Roma, 11/02/1860 - 03/10/1932
Fu il rampollo di una famiglia di artisti (scultore era il nonno
Girolamo, e scultore pittore il padre Raffaele). Apprese dal padre i
primi rudimenti del disegno, ma volle presto affrancarsi da ogni
influenza familiare perchè il suo temperamento potesse rafforzarsi, e
perfezionarsi la sua tecnica indirizzando il tirocinio artistico allo
studio minuzioso e severo degli affreschi, dei quadri, dei mosaici e
delle statue dei Musei romani e delle Basiliche. Rilevò dalle pitture e
dalle sculture antiche, copiando ed imitando, gli insegnamenti
tradizionali del disegno, della coloritura e della composizione con
sempre maggiori progressi ed intensità critica ed interpretativa.
Ebbe una gioventù fervorosa di tentativi e di esperienze nella Roma
ancora perplessa del decennio dall'ottanta al novanta, epoca di
assestamenti e di entusiasmi, di battaglie politiche e artistiche che si
pronunziavano e si dibattevano tra i partiti, i gruppi le scuole e le
tendenze. A quel tempo frequentò i cenacoli letterari, e iniziò
un'attività aristocratica di scrittore con prose critiche e narrative
che pubblicò su giornali e riviste. Amico di Gabriele d'Annunzio,
disegnò le tavole e i fregi del poema "Isotta Gottadauro" e con lui
cooperò alla fondazione di un grande giornale illustrato, uno dei primi
fatti sull'esempio dei grandi "magazines" stranieri, che ebbe effimera
vita.
La prima maniera del Sartorio, alcuni quadri di genere e d'ambiente
settecentesco, s'ispirava al gusto di Mariano Fortuny. Ma presto rivelò
una spiccata personalità col quadro Malaria, esposto a Roma nel
1882, che lo segnalò all'attenzione della critica e del pubblico. Nel
1889 si recò a Parigi, insieme al già noto e discusso Francesco Paolo
Michetti. Quivi espose I figli di Caino, uno dei quadri che
suscitarono più eco in quella stagione artistica; esso diede campo alla
critica francese di esprimere un giudizio schietto e lusinghiero sulle
qualità del giovine pittore italiano. Dal 1895 al 1900; visse un lustro
di intensa laboriosità: accolse l'invito del Granduca Carlo Alessandro
di Sassonia Weimar, e fu insegnante all'Accademia di Weimar; proseguì
nella sua opera di pittore, di critico e di narratore; dipinse il
celebre dittico
La Gorgone e gli eroi e
Diana d' Efeso e gli schiavi , esposto all'Internazionale Veneziana del 1897, ora alla
Galleria d'Arte Moderna di Roma.
Nel decennio successivo al suo ritorno da Weimar oltre agli studi; e ai
disegni di animali e di paesaggi sullo sfondo della Campagna romana e
delle Paludi Pontine e a molte tele che rivelavano la sua rara maestria
nel rappresentare e nel comporre la vigorosità del nudo, il Sartorio
portò a termine due imprese grandiose: i fregi allegorici in chiaroscuro
per la Biennale di Venezia e quelli per la nuova aula di Montecitorio,
dove rappresentò la Storia d'Italia dai Comuni al Risorgimento.
Questi lavori di alto impegno e di profondo significato dimostrano il
suo magistero insigne e la sua rifinita abilità nell'ammassare
armonicamente gruppi e folle con fantasia ed equilibrio. Dopo questi
lavori il suo ideale d'arte subì una trasformazione. La ricerca e lo
sforzo come egli stesso scrisse si volsero a cogliere e a riprodurre gli
uomini e le bestie nella loro manifestazione di animalità vitale.
I paesaggi della Campagna romana, ch'egli dipingeva a tempera sopra una
tela finissima, segnarono il culmine della fama e della fortuna del
Sartorio. Ottanta di queste tempere figurarono, nel 1914,
all'Internazionale di Venezia, dove il Sartorio fu assiduo espositore.
La sua produzione artistica è imponente anche come numero. Nel 1933
nella Galleria Borghese a Roma fu inaugurata da Guglielmo Marconi una
mostra postuma dove erano raccolte 184 sue opere che illustravano anno
per anno l'attività multiforme di questo artista il quale non ebbe mai
soste per oltre mezzo secolo, cioè dal 1876 fino al giorno della morte,
che gli interruppe la pittura dei cartoni per la decorazione della
risorta Cattedrale di Messina a cui si dedicava come conforto degli
ultimi anni straziati dal male.
Fu anche un valoroso se pur sfortunato volontario di guerra. Ferito,
fatto prigioniero a Lucinico (alla cui chiesa la vedova donò nel 1933 il
grande quadro Cristo benedicente l'Umanità) fu liberato nel 1917.
Nel 1929 fu nominato Accademico d'Italia e poi eletto Vice Presidente
dell'Istituto insediato in quella Villa della Farnesina che il Sartorio
aveva contribuito a salvare dal decadimento e dallo squallore, dirigendo
i lavori di restauro e di ripristino. Giulio Aristide Sartorio è uno dei
pittori più largamente rappresentati nelle principali Gallerie pubbliche
italiane e straniere e in numerose raccolte private. A Milano alla
Galleria d'Arte Moderna esistono numerosi pastelli illustranti la guerra
1915-1918.(A. M. Comanducci)
Nacque a Roma l'11 febbraio 1860, figlio di Raffaele e di Angiola
Poletti. Appartenne a una famiglia di artisti: il nonno, Girolamo, di
origine novarese, abile scultore, si era specializzato a Roma nella
produzione di copie dalla statuaria antica; il padre fu anch'egli
scultore e pittore di un certo valore, sebbene di scarsa fortuna. La
formazione di Sartorio, che mostrava una precoce e straordinaria
padronanza del disegno e delle tecniche artistiche, avvenne dunque
nell'ambito familiare, indirizzato in particolare alla pittura. Nel 1876
frequentò, ma per un breve periodo e senza continuità, all'Accademia di
S. Luca, i corsi di Francesco Podesti. Le necessità economiche lo
spinsero presto a lavorare per architetti e pittori già affermati; in
particolare prestò la sua opera nello studio romano di Luis Álvarez
Catalá, che, sull?onda del successo di Mariano Fortuny, doveva la sua
fama soprattutto ai dipinti di carattere spagnoleggiante, produzione
commerciale assai richiesta dal mercato. Tale redditizia attività gli
consentì di aprire nel 1879 un proprio studio e di avviare una carriera
personale. Le opere della prima maniera oscillano tra il genere
neosettecentesco, coniugato però con le reminiscenze classicheggianti
provenienti dall'apprendistato e dall'educazione familiari, e la
progressiva adesione al verismo corrente, nel tentativo di individuare
una linea di ricerca originale. Determinante a tale proposito
l'impressione ricavata dalla lezione di Domenico Morelli, di cui più
volte visitò lo studio a Napoli e al quale sarebbe stato legato da
reciproca stima.
Nel 1882 iniziò la collaborazione alla rivista Cronaca bizantina,
diretta da Antonio Sommaruga, intorno alla quale gravitavano Gabriele
D'Annunzio, Edoardo Scarfoglio, Giosue Carducci, Francesco Paolo
Michetti. L'anno seguente presentò a Roma, all' Esposizione
internazionale di belle arti,
Malaria (Buenos Aires, Museo
nacional de bellas artes), dipinto che lo segnalò alla critica e al
pubblico. Pur mantenendo formalmente qualche vezzo alla Fortuny,
Sartorio si ispirò, in questa tela, al naturalismo di ascendenza
caravaggesca, memore in particolare di Jusepe de Ribera, nel crudo
trattamento dei corpi e nell'atmosfera livida del paesaggio; sviluppò
così la sua fase veristica, di denuncia sociale, nell'affrontare un tema
che traeva ispirazione dalle drammatiche condizioni sanitarie e di
povertà nelle paludi pontine. La prima commissione di rilievo giunse nel
1883, quando fu incaricato di ornare con pitture e stucchi in stile
Luigi XV il villino del conte Giuseppe Gamberini a Roma, impresa presto
abbandonata per una controversia con il committente. Proprio con
l'intento di studiare dal vero le decorazioni settecentesche di
Versailles e Fontainebleau, Sartorio si recò nel 1884 a Parigi. Questo
soggiorno - occasione per visitare in particolare il Salon - si rivelò
di grande impatto nello sviluppo della sua riflessione teorica,
condotta, oltre che su questioni inerenti agli aspetti squisitamente
stilistici e di poetica, anche sul piano generale, con valutazioni sulla
contemporaneità e sulle dinamiche del sistema dell'arte in rapporto con
le aspirazioni ideali dell'artista.
Il periodo tra il 1885 e il 1890 fu caratterizzato da un'abbondante
produzione in cui il pittore si volse nelle differenti direzioni
suggerite dal clima culturale romano (quello della cosiddetta Roma
bizantina), in cui coesistevano istanze diverse, che aspiravano a
individuare una linea possibile di arte nazionale e, allo stesso tempo,
a mettersi al passo con le più aggiornate ricerche europee. Sartorio
aveva preso a frequentare l'ambiente artistico di via Margutta,
stringendo in seguito amicizia con il pittore spagnolo José Villegas
Cordero, che si adoperò per favorirne il successo, mettendolo in
contatto con amatori e collezionisti. Risalgono a quest'epoca anche
l'incontro con D'Annunzio, con il quale instaurò un assiduo rapporto, e
la conoscenza di Michetti, il cui dipinto Il voto, di rottura nel
panorama stanco e cristallizzato dell'arte ufficiale italiana, costituì
un notevole stimolo per l'evoluzione stilistica di Sartorio. L'attività
come illustratore, già avviata per numerose riviste, si estese
all'ambizioso progetto collettivo dell'editio picta dell'
Isaotta Guttadauro di D'Annunzio (1886), promossa all'interno
dell'associazione indipendente "In arte libertas", fondata proprio
quell'anno da Nino Costa, principale tramite di diffusione del
preraffaellismo in Italia. Data al 1887 l'incontro con l'architetto
Ernesto Basile, che stava progettando un villino per Villegas ai Parioli,
poi decorato da Sartorio nel 1890, collaborazione rivelatasi feconda e
duratura.
Nel 1889 all' Esposizione universale di Parigi presentò I figli di
Caino, che riscosse il plauso generale e gli valse una medaglia
d'oro ex aequo con Giovanni Segantini. Il dipinto aveva avuto
una lunga gestazione (1885-88) e fu in seguito suddiviso dallo stesso
Sartorio in quattro parti, di cui una dispersa (le altre si trovano in
collezioni private e all'Istituto romano di S. Michele). Di matrice
letteraria (indirettamente ispirato a uno dei Poèmes barbares di Leconte
de Lisle), era concepito con le caratteristiche della pittura da Salon,
anche per le notevoli dimensioni, e vi si tentava un superamento del
verismo, pur con le modalità pittoriche già sperimentate. Di nuovo a
Parigi con Michetti, Sartorio visitò tra l'altro la mostra retrospettiva
dei paesisti di Barbizon, e al ritorno, ospite dell'amico a Francavilla
al Mare, si aprì alla pittura di paesaggio, inizialmente trascurata, ma
da allora sempre appassionatamente coltivata e fertile terreno per la
sperimentazione e la ricerca; risalgono a quest'epoca anche i primi
pastelli dal vero della campagna romana. Il sentimento di un paesaggio
percepito per la sua valenza interiore, nell'universale e inscindibile
rapporto con l'uomo, sul quale esercitare dunque uno sguardo non
disgiunto dalla memoria, si concretizzò nella produzione di innumerevoli
dipinti, tutti studiati a partire da una primitiva impressione, colta
dal vero, e rielaborata in un processo interpretativo di selezione e
astrazione, attraverso accorgimenti ed effetti - come la particolarità
di un taglio visivo, la ricerca di monumentalità anche nei piccoli
formati, una peculiare luminosità - perseguiti grazie anche all'ausilio
della fotografia.
Contemporaneamente Sartorio andava coltivando una pittura in cui metteva
in campo l'approfondita cultura letteraria ed estetica, il suo vasto
patrimonio d'immagini, materiale per erudite o aneddotiche ricostruzioni
di ambiente e di vita all'antica, in cui si accostavano, talvolta
arbitrariamente, motivi d'ispirazione ora greco-romana ora latamente
medievale, di nuovo spesso mediata attraverso la fotografia. Ne
risultano quadri sovraccarichi e opulenti in cui dominano atmosfere
distaccate e sospese, protagoniste solitarie figure, prevalentemente
femminili, colte in interni di accentuato decorativismo, come Amor
sacro e L'apostata del 1888, o La vestale del
1889 circa (tutti in collezioni private). In questa fase si rafforzò il
sodalizio con D'Annunzio: l'artista realizzò in particolare il disegno
per l'acquaforte Lo zodiaco, distribuita in un numero limitato
di copie presso un antiquario romano in concomitanza con l'uscita della
prima edizione de Il piacere (1889). Sartorio, giocando a
identificarsi con il protagonista del romanzo, si firma Andrea Sperelli,
in un riuscito cortocircuito tra finzione e realtà che incarna alla
perfezione il binomio arte e vita.
Agli inizi degli anni Novanta si registra l'intensificarsi dell?attività
espositiva: a Roma a più riprese (1890, 1891, 1893), oltre che a Parigi,
Londra, Berlino (1891-1892). Cruciale si rivelò, nel 1889, l'incontro
con il conte Giuseppe Primoli, fotografo, mecenate, collezionista,
animatore della vita intellettuale e mondana della Roma 'bizantina', che
gli commissionò l?anno successivo il trittico
Le vergini savie e le vergini folli (Roma, Galleria comunale d'arte moderna).
D'ispirazione dannunziana (un paliotto con lo stesso soggetto si trovava
sopra il camino del protagonista de Il piacere), l'opera, dipinta su
tavola e montata in una carpenteria dorata, trae riferimento dalla
parabola evangelica e guarda a modelli quattrocenteschi, secondo un
crescente interesse, comune all'ambiente critico romano intorno ad
Angelo Conti, per un recupero della pittura primitiva come ideale via
verso la rinascita artistica italiana, sulla scorta dell'esempio dei
preraffaelliti. Per la sua realizzazione Sartorio utilizzò ritratti dal
vero e studi della campagna romana, ricorrendo pure a immagini
fotografiche, in particolare ai tableaux vivants di Primoli.
Approfondì anche la conoscenza diretta delle opere dei quattrocentisti
italiani in un viaggio che toccò Firenze, Bologna, Padova, Verona,
traendo modelli e motivi iconografici soprattutto per il pannello
centrale. La penetrazione della cultura preraffaellita è ancora, in
questa fase, superficiale e mediata attraverso le riproduzioni
dell'opera di Dante Gabriele Rossetti, mostrategli da D'Annunzio, le
esposizioni di In arte libertas e la frequentazione della cerchia del
giornalista e fotografo William James Stillman e della moglie Maria
Spartali.
Nel 1893 e nel 1894 Sartorio viaggiò in Inghilterra (Londra, Manchester,
Liverpool): fu l'occasione per vedere le opere dei paesaggisti inglesi e
dei preraffaelliti e per conoscere personalmente Edward Burne-Jones,
William Morris, Charles Fairfax Murray. Scaturirono da questi soggiorni
diversi articoli, tra cui quelli dedicati a Burne-Jones ne La Nuova
Rassegna (1894) e a Rossetti ne Il Convito (1895), tra le
prime testimonianze critiche della ricezione dei preraffaelliti in
Italia. Nel 1895 partecipò alla prima Esposizione internazionale d'arte
di Venezia, dove presentò, tra l'altro, il tondo
La Madonna degli angeli (1895, collezione privata), d'ispirazione schiettamente
botticelliana, che esprime la fase matura dell'ascendenza
preraffaellita. Alla ricerca di suggestioni diverse nel'ottica di uno
sviluppo del proprio percorso, in una prospettiva europea, in quello
stesso anno Sartorio visitò Anversa, Berlino, Monaco, ancora Venezia.
L'anno successivo venne chiamato a insegnare alla scuola d'arte di
Weimar dal granduca Carlo Alessandro di Sassonia, incontrato a Roma
attraverso lo scrittore Richard Voss, nell'ambiente cosmopolita degli
archeologi e dei cultori di antichità gravitante intorno all'Archivio
storico dell'arte. Durante questo periodo fu anche a Lipsia, Dresda,
Monaco e, saltuariamente, a Roma, dove aveva mantenuto l'atelier. Oltre
a realizzare studi di animali e paesaggi, portò a termine il dittico
composto dalle due tele
La Gorgone e gli eroi e
Diana d'Efeso e gli schiavi (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna),
apparso la prima volta all' Esposizione internazionale d'arte di Venezia
del 1897 con un grande successo, nonostante qualche autorevole critica,
e acquistato dallo Stato in occasione della personale organizzata
durante l'edizione successiva della Biennale nel 1899. La concezione
dell'opera risale all'intenzione di Diego Angeli di scrivere un poema
sul sogno che avrebbe dovuto dialogare con invenzioni di Sartorio a esso
ispirate. Diverse le composizioni in origine destinate al progetto -
come La sirena (Roma, collezione privata) e Abisso verde
(Piacenza, Galleria d'arte moderna Ricci Oddi) - che conobbe una lunga
fase preparatoria iniziata nel 1893. Evidenti in queste visionarie
allegorie costruite a partire da figure del mito, celebrazioni della
bellezza indifferente e distruttrice, le suggestioni di Gustave Moreau e
i prestiti michelangioleschi e dalla statuaria classica, non senza echi
di un tardo ed estenuato preraffaellismo.
Rientrato in Italia nel 1899, Sartorio sposò due anni dopo Julia Bonn,
pittrice di Francoforte, conosciuta a Roma, da cui nacque, nel 1903, la
figlia Angiola. Il rapporto, subito burrascoso, s'interruppe presto,
anche se trascorsero molti anni prima dell'annullamento del matrimonio;
la vicenda segnò dolorosamente Sartorio, che fino al 1925 non ebbe più
notizie della figlia. I primi anni del Novecento furono densi di
attività, impegni, riconoscimenti: partecipò all' Esposizione universale
di Parigi (1900), all' Esposizione internazionale d'arte di Venezia del
1901, dove apparvero le prime sculture, e fu nominato membro
dell'Accademia di S. Luca (1902). Tra le maggiori realizzazioni di
questo periodo si collocano i fregi destinati alla decorazione murale:
alle tele per la sala del Lazio all' Esposizione di Venezia del 1903
seguirono, l'anno successivo, i pannelli del padiglione italiano
all'Esposizione universale di Saint Louis; quelli per la sala del Lazio
all' Esposizione nazionale di belle arti a Milano e per il salone della
Casa del popolo a Roma, nel 1906; e il ciclo per il salone principale
dell' Esposizione di Venezia del 1907 (Venezia, Galleria internazionale
d'arte moderna di Ca' Pesaro). Di queste imprese restano diverse
testimonianze, spesso non più corrispondenti alle versioni originali,
data l'abitudine di Sartorio di tagliare e riutilizzare pezzi delle
grandi tele per composizioni successive. Reduce dal successo di Venezia,
nel 1908 (anno in cui ebbe anche una personale dedicata al paesaggio
alla Fine Art Society di Londra) Sartorio ottenne l'incarico per la
monumentale impresa della decorazione, portata a termine nel 1913, per
la nuova aula di Montecitorio progettata da Basile.
Il fregio allegorico (che intendeva celebrare la storia d'Italia dai
Comuni al Risorgimento) fu realizzato con una propria tecnica
sperimentale che consentiva, grazie all'uso della cera, oltre a effetti
di luminosità e trasparenza, una rapida stesura. La monocromia delle
prove precedenti è superata dall?impiego del colore - in tonalità
sobrie, smorzate e come attutite - in funzione dell'armonizzarsi della
figurazione con il contesto architettonico entro il quale s'inserisce e
con le altre parti ornamentali (arredi lignei, bassorilievi, vetrate).
Obiettivo perseguito pure attraverso il ritmo serrato e plastico della
composizione, esclusivamente di figura, in un continuum che asseconda
l'andamento della parete. Per riportare il disegno, Sartorio ne
proiettava una diapositiva sulle grandi superfici delle tele, forte del
convincimento delle possibilità della fotografia come strumento di
supporto nella realizzazione dell'opera. Inserendosi nel clima volto a
promuovere il rinnovamento dell?arte decorativa, verso la definizione di
uno stile contemporaneo, la via intrapresa da Sartorio transita per il
classicismo, il mito, il culto di Michelangelo e del Rinascimento, con
l'intento dichiarato di attribuire un senso epico alla decorazione.
Nel 1913 Sartorio fu invitato a esporre a Monaco, mentre l'anno
successivo ebbe una sala personale all' Esposizione internazionale di
Venezia. Arruolatosi volontario di guerra nel 1915, quasi subito ferito
e fatto prigioniero a Lucinico sull'Isonzo, fu condotto a Mauthausen e
liberato nel 1917 per intervento di papa Benedetto XV. Tornato al fronte
da civile come pittore di guerra, venne nuovamente ferito nel 1918.
Durante questo periodo realizzò, avvalendosi pure della fotografia,
numerose opere dedicate a momenti del conflitto (esposte poi in una
mostra in Campidoglio, a Roma, nel 1918). Sempre nel 1918 sposò
l'attrice italo-spagnola Margherita (detta Marga) Sevilla, dalla quale
ebbe Lidia (1919) e Lucio Aristide (1923). A partire da questo periodo
abitò in una villa già dei principi Orsini sull'Appia Antica, che aveva
acquistato, ristrutturato e arredato, denominandola Horti Galateae in
omaggio alla giovane moglie. Risalgono a questa fase appagante e serena
della vita dell'artista le opere ambientate sulla spiaggia di Fregene
fra il 1924 e il 1929. Ne sono protagonisti la moglie e i figli, colti
in scene di vita familiare (a partire anche in questo caso da riprese
fotografiche). Il ciclo si caratterizza per la spontaneità della pittura
vivace, in cui è accentuata la qualità materica del colore cangiante,
steso in rapidi tratti intrisi di luce (come nel trittico La gioia,
1927, ora smembrato, la cui parte centrale si trova in collezione
privata).
Tra la fine del 1918 e il 1919 Sartorio aveva anche diretto il film
Il mistero di Galatea, interpretato insieme alla moglie. Nella
pellicola, non destinata alle sale ma a un pubblico ristretto di amici,
adottò tecniche sperimentali, come il viraggio a due colori. Scrisse e
diresse anche Il sacco di Roma (1920), assieme a Enrico
Guazzoni, e San Giorgio (1921). Negli ultimi anni intensificò i viaggi e
l'attività espositiva. Fu invitato nel 1919 in Egitto dal sultano Fuad;
visitò anche Libano, Giordania, Palestina, Siria. Nel viaggio della
Regia nave Italia in Sudamerica, organizzato nel 1924 con l'intento di
propagandare cultura e prodotti italiani, fu a bordo come commissario
governativo per le belle arti. Fu anche in Giappone (1928) e partecipò
alla crociera nel Mediterraneo della motonave Caio Duilio nel 1929, anno
in cui venne nominato accademico d'Italia, come presidente per la classe
di belle arti, insediata nella villa della Farnesina, di cui diresse
lavori di restauro e di ripristino. Tra le principali mostre, una
personale alla galleria Pesaro di Milano (1921), l' "Exhibition of
modern italian art" a New York (1926), due personali ancora a New York
(Anderson Gallery, 1927; Ainslie Galleries, 1931), la prima Quadriennale
di Roma nel 1931. Partecipò inoltre a tutte le edizioni della Biennale
di Venezia dal 1922 al 1930. L'ultima impresa, alla quale si dedicò tra
il 1930 e il 1932, ancora con Basile, fu quella dei bozzetti e dei
cartoni per la decorazione a mosaico della cattedrale di Messina
(Seminario arcivescovile), mai realizzata. Morì a Roma il 3 ottobre del
1932 agli Horti Galateae e fu sepolto a S. Sebastiano fuori le Mura.
Costante e feconda fu l'attività letteraria di Sartorio; collaborò a
molte testate giornalistiche e riviste, in particolare con la Nuova
rassegna, Il Convito, La Tribuna, Rassegna contemporanea. Tra le
principali opere il romanzo Romae carrus navalis. Favola
contemporanea, per i tipi di Treves (1905); Le confessioni e le
battaglie di un artista, scritto autobiografico apparso nel Secolo
XX (VI (1907), 8, pp. 619-634); Tre novelle a perdita,
componimenti drammatici, per Treves (1917); Sibilla. Poema
drammatico in quattro atti, per i tipi de L'Eroica (in cui fu
autore anche della veste grafica); Flores et Humus. Conversazioni
d'arte (1922); La favola di Sansonetto Santapupa
(autobiografia, in forma di romanzo, fino al 1883, uscita a puntate tra
il 1926 e il 1929 nella Rassegna nazionale).(Annalisa
Pezzo - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 - 2017)
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