, Manet ecc... e in ultimo del signor Muller".

Tuttavia, è forse a questo pittore che Pellizza dovette l'aver visto più di quanto normalmente vedessero i suoi compatrioti nella sua visita al Salon parigino del 1889. Durante l'anno 1888-89 Pellizza lavorò all'Accademia di Brera. Fino al 1897 lo stile di Pellizza rispecchiò l'influenza combinata di Cesare Tallone e dell'estetica macchiaiola; nella sua produzione prevalgono i ritratti e le nature morte, resi in una sintesi formale che rivela uno spiccato senso del disegno e dei valori plastici. L'avvicinamento di Pellizza al divisionismo fu dovuto principalmente all'influenza di Angelo Morbelli, uno dei primi a Milano ad adoperare la nuova tecnica, e rappresentò un cambiamento drastico rispetto al suo precedente indirizzo stilistico. Pellizza conobbe Morbelli nel 1894 (la loro corrispondenza è documento assai rivelatore su questo periodo dell'arte e della cultura italiana); e se già due anni prima il quadro Mammine (Leningrado, Hermitage), presentato alla Colombiana di Genova, aveva dimostrato il suo interesse per le ricerche cromo-luministiche, è solamente con La processione (1894-95, Milano, Mus. Naz. della Scienza e della Tecnica), Speranze deluse (1894, Roma, coll. privata) e L'annegato (1894, Alessandria, Pinacoteca Civica), eseguiti dopo l'incontro con Morbelli, che si può parlare di un divisionismo rigoroso, un divisionismo che non ha equivalente nella scuola italiana, perché inteso come "puntinismo" minuto che decompone il colore nei suoi elementi prismatici e produce un'intensità luminosa irraggiungibile col miscuglio chimico.

Nello stesso momento i soggetti dei quadri di Pellizza si caricano di allusioni sociali, nelle quali si riflettono le sue letture politiche e il suo profondo senso umanitario. Il suo interesse per il pensiero socialista è, come per G. Pascoli, l'espressione di un temperamento sensibilissimo che soffre le sofferenze degli umili e sogna un mondo migliore. Esso culminò nel monumentale Quarto Stato (Milano, Palazzo Marino) al quale il Pellizza lavorò, con una serie di bozzetti e disegni, dal 1896 al 1901. Sotto l'influenza di un gruppo di letterati fiorentini della cerchia della rivista "Il Marzocco", per la quale egli stesso scrisse articoli sul divisionismo, la sua ispirazione si fece decisamente allegorica e i temi simbolisti, dopo il '96, prevalsero su quelli sociali. Parallelamente, Pellizza si dedicò a un'interpretazione lirica del paesaggio con opere di fattura libera e di derivazione fontanesiana che si alternano a opere rigorosamente divisioniste, come il famoso Panni al sole (Milano, coll. priv.) del 1905.

(Enciclopedia Europea Garzanti - Annie Paule Quinsac)

Il Quarto stato

Dal 1894-95 Pellizza aveva iniziato ad acquistare tutti gli opuscoli socialisti e marxisti editi da "Critica sociale": infatti egli intendeva sviluppare la via intrapresa con un bozzetto dal titolo Ambasciatori della fame fin dal 1891-92, e per il quale, negli anni novanta, aveva potuto trarre spunto solo nelle opere di Longoni. La prima idea era stata fornita a Pellizza da manifestazioni operaie urbane (come documentano alcuni schizzi) ma, subito, per coerenza con il mondo rurale della sua vita (a Volpedo nel 1890 aveva deciso di vivere e di lavorare) tradusse questo motivo nella realtà contadina. I contadini volpedesi, sino allora ritratti singolarmente e come individui isolati, divennero i protagonisti di un episodio della lotta di classe, uno sciopero e una marcia di protesta, ambientata nella piazzetta di Volpedo antistante Palazzo Malaspina. I gesti dei lavoratori facevano riferimento più che alla solidarietà umanitaria, postulata dalle società di mutuo soccorso, alla combattività delle leghe di resistenza contadine.

Il passaggio da Ambasciatori della fame al più vasto Fiumana fu il frutto di uno strenuo impegno intellettuale e di una lunga meditazione sui valori della classe contadina; in nuovo approfondimento Pellizza maturò nel 1898, anno delle repressioni milanesi di Bava Beccaris, il definitivo Il Cammino dei lavoratori o Quarto Stato. La tela aveva raggiunto le dimensioni di un manifesto-stendardo, rivolto ai contadini e agli operai stessi che avevano posato per le sue figure (nel 1897 e 1898 quello di sinistra Clemente Bidoni; nel 1899 quello centrale Giovanni Zarri, entrambi muratori ma anche lavoratori della terra). L?impegno anche fisico di Pellizza era stato enorme; ma, alla esposizione torinese del 1902, constatò che la pittura italiana aveva marciato in tutt?altra direzione: nutrì il dubbio che il suo lavoro non fosse più attuale, dubbio che i critici d?arte sembrarono confermargli, ma negarono decisamente i giornali e la stampa di classe.

La vitalità dell?immagine si manifestò subito in un ambito diverso da quello tradizionale, attraverso cioè la riproduzione fotografica, che esaltava la concreta sintesi delle immagini. Semplificata da questo medium, che ne eliminava gli aspetti tecnici più riferibili al processo pittorico, diffusa presso un pubblico assai più ampio di quello delle esposizioni artistiche, il Quarto Stato ebbe valore proprio per i contenuti non contingenti, ma globalmente progressivi di incitamento ad affermare ineluttabile l?emancipazione del proletariato che esso esaltava e celebrava.

(Storia dell'Arte - Einaudi)

(sito dedicato all'artista wwwellizza.it)