Pillole d'Arte

    
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Giulio Aristide Sartorio




Roma, 11/02/1860 - 03/10/1932

Fu il rampollo di una famiglia di artisti (scultore era il nonno Girolamo, e scultore pittore il padre Raffaele). Apprese dal padre i primi rudimenti del disegno, ma volle presto affrancarsi da ogni influenza familiare perchè il suo temperamento potesse rafforzarsi, e perfezionarsi la sua tecnica indirizzando il tirocinio artistico allo studio minuzioso e severo degli affreschi, dei quadri, dei mosaici e delle statue dei Musei romani e delle Basiliche. Rilevò dalle pitture e dalle sculture antiche, copiando ed imitando, gli insegnamenti tradizionali del disegno, della coloritura e della composizione con sempre maggiori progressi ed intensità critica ed interpretativa. Ebbe una gioventù fervorosa di tentativi e di esperienze nella Roma ancora perplessa del decennio dall'ottanta al novanta, epoca di assestamenti e di entusiasmi, di battaglie politiche e artistiche che si pronunziavano e si dibattevano tra i partiti, i gruppi le scuole e le tendenze. A quel tempo frequentò i cenacoli letterari, e iniziò un'attività aristocratica di scrittore con prose critiche e narrative che pubblicò su giornali e riviste. Amico di Gabriele d'Annunzio, disegnò le tavole e i fregi del poema "Isotta Gottadauro" e con lui cooperò alla fondazione di un grande giornale illustrato, uno dei primi fatti sull'esempio dei grandi "magazines" stranieri, che ebbe effimera vita.

La prima maniera del Sartorio, alcuni quadri di genere e d'ambiente settecentesco, s'ispirava al gusto di Mariano Fortuny. Ma presto rivelò una spiccata personalità col quadro Malaria, esposto a Roma nel 1882, che lo segnalò all'attenzione della critica e del pubblico. Nel 1889 si recò a Parigi, insieme al già noto e discusso Francesco Paolo Michetti. Quivi espose I figli di Caino, uno dei quadri che suscitarono più eco in quella stagione artistica; esso diede campo alla critica francese di esprimere un giudizio schietto e lusinghiero sulle qualità del giovine pittore italiano. Dal 1895 al 1900; visse un lustro di intensa laboriosità: accolse l'invito del Granduca Carlo Alessandro di Sassonia Weimar, e fu insegnante all'Accademia di Weimar; proseguì nella sua opera di pittore, di critico e di narratore; dipinse il celebre dittico La Gorgone e gli eroi e Diana d' Efeso e gli schiavi , esposto all'Internazionale Veneziana del 1897, ora alla Galleria d'Arte Moderna di Roma.

Nel decennio successivo al suo ritorno da Weimar oltre agli studi; e ai disegni di animali e di paesaggi sullo sfondo della Campagna romana e delle Paludi Pontine e a molte tele che rivelavano la sua rara maestria nel rappresentare e nel comporre la vigorosità del nudo, il Sartorio portò a termine due imprese grandiose: i fregi allegorici in chiaroscuro per la Biennale di Venezia e quelli per la nuova aula di Montecitorio, dove rappresentò la Storia d'Italia dai Comuni al Risorgimento. Questi lavori di alto impegno e di profondo significato dimostrano il suo magistero insigne e la sua rifinita abilità nell'ammassare armonicamente gruppi e folle con fantasia ed equilibrio. Dopo questi lavori il suo ideale d'arte subì una trasformazione. La ricerca e lo sforzo come egli stesso scrisse si volsero a cogliere e a riprodurre gli uomini e le bestie nella loro manifestazione di animalità vitale. I paesaggi della Campagna romana, ch'egli dipingeva a tempera sopra una tela finissima, segnarono il culmine della fama e della fortuna del Sartorio. Ottanta di queste tempere figurarono, nel 1914, all'Internazionale di Venezia, dove il Sartorio fu assiduo espositore. La sua produzione artistica è imponente anche come numero. Nel 1933 nella Galleria Borghese a Roma fu inaugurata da Guglielmo Marconi una mostra postuma dove erano raccolte 184 sue opere che illustravano anno per anno l'attività multiforme di questo artista il quale non ebbe mai soste per oltre mezzo secolo, cioè dal 1876 fino al giorno della morte, che gli interruppe la pittura dei cartoni per la decorazione della risorta Cattedrale di Messina a cui si dedicava come conforto degli ultimi anni straziati dal male.

Fu anche un valoroso se pur sfortunato volontario di guerra. Ferito, fatto prigioniero a Lucinico (alla cui chiesa la vedova donò nel 1933 il grande quadro Cristo benedicente l'Umanità) fu liberato nel 1917.  Nel 1929 fu nominato Accademico d'Italia e poi eletto Vice Presidente dell'Istituto insediato in quella Villa della Farnesina che il Sartorio aveva contribuito a salvare dal decadimento e dallo squallore, dirigendo i lavori di restauro e di ripristino. Giulio Aristide Sartorio è uno dei pittori più largamente rappresentati nelle principali Gallerie pubbliche italiane e straniere e in numerose raccolte private. A Milano alla Galleria d'Arte Moderna esistono numerosi pastelli illustranti la guerra 1915-1918.

(A. M. Comanducci)


Nacque a Roma l'11 febbraio 1860, figlio di Raffaele e di Angiola Poletti. Appartenne a una famiglia di artisti: il nonno, Girolamo, di origine novarese, abile scultore, si era specializzato a Roma nella produzione di copie dalla statuaria antica; il padre fu anch'egli scultore e pittore di un certo valore, sebbene di scarsa fortuna. La formazione di Sartorio, che mostrava una precoce e straordinaria padronanza del disegno e delle tecniche artistiche, avvenne dunque nell'ambito familiare, indirizzato in particolare alla pittura. Nel 1876 frequentò, ma per un breve periodo e senza continuità, all'Accademia di S. Luca, i corsi di Francesco Podesti. Le necessità economiche lo spinsero presto a lavorare per architetti e pittori già affermati; in particolare prestò la sua opera nello studio romano di Luis Álvarez Catalá, che, sull?onda del successo di Mariano Fortuny, doveva la sua fama soprattutto ai dipinti di carattere spagnoleggiante, produzione commerciale assai richiesta dal mercato. Tale redditizia attività gli consentì di aprire nel 1879 un proprio studio e di avviare una carriera personale. Le opere della prima maniera oscillano tra il genere neosettecentesco, coniugato però con le reminiscenze classicheggianti provenienti dall'apprendistato e dall'educazione familiari, e la progressiva adesione al verismo corrente, nel tentativo di individuare una linea di ricerca originale. Determinante a tale proposito l'impressione ricavata dalla lezione di Domenico Morelli, di cui più volte visitò lo studio a Napoli e al quale sarebbe stato legato da reciproca stima.

Nel 1882 iniziò la collaborazione alla rivista Cronaca bizantina, diretta da Antonio Sommaruga, intorno alla quale gravitavano Gabriele D'Annunzio, Edoardo Scarfoglio, Giosue Carducci, Francesco Paolo Michetti. L'anno seguente presentò a Roma, all' Esposizione internazionale di belle arti, Malaria (Buenos Aires, Museo nacional de bellas artes), dipinto che lo segnalò alla critica e al pubblico. Pur mantenendo formalmente qualche vezzo alla Fortuny, Sartorio si ispirò, in questa tela, al naturalismo di ascendenza caravaggesca, memore in particolare di Jusepe de Ribera, nel crudo trattamento dei corpi e nell'atmosfera livida del paesaggio; sviluppò così la sua fase veristica, di denuncia sociale, nell'affrontare un tema che traeva ispirazione dalle drammatiche condizioni sanitarie e di povertà nelle paludi pontine. La prima commissione di rilievo giunse nel 1883, quando fu incaricato di ornare con pitture e stucchi in stile Luigi XV il villino del conte Giuseppe Gamberini a Roma, impresa presto abbandonata per una controversia con il committente. Proprio con l'intento di studiare dal vero le decorazioni settecentesche di Versailles e Fontainebleau, Sartorio si recò nel 1884 a Parigi. Questo soggiorno - occasione per visitare in particolare il Salon - si rivelò di grande impatto nello sviluppo della sua riflessione teorica, condotta, oltre che su questioni inerenti agli aspetti squisitamente stilistici e di poetica, anche sul piano generale, con valutazioni sulla contemporaneità e sulle dinamiche del sistema dell'arte in rapporto con le aspirazioni ideali dell'artista.

Il periodo tra il 1885 e il 1890 fu caratterizzato da un'abbondante produzione in cui il pittore si volse nelle differenti direzioni suggerite dal clima culturale romano (quello della cosiddetta Roma bizantina), in cui coesistevano istanze diverse, che aspiravano a individuare una linea possibile di arte nazionale e, allo stesso tempo, a mettersi al passo con le più aggiornate ricerche europee. Sartorio aveva preso a frequentare l'ambiente artistico di via Margutta, stringendo in seguito amicizia con il pittore spagnolo José Villegas Cordero, che si adoperò per favorirne il successo, mettendolo in contatto con amatori e collezionisti. Risalgono a quest'epoca anche l'incontro con D'Annunzio, con il quale instaurò un assiduo rapporto, e la conoscenza di Michetti, il cui dipinto Il voto, di rottura nel panorama stanco e cristallizzato dell'arte ufficiale italiana, costituì un notevole stimolo per l'evoluzione stilistica di Sartorio. L'attività come illustratore, già avviata per numerose riviste, si estese all'ambizioso progetto collettivo dell'editio picta dell' Isaotta Guttadauro di D'Annunzio (1886), promossa all'interno dell'associazione indipendente "In arte libertas", fondata proprio quell'anno da Nino Costa, principale tramite di diffusione del preraffaellismo in Italia. Data al 1887 l'incontro con l'architetto Ernesto Basile, che stava progettando un villino per Villegas ai Parioli, poi decorato da Sartorio nel 1890, collaborazione rivelatasi feconda e duratura.

Nel 1889 all' Esposizione universale di Parigi presentò I figli di Caino, che riscosse il plauso generale e gli valse una medaglia d'oro ex aequo con Giovanni Segantini. Il dipinto aveva avuto una lunga gestazione (1885-88) e fu in seguito suddiviso dallo stesso Sartorio in quattro parti, di cui una dispersa (le altre si trovano in collezioni private e all'Istituto romano di S. Michele). Di matrice letteraria (indirettamente ispirato a uno dei Poèmes barbares di Leconte de Lisle), era concepito con le caratteristiche della pittura da Salon, anche per le notevoli dimensioni, e vi si tentava un superamento del verismo, pur con le modalità pittoriche già sperimentate. Di nuovo a Parigi con Michetti, Sartorio visitò tra l'altro la mostra retrospettiva dei paesisti di Barbizon, e al ritorno, ospite dell'amico a Francavilla al Mare, si aprì alla pittura di paesaggio, inizialmente trascurata, ma da allora sempre appassionatamente coltivata e fertile terreno per la sperimentazione e la ricerca; risalgono a quest'epoca anche i primi pastelli dal vero della campagna romana. Il sentimento di un paesaggio percepito per la sua valenza interiore, nell'universale e inscindibile rapporto con l'uomo, sul quale esercitare dunque uno sguardo non disgiunto dalla memoria, si concretizzò nella produzione di innumerevoli dipinti, tutti studiati a partire da una primitiva impressione, colta dal vero, e rielaborata in un processo interpretativo di selezione e astrazione, attraverso accorgimenti ed effetti - come la particolarità di un taglio visivo, la ricerca di monumentalità anche nei piccoli formati, una peculiare luminosità - perseguiti grazie anche all'ausilio della fotografia.

Contemporaneamente Sartorio andava coltivando una pittura in cui metteva in campo l'approfondita cultura letteraria ed estetica, il suo vasto patrimonio d'immagini, materiale per erudite o aneddotiche ricostruzioni di ambiente e di vita all'antica, in cui si accostavano, talvolta arbitrariamente, motivi d'ispirazione ora greco-romana ora latamente medievale, di nuovo spesso mediata attraverso la fotografia. Ne risultano quadri sovraccarichi e opulenti in cui dominano atmosfere distaccate e sospese, protagoniste solitarie figure, prevalentemente femminili, colte in interni di accentuato decorativismo, come Amor sacro e L'apostata del 1888, o La vestale del 1889 circa (tutti in collezioni private). In questa fase si rafforzò il sodalizio con D'Annunzio: l'artista realizzò in particolare il disegno per l'acquaforte Lo zodiaco, distribuita in un numero limitato di copie presso un antiquario romano in concomitanza con l'uscita della prima edizione de Il piacere (1889). Sartorio, giocando a identificarsi con il protagonista del romanzo, si firma Andrea Sperelli, in un riuscito cortocircuito tra finzione e realtà che incarna alla perfezione il binomio arte e vita.

Agli inizi degli anni Novanta si registra l'intensificarsi dell?attività espositiva: a Roma a più riprese (1890, 1891, 1893), oltre che a Parigi, Londra, Berlino (1891-1892). Cruciale si rivelò, nel 1889, l'incontro con il conte Giuseppe Primoli, fotografo, mecenate, collezionista, animatore della vita intellettuale e mondana della Roma 'bizantina', che gli commissionò l?anno successivo il trittico Le vergini savie e le vergini folli (Roma, Galleria comunale d'arte moderna). D'ispirazione dannunziana (un paliotto con lo stesso soggetto si trovava sopra il camino del protagonista de Il piacere), l'opera, dipinta su tavola e montata in una carpenteria dorata, trae riferimento dalla parabola evangelica e guarda a modelli quattrocenteschi, secondo un crescente interesse, comune all'ambiente critico romano intorno ad Angelo Conti, per un recupero della pittura primitiva come ideale via verso la rinascita artistica italiana, sulla scorta dell'esempio dei preraffaelliti. Per la sua realizzazione Sartorio utilizzò ritratti dal vero e studi della campagna romana, ricorrendo pure a immagini fotografiche, in particolare ai tableaux vivants di Primoli. Approfondì anche la conoscenza diretta delle opere dei quattrocentisti italiani in un viaggio che toccò Firenze, Bologna, Padova, Verona, traendo modelli e motivi iconografici soprattutto per il pannello centrale. La penetrazione della cultura preraffaellita è ancora, in questa fase, superficiale e mediata attraverso le riproduzioni dell'opera di Dante Gabriele Rossetti, mostrategli da D'Annunzio, le esposizioni di In arte libertas e la frequentazione della cerchia del giornalista e fotografo William James Stillman e della moglie Maria Spartali.

Nel 1893 e nel 1894 Sartorio viaggiò in Inghilterra (Londra, Manchester, Liverpool): fu l'occasione per vedere le opere dei paesaggisti inglesi e dei preraffaelliti e per conoscere personalmente Edward Burne-Jones, William Morris, Charles Fairfax Murray. Scaturirono da questi soggiorni diversi articoli, tra cui quelli dedicati a Burne-Jones ne La Nuova Rassegna (1894) e a Rossetti ne Il Convito (1895), tra le prime testimonianze critiche della ricezione dei preraffaelliti in Italia. Nel 1895 partecipò alla prima Esposizione internazionale d'arte di Venezia, dove presentò, tra l'altro, il tondo La Madonna degli angeli (1895, collezione privata), d'ispirazione schiettamente botticelliana, che esprime la fase matura dell'ascendenza preraffaellita. Alla ricerca di suggestioni diverse nel'ottica di uno sviluppo del proprio percorso, in una prospettiva europea, in quello stesso anno Sartorio visitò Anversa, Berlino, Monaco, ancora Venezia. L'anno successivo venne chiamato a insegnare alla scuola d'arte di Weimar dal granduca Carlo Alessandro di Sassonia, incontrato a Roma attraverso lo scrittore Richard Voss, nell'ambiente cosmopolita degli archeologi e dei cultori di antichità gravitante intorno all'Archivio storico dell'arte. Durante questo periodo fu anche a Lipsia, Dresda, Monaco e, saltuariamente, a Roma, dove aveva mantenuto l'atelier. Oltre a realizzare studi di animali e paesaggi, portò a termine il dittico composto dalle due tele La Gorgone e gli eroi e Diana d'Efeso e gli schiavi (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), apparso la prima volta all' Esposizione internazionale d'arte di Venezia del 1897 con un grande successo, nonostante qualche autorevole critica, e acquistato dallo Stato in occasione della personale organizzata durante l'edizione successiva della Biennale nel 1899. La concezione dell'opera risale all'intenzione di Diego Angeli di scrivere un poema sul sogno che avrebbe dovuto dialogare con invenzioni di Sartorio a esso ispirate. Diverse le composizioni in origine destinate al progetto - come La sirena (Roma, collezione privata) e Abisso verde (Piacenza, Galleria d'arte moderna Ricci Oddi) - che conobbe una lunga fase preparatoria iniziata nel 1893. Evidenti in queste visionarie allegorie costruite a partire da figure del mito, celebrazioni della bellezza indifferente e distruttrice, le suggestioni di Gustave Moreau e i prestiti michelangioleschi e dalla statuaria classica, non senza echi di un tardo ed estenuato preraffaellismo.

Rientrato in Italia nel 1899, Sartorio sposò due anni dopo Julia Bonn, pittrice di Francoforte, conosciuta a Roma, da cui nacque, nel 1903, la figlia Angiola. Il rapporto, subito burrascoso, s'interruppe presto, anche se trascorsero molti anni prima dell'annullamento del matrimonio; la vicenda segnò dolorosamente Sartorio, che fino al 1925 non ebbe più notizie della figlia. I primi anni del Novecento furono densi di attività, impegni, riconoscimenti: partecipò all' Esposizione universale di Parigi (1900), all' Esposizione internazionale d'arte di Venezia del 1901, dove apparvero le prime sculture, e fu nominato membro dell'Accademia di S. Luca (1902). Tra le maggiori realizzazioni di questo periodo si collocano i fregi destinati alla decorazione murale: alle tele per la sala del Lazio all' Esposizione di Venezia del 1903 seguirono, l'anno successivo, i pannelli del padiglione italiano all'Esposizione universale di Saint Louis; quelli per la sala del Lazio all' Esposizione nazionale di belle arti a Milano e per il salone della Casa del popolo a Roma, nel 1906; e il ciclo per il salone principale dell' Esposizione di Venezia del 1907 (Venezia, Galleria internazionale d'arte moderna di Ca' Pesaro). Di queste imprese restano diverse testimonianze, spesso non più corrispondenti alle versioni originali, data l'abitudine di Sartorio di tagliare e riutilizzare pezzi delle grandi tele per composizioni successive. Reduce dal successo di Venezia, nel 1908 (anno in cui ebbe anche una personale dedicata al paesaggio alla Fine Art Society di Londra) Sartorio ottenne l'incarico per la monumentale impresa della decorazione, portata a termine nel 1913, per la nuova aula di Montecitorio progettata da Basile.

Il fregio allegorico (che intendeva celebrare la storia d'Italia dai Comuni al Risorgimento) fu realizzato con una propria tecnica sperimentale che consentiva, grazie all'uso della cera, oltre a effetti di luminosità e trasparenza, una rapida stesura. La monocromia delle prove precedenti è superata dall?impiego del colore - in tonalità sobrie, smorzate e come attutite - in funzione dell'armonizzarsi della figurazione con il contesto architettonico entro il quale s'inserisce e con le altre parti ornamentali (arredi lignei, bassorilievi, vetrate). Obiettivo perseguito pure attraverso il ritmo serrato e plastico della composizione, esclusivamente di figura, in un continuum che asseconda l'andamento della parete. Per riportare il disegno, Sartorio ne proiettava una diapositiva sulle grandi superfici delle tele, forte del convincimento delle possibilità della fotografia come strumento di supporto nella realizzazione dell'opera. Inserendosi nel clima volto a promuovere il rinnovamento dell?arte decorativa, verso la definizione di uno stile contemporaneo, la via intrapresa da Sartorio transita per il classicismo, il mito, il culto di Michelangelo e del Rinascimento, con l'intento dichiarato di attribuire un senso epico alla decorazione.

Nel 1913 Sartorio fu invitato a esporre a Monaco, mentre l'anno successivo ebbe una sala personale all' Esposizione internazionale di Venezia. Arruolatosi volontario di guerra nel 1915, quasi subito ferito e fatto prigioniero a Lucinico sull'Isonzo, fu condotto a Mauthausen e liberato nel 1917 per intervento di papa Benedetto XV. Tornato al fronte da civile come pittore di guerra, venne nuovamente ferito nel 1918. Durante questo periodo realizzò, avvalendosi pure della fotografia, numerose opere dedicate a momenti del conflitto (esposte poi in una mostra in Campidoglio, a Roma, nel 1918). Sempre nel 1918 sposò l'attrice italo-spagnola Margherita (detta Marga) Sevilla, dalla quale ebbe Lidia (1919) e Lucio Aristide (1923). A partire da questo periodo abitò in una villa già dei principi Orsini sull'Appia Antica, che aveva acquistato, ristrutturato e arredato, denominandola Horti Galateae in omaggio alla giovane moglie. Risalgono a questa fase appagante e serena della vita dell'artista le opere ambientate sulla spiaggia di Fregene fra il 1924 e il 1929. Ne sono protagonisti la moglie e i figli, colti in scene di vita familiare (a partire anche in questo caso da riprese fotografiche). Il ciclo si caratterizza per la spontaneità della pittura vivace, in cui è accentuata la qualità materica del colore cangiante, steso in rapidi tratti intrisi di luce (come nel trittico La gioia, 1927, ora smembrato, la cui parte centrale si trova in collezione privata).

Tra la fine del 1918 e il 1919 Sartorio aveva anche diretto il film Il mistero di Galatea, interpretato insieme alla moglie. Nella pellicola, non destinata alle sale ma a un pubblico ristretto di amici, adottò tecniche sperimentali, come il viraggio a due colori. Scrisse e diresse anche Il sacco di Roma (1920), assieme a Enrico Guazzoni, e San Giorgio (1921). Negli ultimi anni intensificò i viaggi e l'attività espositiva. Fu invitato nel 1919 in Egitto dal sultano Fuad; visitò anche Libano, Giordania, Palestina, Siria. Nel viaggio della Regia nave Italia in Sudamerica, organizzato nel 1924 con l'intento di propagandare cultura e prodotti italiani, fu a bordo come commissario governativo per le belle arti. Fu anche in Giappone (1928) e partecipò alla crociera nel Mediterraneo della motonave Caio Duilio nel 1929, anno in cui venne nominato accademico d'Italia, come presidente per la classe di belle arti, insediata nella villa della Farnesina, di cui diresse lavori di restauro e di ripristino. Tra le principali mostre, una personale alla galleria Pesaro di Milano (1921), l' "Exhibition of modern italian art" a New York (1926), due personali ancora a New York (Anderson Gallery, 1927; Ainslie Galleries, 1931), la prima Quadriennale di Roma nel 1931. Partecipò inoltre a tutte le edizioni della Biennale di Venezia dal 1922 al 1930. L'ultima impresa, alla quale si dedicò tra il 1930 e il 1932, ancora con Basile, fu quella dei bozzetti e dei cartoni per la decorazione a mosaico della cattedrale di Messina (Seminario arcivescovile), mai realizzata. Morì a Roma il 3 ottobre del 1932 agli Horti Galateae e fu sepolto a S. Sebastiano fuori le Mura.

Costante e feconda fu l'attività letteraria di Sartorio; collaborò a molte testate giornalistiche e riviste, in particolare con la Nuova rassegna, Il Convito, La Tribuna, Rassegna contemporanea. Tra le principali opere il romanzo Romae carrus navalis. Favola contemporanea, per i tipi di Treves (1905); Le confessioni e le battaglie di un artista, scritto autobiografico apparso nel Secolo XX (VI (1907), 8, pp. 619-634); Tre novelle a perdita, componimenti drammatici, per Treves (1917); Sibilla. Poema drammatico in quattro atti, per i tipi de L'Eroica (in cui fu autore anche della veste grafica); Flores et Humus. Conversazioni d'arte (1922); La favola di Sansonetto Santapupa (autobiografia, in forma di romanzo, fino al 1883, uscita a puntate tra il 1926 e il 1929 nella Rassegna nazionale).

(Annalisa Pezzo - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 - 2017)