Roma, 20/11/1781 - 01/04/1835
Studiò all'Accademia di S. Luca, poi a Bologna, protetto dal principe
Lambertini. Tornato in Patria, pur frequentando ancora l'Accademia, per
sovvenire ai bisogni dell'esistenza cominciò a far disegni che poi
vendeva a vil prezzo nei caffè. Si fece così conoscere, specialmente
dagli stranieri, fra i quali il pittore tedesco Keisermann, al quale
l'artista fu legato per alcuni anni da fraterna amicizia. Nel 1809 il
Pinelli si mise ad incidere all'acquaforte le originali caricature di
tipi popolari che lo resero famoso. Poi, con pronta ispirazione e felice
esecuzione eseguì innumerevoli disegni nei quali descrisse le scene ed i
costumi di Roma e del Lazio, pubblicò illustrazioni delle opere di
Virgilio, di Dante, del Tasso e dell'Ariosto, del Cervantes, dei
"Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni.
Eccelse nell'illustrazione del poema eroicomico romanesco "Meo Patacca"
di Giuseppe Berneri, e nelle stampe in cui ricostruì magistralmente gli
avvenimenti della guerra di Spagna di Napoleone. Allontanatosi sempre
più dall'Accademia e dai suoi insegnamenti, usò tutti i mezzi per
esprimere i suoi concetti: l'olio, la tempera, l'affresco. All'estero, a
Bruxelles e specialmente a Parigi, ottenne grandi successi. Con le
tavole dei "Promessi Sposi" tentò le prime litografie introdotte a Roma
(1830). Rimane citato nella storia dell'arte soprattutto come rapido,
fecondo, fantasioso disegnatore, abilissimo nella composizione di
figura, vivace e sdegnoso nel tocco.
(A. M. Comanducci)
Nacque a Roma il 19 novembre 1781 da Giovanni Battista e Francesca
Cianfarani, nel quartiere Trastevere, nei pressi dell?ospedale S.
Gallicano.
Le fonti concordano sul primo apprendistato presso il padre, "scultore
mediocre" che sopravviveva modellando piccoli rilievi e statuette di
terracotta. All'età di undici anni circa, trasferitosi a Bologna con
lui, Bartolomeo trovò un sostenitore in Giovanni Lambertini, pronipote
di Benedetto XIV. Affidato al pittore e incisore Giambattista Frulli,
frequentò l'Accademia Clementina dove, nel 1798, vinse il primo premio
per la scultura, con un tondo a rilievo raffigurante Bruto condanna i
suoi figli a morte. Il suo ritorno a Roma, dove fu accolto in casa
dell'abate modenese Levizzari, avvenne verso la fine del secolo, forse
dopo la fugace partecipazione alla spedizione della Repubblica Romana
contro l'insurrezione di Civitavecchia nel gennaio 1799. Dal 1802 circa
fu ospite e collaboratore, come figurista, del paesaggista svizzero
Franz Kaiserman con il quale sperimentò l'uso della camera ottica. A una
sorta di sdoppiamento con questo artista può essere collegato l'uso del
nome Francois con cui Pinelli firmava acquerelli e incisioni nel 1805.
Nel 1809, Pinelli risultava abitare in via delle Carrozze -
probabilmente un altro ingresso per l?abitazione di piazza di Spagna 90
che lui stesso aveva indicato come suo indirizzo nel 1808 -
denunciandosi come Francesco Pinelli, insieme alla moglie Mariangela Latti
e ai due figli, Maria di tre anni e Cesare, di tre mesi, in realtà
Achille (1809-1841), futuro allievo ed erede (Roma, Archivio storico del
Vicariato, Parrocchia di S. Lorenzo in Lucina, Stato delle anime 1809,
f. 19). Nel 1812 e nel 1814, sarebbe comparso come Bartolomeo Pinelli,
sempre con la moglie e i due figli, dei quali il maschio era
correttamente nominato Achille.
In quegli anni, Pinelli frequentò l'Accademia di S. Luca e fu premiato
tre volte nel 1805, nel 1807 e nel 1809. Il disegno raffigurante Cristo
e l?adultera, relativo alla prova del 1805, richiamava moduli di Felice
Giani. Mentre è smentita la collaborazione con l'artista per le
decorazioni di palazzo di Spagna (Ottani Cavina, 1999, II, p. 578), è
probabile la partecipazione di Pinelli all'Accademia della Pace,
ispirata e coordinata tra Roma e Bologna da Giani per tutto l'arco della
sua vita. La ricchezza e la novità dei temi affrontati in questo ambito,
il ruolo essenziale del disegno come estemporaneo strumento di
interpretazione dei soggetti, sulla base della tradizione classica, in
un clima di fraterna emulazione tra gli artisti, appaiono il sostrato
coerente della produzione di Pinelli.
Dal 1806 eseguì numerosi acquerelli con scene popolari, avviando
un'elaborazione autonoma di tematiche pittoresche, corrispondenti alla
crescente domanda del mercato, confermata dal successo del tema alla
prima delle annuali mostre in Campidoglio istituite dal governo francese
nel 1809. Nello stesso anno, con la Raccolta di Cinquanta costumi
pittoreschi, Pinelli si cimentò per la prima volta con l'incisione,
fissando l'iconografia idealizzata del popolo romano attraverso un
linguaggio lineare, semplificato - inaugurato da John Flaxman alla fine
del Settecento - e permeato dalla nozione di anatomie e fisionomie
classiche che egli avrebbe riproposto con la pubblicazione di raccolte
diverse fino al 1831.
In un acquerello firmato e datato 1809 raffigurò il recital di Charlotte
Henriette Haser, a palazzo Fiano, residenza romana di Federico di
Sassonia Gotha. La presenza di intellettuali e artisti, tra i quali
Antonio Canova, Bertel Thorvaldsen, Vincenzo Camuccini, testimoniava i
contatti di Pinelli con i protagonisti dell'arte a Roma e la
frequentazione dei salotti della capitale. Nel 1810 circolò
clandestinamente, senza autore, La scuola di Priapo inventata da Giulio
Romano, una serie di incisioni all?acquaforte in cui Pinelli rielaborò i
modelli cinquecenteschi, in sintonia con una licenziosità ispirata
all?antico, tipica della cultura dell?epoca.
Durante il governo napoleonico, Pinelli aderì alla propaganda
filofrancese, accettando la commissione ufficiale di disegni e
incisioni. Nel 1811, per la nascita di Napoleone Francesco Carlo, figlio
dell'imperatore nominato re di Roma, eseguì una serie di disegni
allegorici, due dei quali tradotti in medaglie da Tommaso Mercandetti.
In un biglietto non datato a Guillaume Lethière - direttore dell'Académie
de France dal 1807 al 1816 - Pinelli dichiarava di aver ricevuto sei
scudi per l?incisione della statua di Napoleone (Rome, Archives
de l'Académie
de France, faldone 14, f. 93). Nel 1811 illustrò con quattro tavole gli
interventi di scavo al Foro Romano voluti dai francesi e diretti da
Giuseppe Camporese e, nel 1812, fu coinvolto in un progetto di
riproduzione di pitture della Domus Aurea, al quale rinunciò nel 1813.
Tra il 1809 e il 1814, Pinelli fu tra gli artisti autorizzati dal
governo francese a occupare alcuni ambienti dell?ex convento della
Trinità dei Monti; in quel periodo incise a semplice contorno gli
affreschi del chiostro della chiesa omonima. Con la stessa tecnica
lineare, apprezzata dagli specialisti dell'epoca, Pinelli copiò, nel
1813, il fregio degli affreschi della Farnesina ? erroneamente
attribuiti a Giulio Romano ? dedicandoli a Martial Daru. Responsabile
delle committenze per le decorazioni del palazzo del Quirinale, Daru,
nello stesso anno, aveva affidato a Pinelli quattro dipinti raffiguranti
scene di storia romana per il Bagno dell'imperatore che, forse per il
precipitare degli eventi, non furono mai realizzati.
Con la Fucilazione del brigante Spadolino alla Bocca della Verità, del
1812, Pinelli dette inizio al racconto delle vicende che in quegli anni
opposero bande di fuorilegge nelle campagne a sud di Roma alle autorità
francesi e in seguito al governo pontificio. Insistendo sugli episodi di
cronaca più drammatici, Pinelli anticipava l'epopea romantica che, sul
tema, avrebbe concepito di lì a poco il pittore franco-elvetico Louis-Léopold Robert. Nel 1822 illustrò
Venticinque soggetti di Briganti
per il conte Nikolaj Dmitrievich Gouriev e l'anno seguente concepì una
vera e propria cronaca illustrata dal titolo Raccolta de' fatti li più
interessanti eseguiti dal capo brigante Massaroni per la strada che da
Roma conduce a Napoli, dall?anno 1818 fino al 1822 (Roma 1823), che ebbe
due edizioni inglesi. Per lo stesso Gouriev e per William Cavendish, VI
duca di Devonshire, Pinelli si misurò anche con la tecnica della pittura
a olio.
Dei sei dipinti ricordati dalle fonti, si conoscono Il Saltarello
notturno delle mozzatrici, datato 1821, e la coeva Ripresa dei barberi
(entrambi al Museo di Roma). Un terzo dipinto a olio, Scena di
saltarello fuori Porta, in vendita presso la Galleria Walter Padovani di
Milano nel 2013, è oggi in collezione privata. Un quarto dipinto,
raffigurante un gruppo di popolani romani, esposto alla mostra curata
nella capitale nel 1956 da Giovanni Incisa della Rocchetta, è invece
attualmente disperso.
Caduto Napoleone, Pinelli si adattò con flessibilità al nuovo clima
politico, eseguendo, nel 1814, disegni e incisioni commemorativi delle
cerimonie e degli apparati effimeri allestiti per il ritorno di Pio VII
a Roma e collaborò con artisti spagnoli legittimisti illustrando la
guerrilla vittoriosa contro i francesi.
L?attenzione di Pinelli agli orientamenti culturali dell'epoca emerge
dall'impegno dedicato, soprattutto negli ultimi quindici anni circa
della sua attività, a interpretare la letteratura e la storia antiche,
in sintonia con il nascente interesse ideologico ed erudito per il tema
delle origini nazionali. Nel 1811, presso Luigi Fabri, aveva pubblicato
l'Eneide e, nel 1819, con Giovanni Scudellari, vide la luce l'Istoria
Romana. Realizzata con il lavoro di tre anni, in cento tavole su carta
pregiata, di formato più grande di tutte le precedenti, l?opera si
basava sulla traduzione settecentesca di Charles Rollin della storia di
Tito Livio, sviluppando un efficace linguaggio di schemi narrativi e
gestuali, amplificazione enfatica della contemporanea pittura di storia,
da Pelagio Palagi a Camuccini.
Il successo gli suggerì nuove iniziative e, nel 1821, Pinelli pubblicò
Raccolta di n. 100 soggetti li più rimarchevoli dell?Istoria greca e, a
distanza di pochi mesi, Raccolta di n. 100 soggetti li più rimarchevoli
dell?Istoria romana. All'ulteriore popolarità di queste due edizioni
contribuì il testo esplicativo di Fulvia Bertocchi che accompagnava le
tavole di entrambe. Autrice di testi teatrali e didattici, la scrittrice
animava a Roma un salotto letterario, frequentato anche da Gioacchino
Belli, cui è probabile partecipasse lo stesso Pinelli. Con Scudellari,
dal 1820, l'artista progettò l'Istoria degli Imperatori che incise fra
il 1821 e il 1824 e completò nel 1829. Nel 1826 firmò settantuno
acquerelli a monocromo di soggetto mitologico, per i quali fu giudicato
da Francesco Podesti «sovrano disegnatore e compositore» (De Gubernatis,
1897). Ancora inediti alla morte dell?artista, gli acquerelli
furono acquistati dagli editori Maussier e Maruca di Roma che, nel 1895
e nel 1897, li pubblicarono in due diverse edizioni con il titolo
Mitologia illustrata.
Pinelli aveva avuto rapporti continuativi anche con Antonio Guattani,
per il quale incise alcune tavole del V tomo delle Memorie
enciclopediche del 1809 e il frontespizio allegorico dello stesso
periodico del 1817, rinnovato nel nuovo clima della Restaurazione.
I contatti con l'Accademia di S. Luca, anche se controversi, sono
testimoniati dall'illustrazione della copertina di un opuscolo sulla
cerimonia della distribuzione dei premi per il concorso Clementino del
1824 che riapriva dopo un'interruzione ventennale. In un disegno a penna
e inchiostro dello stesso anno, Pinelli si rappresentò al lavoro nel
nuovo studio a Via Felice 134, dove visse fino alla morte. Diverso dai
precedenti autoritratti che accompagnarono quasi tutte le serie incise,
questa immagine, con l'ampia stanza occupata dall'esposizione di decine
delle sue opere riconoscibili, ricalcava la tradizionale iconografia
dell?artista nel suo studio, rivelando una nuova consapevolezza
dell?autore affermato.
Nella documentazione frammentaria e spesso inesatta - per il gusto della
burla di Pinelli - dello Stato delle anime della parrocchia dei Ss.
Vincenzo e Anastasio, tra il 1825 e la sua morte, l?artista risultava
abitare da solo in quella casa studio, salvo qualche intermittente
apparizione di un figlio con nomi diversi, identificabile con Achille.
Nella constatazione di morte, sarebbe risultato vedovo.
Negli anni che separano le prime incisioni della Istoria degli
Imperatori dalle ultime, Pinelli si dedicò intensamente
all'illustrazione letteraria. Il suo linguaggio lineare e la rapidità di
esecuzione si prestavano alle esigenze dell'editoria romana, in
competizione con quella di Milano, Firenze e Venezia, dove circolavano,
già dal secondo decennio del secolo, edizioni illustrate della storia e
della letteratura nazionale ed europea. Nel 1823 Pinelli illustrò Meo
Patacca, un poema romanesco eroicomico di Giuseppe Berneri, ambientato
all'epoca dell?assedio turco di Vienna del 1683. Tra il 1825 e il 1826
riprese la collaborazione con l'editore Scudellari, pubblicando i rami
delle tre cantiche della Divina Commedia. La Biblioteca italiana
dell?aprile-giugno 1828 recensì entusiasticamente l'opera «immaginata ed
espressa con franchezza di disegno, con felicità d?invenzione e con
verità di mosse e d?affetti» (Mazzocca, 1981, p. 357). Ancora con
Scudellari, nel 1827, pubblicò La Gerusalemme liberata e, nel 1829,
L?Orlando furioso. Nel 1828, per Fabri, aveva eseguito cento rami de
Le
avventure di Telemaco, testo pedagogico di Fénelon, apprezzato nei
salotti dell?epoca, e le prime quattro tavole da L?Asino d?oro di
Apuleio. Con la Litografia delle Belle Arti di Giuseppe Cecchini in via
del Clementino, fra il 1830 e il 1832 Pinelli sperimentò la nuova
tecnica per l'illustrazione dei Promessi Sposi. Infine, nel 1834, per Romualdo Gentilucci, interpretò il mondo picaresco di Miguel de
Cervantes con Le azioni più celebrate del famoso cavaliere errante don
Chisciotte della Mancia.
In quegli ultimi anni, tra il 1829 e il 1832, lavorò anche per la
Calcografia camerale, con una nuova serie di rami di grande formato
sulla storia greca e un?altra sui costumi romani, diversa da tutte le
precedenti.
Anche l?illustrazione devozionale, fonte necessaria e costante di
guadagni, punteggiò tutta la carriera di Pinelli. Tra il 1808 e la sua
morte incise storie bibliche e di santi per l'ottavario dei morti,
fissando la memoria delle cerimonie allestite con fondali dipinti e
statue di cera nei cimiteri di confraternite e chiese. Al rito della Via
Crucis dedicò due serie, nel 1822 e nel 1833.
Oltre all?esperienza con Kaiserman, nel corso della sua carriera,
Pinelli si dedicò ancora all?attività di figurista collaborando con
Johann Friedrich Gmelin e con Angelo Uggeri. Ma il rapporto più
continuativo si stabilì, tra il 1817 e il 1835, con il più giovane Luigi
Rossini (1790-1857). Nelle sue vedute l'incisore inseriva gruppi di
figure, inventando e incidendo il frontespizio de I Sette colli di Roma
antica e moderna del 1829. Su questo soggetto Pinelli aveva anticipato
l?amico pubblicando, nel 1825, grandiose visioni panoramiche dei colli
romani.
La sua attitudine a modellare in terracotta, sperimentata con il padre,
si era affinata a Bologna nell'ambito della tradizione locale di
stuccatori e modellatori di argilla. A questa produzione si dedicò
intensamente negli ultimi anni, mentre ne preparava il catalogo a stampa
che avrebbe pubblicato nel 1834 con il titolo Gruppi pittoreschi
modellati in terracotta da B. P. ed incisi all'acquaforte da lui
medesimo. Oltre a esigenze commerciali, con quest'opera, conclusa un
anno prima della morte, Pinelli sembrò rivendicare il mestiere di
scultore, atteggiamento evidente in un autoritratto nell'atto di
modellare destinato a Thorvaldsen. Le terrecotte corrispondevano ai temi
delle incisioni - scene popolari, idilli bucolico-pastorali, risse
violente di briganti - interpretati con un linguaggio accademico,
ispirato ai modelli classici e animato da un forte senso della linea. In
una terracotta di notevoli dimensioni, datata 1834, Pinelli affrontò
altresì un tema epico, Achille trascina il corpo di Ettore, derivato
dall?iconografia sei e settecentesca di Pietro Testa e Gavin Hamilton.
Sostrato della varietà e vivacità espressiva delle immagini di Pinelli
fu la costante pratica del disegno dal vero, secondo i criteri
tradizionali dell'insegnamento accademico e, allo stesso tempo, frutto
di un'appassionata osservazione della realtà quotidiana. Per quanto
siano rari i disegni e gli schizzi in relazione diretta con le incisioni
delle diverse serie, è evidente che il repertorio di queste si basa
sull'appunto rapido e immediato durante i suoi pellegrinaggi per la
città e le soste nelle osterie. Provenienti dagli eredi dell'editore Fabri, il Museo di Roma possiede una serie di circa ottanta studi e
disegni finiti, tra cui il famoso ritratto di popolano, identificato
dalle iscrizioni come "vero discendente romano", e alcuni nudi di
raffinato realismo. Altri nudi di analoga qualità e schizzi raffiguranti
personaggi diversi, colti con immediatezza, alcuni caricaturali, furono
collezionati da Thorvaldsen e oggi sono conservati a Copenaghen, al
Museo a lui intitolato.
Nonostante i guadagni molto alti, Pinelli fu oppresso dai debiti per
tutta la vita, come testimoniato dalla pur scarsa documentazione
autografa costituita da biglietti a editori e amici in cui offriva il
suo lavoro in cambio di prestiti e anticipi di denaro. L'artista lavorò
perciò indefessamente sino alla fine. Diciotto ore prima di morire,
completò l?ultimo rame del Maggio romanesco, poema dialettale di
Giovanni Camillo Peresio pubblicato poco dopo da Romualdo Gentilucci.
Probabilmente consumato dall'abuso di alcol, morì a Roma il 1° aprile
1835.
Al funerale, celebrato solennemente dagli allievi dell'Accademia di S.
Luca, con il contributo economico degli amici e degli estimatori, le
cronache ricordano una grande affluenza popolare. L'artista fu tumulato
nella chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio dove, cento anni dopo, si era
persa traccia del luogo preciso.
Come riconosciuto già dai contemporanei, la produzione di Pinelli fu
prodigiosa per quantità e varietà. Lo straordinario successo commerciale
ne ha determinato la dispersione nel mondo in collezioni private e
musei, la cui ricognizione più esaustiva è tuttora quella di Giovanni
Incisa della Rocchetta che curò il catalogo della mostra romana del
1956. Nel 1835, gli editori con i quali Pinelli aveva lavorato, in
particolare Scudellari e Fabri, possedevano la quasi totalità delle
matrici delle sue opere, circa duemila disegni e numerose terrecotte.
Gran parte di questi materiali sono confluiti in istituzioni romane: il
Museo di Roma a Palazzo Braschi, l'Istituto nazionale per la grafica e
la Galleria nazionale di arte moderna, il Museo Napoleonico. Tra i musei
nel mondo, oltre ai disegni del Museo Thorvaldsen, si ricorda un album
di novanta disegni conservato al Metropolitan Museum di New York.
(R. Leone - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 - 2015)
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