Arco (Tn), 15/01/1858 - Schafberg (Engadina), 28/09/1899
"La suggestività di un'opera d'arte è in ragione della forza con cui fu
sentita dall'artista nel concepirla, e questa è in ragione della
finezza, della purezza, dirò cosi, dei suoi sensi. Mercè sua, le più
lievi e fuggevoli impressioni vengono rese più intense e fissate nel
cervello, commuovendo e fecondando lo spirito superiore che le
sintetizza; ed ha luogo allora l'elaborazione, che traduce in forma viva
l'ideale artistico. Per conservare questo miraggio ideale durante
l'esecuzione dell'opera, l'artista deve fare appello a tutte le sue
forze affinché persista attiva l'energia iniziale. E' tutta una
vibrazione dei suoi nervi intenti ad alimentare il fuoco, a tener vivo
il miraggio colla evocazione continua, perchè l'idea non si dissolva o
divaghi; l'idea che deve prender corpo e vita sulla tela, creando
l'opera che sarà spiritualmente personale e materialmente vera.
Dunque il vero è là! Entra nell'anima e fa parte dell'idea. Il pennello
scorre sulla tela ed obbedisce: mostra il tremito delle dita in cui si
raccolgono tutte le vibrazioni nervose: nascono gli oggetti gli animali,
le persone, ed in tutti i più piccoli particolari prendono forma, vita,
luce. Il fuoco dell'arte è nell'artista, mantenendogli in una tensione
di spirito quella emozione che egli comunica alla sua opera. Per questa
emozione il lavoro meccanico, faticoso dell'artista, scompare, e
producesi l'opera d'arte completa, fusa di un sol pezzo, viva,
sensibile. E l'incarnazione dello spirito nella materia, è
creazione...".
Così pensava e scriveva Giovanni Segantini, il più italiano, il più
grande fra i grandi pittori dell'ottocento che visse una vita breve ed
operosissima, offuscata nella fanciullezza da sciagure e dolori,
coronata poi da felicità e successo. Il padre, un povero falegname, lo
consegnò ad una sorella, poco fortunata anch'essa, e non si fece più
vivo. Il piccolo abbandonato visse due anni da solo, chiuso nella
soffitta, perchè la zia era sempre fuori di casa, occupata fino a sera
tarda. Un giorno fuggì verso la campagna finché non cadde esausto. Fu
raccolto da un buon contadino nella notte, mentre l'uragano
imperversava. Divenne da quel giorno un guardianello di bestie. Crebbe
così fra i suoi protettori umili, lieto di disegnare sulla terra animali
e figure.
Studiò pittura col Tettamanzi e quindi alla Accademia di Brera a Milano.
Trovato nei fratelli Alberto e Vittore Grubicy degli amici ed apostoli
della sua arte, vennero delineandosi le sue possibilità e maturandosi il
suo temperamento, per cui decise di stabilirsi in campagna per essere
più a contatto con la natura. Fu dapprima in Brianza, poi a Savognino
nei Grigioni, da ultimo sul Maloja, e dipinse tutta quella meravigliosa
serie di tele che va dal Torello al Trittico che destinato
all'Esposizione di fine secolo di Parigi, ha ora trovato il suo
collocamento definitivo al Museo Segantini di St. Moritz.
Dal verismo dei suoi primi lavori, per una lenta evoluzione passò al
simbolismo degli ultimi, e partito da un'ispirazione rustica alla Millet,
attraverso allo studio coscienzioso del paesaggio d'alta montagna,
raggiunse una fattura personale basata sul divisionismo dei colori,
colla quale produsse opere concepite con alta idealità e riassunte con
profondi accenti d'umanità.
Le opere più significative lasciate dal Segantini e che attraverso ai
tempi dimostreranno o confermeranno il suo grande valore sono: Ave
Maria a trasbordo; La tosatura al Museo di Tokio; Alla stanga
(collocato nella Galleria d'Arte Moderna di Roma); A messa prima;
L'aratura (Galleria di Monaco); Vacche aggiogate (Kunsthalle
di Basilea); Le due madri; Dea d'amore; L'Angelo della vita
esposte nella Galleria d'Arte Moderna di Milano; Vacca bianca
all'abbeveratoio nella raccolta del Comm. Mario Rossello a Milano;
Alpe di maggio, nella raccolta della signora Corinna Trossi
Uberti; Ragazza che fa la calza, (Kunsthaus di Zurigo); Ora
mesta; Vacca bruna che beve; Le cattive madri e Pascoli di
primavera nella Galleria di Vienna; Il frutto d'amore e
Ritratto di Vittore Grubicy nel Museo di Lipsia; Il ritorno al
paese natio, nella Galleria Nazionale di Berlino; Il dolore
confortato dalla fede alla Kunstalle di Amburgo; Contrasto di
luce, nel Museo Reale di Bruxelles; Le lussuriose al Museo di
Glasgow; All'arcolaio, al Museo di Sidney in Australia; La
figurazione della primavera, al Museo di S. Francisco di California;
Sul balcone, al Museo di Coira; Pascoli alpini, esposto
nel 1933 a Palazzo Marino a Milano e poi alla Galleria Neupert di
Zurigo; Allo sciogliersi delle nevi; Camoscio morto, Pollame
(natura morta).
Molti sono i disegni a carbone e a pastello duro lasciati dal Segantini
di cui faremo cenno solo di La culla vuota nella Galleria di Arte
Moderna Ricci Oddi di Piacenza. Il Comune di Arco (Palazzo Marchetti ha
aperto una mostra commemorativa nel centenario della nascita (1958)
pubblicando un Catalogo curato dal prof. Giulio De Carli con note
biografiche del figlio Gottardo, ampiamente illustrato con preziose note
critiche per ogni quadro. Alla XXVI Biennale di Venezia (1952) era
rappresentato nella sezione "Il divisionismo in Italia" con quattro
opere; Alla VI Quadriennale di Roma (1952) nella sezione "Pittura
Italiana della seconda metà dell'ottocento" era rappresentato con la
notissima: Ragazza che fa la calza.
(A. M. Comanducci)
Alla nascita Giovanni Battista Emanuele Maria
Segatini (cominciò a firmarsi Segantini ai tempi dell?Accademia), nacque
ad Arco (Trento) il 15 gennaio 1858, in territorio all?epoca austriaco,
da Agostino e da Margherita de Girardi di Castello, entrambi provenienti
da famiglie un tempo agiate, poi cadute in disgrazia. Agostino (1802-1866), vedovo della prima moglie e
di ventisei anni maggiore di Margherita, aveva già due figli: Napoleone
Pier Antonio (nato nel 1845) e Domenica Maria Aloisa (nata nel 1847),
chiamata Irene in famiglia, entrambi figure importanti nell?infanzia del
pittore.
Agostino, in perenne dissesto economico,
intraprese con Margherita e i figli una vita di peregrinazioni alla
ricerca di lavoro e sussidi nel territorio di Trento. Con il parto del
primo figlio (Lodovico, 1856-1858) la donna fu colpita da un?infermità
che, complicatasi con la nascita di Giovanni, la portò alla morte nel
1865. Segantini conservò un ricordo cristallizzato della madre, della
cui morte si sentì sempre responsabile. Questa tragica vicenda fu
cruciale per la rappresentazione della donna nella pittura di Segantini;
allo stesso modo, le privazioni dell?infanzia lasciarono al pittore il
desiderio di una famiglia solida cui garantire sempre un alto tenore di
vita. Nelle sue memorie Segantini non accennò mai alla vita miseranda
condotta ad Arco: al contrario, la cittadina trentina a cui Segantini
non poté più fare ritorno si legò nella sua mente a un?immagine elegiaca
di unità familiare, libertà, bellezza e armonia con la natura, che
l?artista avrebbe cercato di ricreare con la compagna e i figli in
Brianza e nei Grigioni.
Nuovamente vedovo, Agostino si recò a Milano con
il figlio Giovanni, presto affidato alle cure della sorellastra Irene,
che lavorava come modista. L?uomo morì in ospedale a Rovereto nel 1866.
A sette anni Segantini era orfano di entrambi i genitori e viveva in
miseria e solitudine con la sorellastra. I racconti dell?infanzia
milanese riferiscono di giornate intere chiuso nella casa buia e fredda
di via S. Simone perché la ragazza lavorava e lui non frequentava la
scuola. Dopo un rocambolesco tentativo di fuga a piedi verso la Francia
il bambino tornò a Milano e nel 1870 fu arrestato per vagabondaggio e
portato al Patronato Marchiondi. All?arresto il quasi tredicenne
Segantini firmò con una X e il marchio di analfabeta non lo lasciò più
nella vita: dopo anni da fervido autodidatta, mantenne una scrittura
sgrammaticata e un?ortografia incerta e difficile da interpretare. La
dura esperienza del Marchiondi è taciuta negli scritti autobiografici,
ma fu in questo contesto che egli fece le sue prime esperienze
artistiche: nelle carte dell?istituto si legge infatti "portato all?arte
del disegno".
Nel 1873 il fratellastro Napoleone, fotografo a
Borgo Val Sugana (Trentino), lo fece uscire dal Marchiondi per
impiegarlo come aiutante: l?esperienza contribuì a definire la sua
capacità di impostare la composizione e calibrare luci e ombre.
Segantini riconobbe sempre alla fotografia un importante ruolo
documentario, commissionando scatti delle sue opere per trarne studi nei
giorni in cui il maltempo non gli consentiva di uscire a lavorare
all?aperto. Nel 1874 fu a Milano come apprendista nella bottega di Luigi
Tettamanti, fotografo e pittore di stendardi e insegne. Tra il 1875 e il
1878 frequentò i corsi serali dell?Accademia di belle arti di Brera, per
lasciare poi la bottega e iscriversi ai corsi regolari (1878-79).
Allievo di paesaggistica di Guido Carmignani, fu studente diligente e
dotato, ottenendo premi e riconoscimenti. Di matrice accademica e
influssi scapigliati è L?eroe morto (1879, St. Gallen,
Kunstmuseum), evidente memoria del Cristo di Andrea Mantegna.
Nacquero in questo periodo i rapporti personali più rilevanti nella vita
del pittore: il droghiere Giulio Bertoni, che lo ospitò, e il colto
commerciante Enrico Dalbesio, amico di sempre, che sarà testimone della
sua morte improvvisa; i compagni di accademia Gaetano Previati, Emilio
Longoni, Angelo Morbelli e Bugatti, fratello di Luigia Pierina, detta
Bice (1861-1938), compagna di Segantini e devota custode della sua
memoria.
Nel 1879 ad Arco fu iscritto alle liste di
coscrizione e dichiarato illegalmente assente. La nazionalità di
Segantini è parte della mitologia che gli è sorta intorno: visse una
vita senza documenti, chiedendo la cittadinanza italiana senza ottenerla
(sebbene al Marchiondi fosse considerato cittadino italiano),
rinunciando a quella austriaca, e subendo le pressioni della Svizzera,
che per rinnovargli il permesso di soggiorno esigeva un passaporto. Nel
1865 la sorellastra aveva chiesto per entrambi le dimissioni dalla
cittadinanza austriaca, concesse nel 1867: Segantini, però, non seppe
mai di questo atto, né il governo austriaco sembrò averlo registrato,
ritenendolo sempre un disertore e condannandolo a morte. Divenuto
artista celebre, gli fu proposta la nazionalità elvetica, ma la rifiutò.
Segantini rimase culturalmente ed economicamente sempre legato
all?Italia anche quando si trasferì in Svizzera: non imparò mai il
tedesco, anche se il contesto germanico gli tributò gli onori maggiori.
Ritenendosi esule in Svizzera, si legò agli intellettuali irredentisti e
ne divenne un simbolo dopo la morte.
Con Il coro di S. Antonio, esposto a
Brera nel 1879, attirò l?attenzione di critica e pubblico per il
sapiente studio di luce e la padronanza nella resa dello spazio che
dipendevano dalla cultura verista lombarda. Sempre in questo periodo,
presentatogli dall?imprenditore e collezionista Luigi Della Beffa,
conobbe Vittore Grubicy, che, con il fratello Alberto, gestiva una
galleria d?arte. Vittore intuì subito le potenzialità del giovane:
divenne suo amico e mentore, offrendogli anche ospitalità in un clima di
intimità familiare prezioso per il giovane. Di questi anni sono gli
intensi ritratti della famiglia Grubicy. Vittore fu determinante per la
formazione culturale del pittore, facendolo uscire da uno stadio
prossimo all?analfabetismo e formando in lui una consapevolezza teorica
fino a quel momento del tutto assente. Vittore era uomo colto e
raffinato, viaggiava per l?Europa e sapeva muoversi con sicurezza nel
mercato d?arte: introdusse Segantini nei circoli liberal-intellettuali
della Milano degli anni Ottanta, e lo iniziò alle teorie del
divisionismo, per cui pennellate di colori puri accostati sulla tela
generavano più luminosità rispetto a tinte mescolate sulla tavolozza.
Grazie a lui Segantini conobbe la pittura europea: il luminismo dei
paesaggi di Anton Mauve e della scuola dell?Aia, la pittura dei campi di
Jean-François Millet e l?en plein air della scuola di Barbizon.
Il mito dell?artista totalmente isolato dal mondo, scevro di cognizioni
teoriche così come di una cultura pittorica presente e passata, è
infondato. Anche quando si ritirò nelle valli dei Grigioni, Segantini
non fu mai l?eremita dedito unicamente alla pittura, immune da influenze
artistiche e letterarie.
Nel 1881 insieme a Bice, sotto stipendio da
Grubicy, Segantini ricercò in Brianza un luogo consono alla creazione,
lontano dalla città, a fianco di contadini e montanari. Non raccontò
però la vita dei campi con intenti di denuncia o di rappresentazione di
costume, né vagheggiando un ritorno alla natura. Ciò che rappresentò in
dipinti dalla fattura corposa e dalle tinte brune furono uomini e
animali, flora, colli e monti, accomunati dallo stesso destino, elementi
di un unicum naturale. Nel 1882 Segantini presentò a Grubicy il
pittore Emilio Longoni: iniziò un sodalizio artistico in Brianza sotto
l?egida di Vittore, che durò un paio d?anni. Sempre nel 1882 nacque il
primogenito di Segantini, Gottardo (1882-1974), ritratto in dipinti di
gusto scapigliato. Nello stesso anno vide la luce la prima versione di
Ave Maria a trasbordo, poi ridipinta in chiave divisionista
(1886-88, St. Moritz, Segantini Museum): se la sospesa sacralità della
scena richiama l?Angelus di Millet, il tema del dipinto è la
comunione panica tra uomo e natura, espressa in una sorta di laica
natività. La maternità sarebbe stata soggetto centrale in tutta la
produzione di Segantini, quasi una sublimazione del dolore per la
perdita della madre (Le due madri, 1889, Milano, Galleria
d?arte moderna).
Nel 1883 Grubicy venne designato per contratto
procuratore per la vendita delle opere di Segantini, ma anche per la
gestione delle sue proprietà, autorizzato persino a firmare i dipinti
con il monogramma «GS». Il contraccambio era un vitalizio di non
precisata entità. Negli intenti di Grubicy, oltre allo scopo
commerciale, c?era quello di proteggere l?amico dalla sua inadeguatezza
a gestire gli affari. Ma un rapporto nato su queste basi non poteva
avere vita lunga e pose subito problemi: quando Longoni scoprì che anche
le sue opere venivano siglate con «GS» da Grubicy, abbandonò la Brianza
e chiuse il rapporto con entrambi. Nel 1886 Segantini ruppe l?accordo
con Vittore, sostituendolo con uno meno vincolante con Alberto Grubicy,
che gli garantì un vitalizio in cambio dell?esclusiva sulle opere, senza
intromissioni nella vita personale. Nel 1883, in Brianza, nacque il
secondogenito di Segantini, Alberto (1883-1904), due anni dopo Mario
(1885-1916) e l?anno successivo, a Milano, Bianca (1886-1980). A Caglio,
sempre in Brianza, nell?autunno del 1885 Segantini realizzò la sua prima
opera monumentale, Alla stanga, acquistata dal governo italiano
per la Galleria nazionale d?arte moderna di Roma, dopo aver ricevuto la
medaglia d?oro all?Esposizione internazionale di Amsterdam. La grandiosa
visione orizzontale di una tela di quasi 4 m appartiene già alla
maturità di Segantini: abbandonati i toni cupi, la superficie si fa
sensibile alla luce con una pittura a tocchi e spatolate, in parte
divisi e in parte mescolati. L?epica del lavoro dei campi di millettiana
memoria si dissolve nella visione panteistica di un?armonia universale
che unisce uomini, animali e paesaggio.
Nel 1886, dopo un pellegrinaggio a piedi con Bice,
Segantini si stabilì a 1200 m di altitudine tra gli orizzonti ampi e le
luci alte di Savognino, nei Grigioni svizzeri. Affittò una grande casa
che arredò con lusso. Padre e marito premuroso e attento, volle
precettori privati per i figli e un tenore di vita elevato per la
famiglia, purtroppo impegnandosi sempre molto oltre le sue possibilità.
Fu così che si trovò a fare i conti con i creditori e con le autorità
svizzere, che lo minacciarono di espulsione perché non pagava le tasse
cantonali e non aveva un regolare passaporto. La situazione non migliorò
neppure quando negli anni Novanta divenne, sempre grazie a Grubicy, uno
degli artisti più pagati d?Europa. Del 1886 è L?aratura (München,
Neue Pinakothek), esposta a Parigi nel 1887 e integralmente ridipinta in
chiave divisionista su suggerimento di Vittore, così come Ave Maria
a trasbordo. Nel 1887 Vittore spese cinque mesi a Savognino
condividendo riflessioni e teorie sulla pittura divisa e facendosi
tramite tra Segantini e un altro protagonista del divisionismo, Angelo
Morbelli, con cui il pittore intrattenne rapporti epistolari; Vittore
posò anche per un ritratto dalla straordinaria acutezza psicologica (Leipzig,
Museum der Bildenden Künste). Sempre nel 1887 Vittore allestì la sala
Segantini all?Esposizione nazionale artistica di Venezia e propose a
Londra i pittori della sua scuderia, evidenziando la continuità tra gli
scapigliati Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni e i giovani, tra cui
Segantini, Longoni, Morbelli e Paolo Troubetzkoy.
Utile alla comprensione del portato simbolico
della pittura di Segantini è I miei modelli (1888, Zürich,
Kunsthaus), una sorta di metaracconto del proprio lavoro, condotto
attraverso gli occhi ingenui dei due giovani protagonisti (Baba, Barbara
Huffer, la governante da poco assunta, e il figlio della cuoca di casa):
il pittore si racconta attraverso lo sguardo attento dei due ragazzi che
si riconoscono nei dipinti ammirati furtivamente a lume di notte,
sentendoli probabilmente vicini e intelligibili, quegli stessi dipinti
che riscuotevano successo di pubblico e di critica alle esposizioni
internazionali. Di questi anni sono composizioni calibrate e prive di
cedimenti sentimentali o aneddotici: Allo sciogliersi delle nevi
(1888, St. Moritz, Segantini Museum), Ragazza che fa la calza
(1888, Zürich, Kunsthaus), Ritorno all?ovile (1888, St. Moritz,
Segantini Museum).
Grazie all?interessamento di Giovanni Boldini, nel
1889 Vittore presentò Segantini all?Esposizione universale di Parigi,
dove Vacche aggiogate (1888, Basel, Kunstmuseum) ottenne la
medaglia d?oro. Il contatto con la pittura internazionale avvenne
attraverso i canali del mercato, stimolati da Vittore, ma anche presso i
salons degli artisti indipendenti che lo invitavano ad esporre,
come il Salon des XX a Bruxelles, la Secessione di Monaco, dove
ottenne la medaglia d?oro con Mezzogiorno sulle Alpi (1891, St.
Moritz, Segantini Museum; Quinsac, 1982, n. 465), o la Secessione
viennese, che nel 1898 acquistò Le due madri. In questi anni
Segantini conobbe Giovanni Giacometti (padre di Alberto), che sarebbe
stato di fatto l?unico suo discepolo diretto. Negli scambi epistolari
tra Segantini e Vittore comparvero screzi sul rifacimento del dipinto
Tisi galoppante e sul suo nuovo titolo Petalo di rosa,
a preambolo della rottura del 1890, che coincise con la fine della
collaborazione tra i fratelli Grubicy.
All?inizio degli anni Novanta apparvero sulla
stampa italiana alcuni articoli programmatici di Segantini. L?artista
scrisse anche alcuni racconti come Il sogno di un lavoratore
(andato perduto;), in cui esplicitava la sua lontananza dalle idee
socialiste e anarchiche di alcuni pittori, tra i quali Longoni. Espose
alla prima Esposizione triennale di Brera (1891), ricordata come
l?esordio ufficiale del divisionismo. Una delle opere più complesse,
Il castigo delle lussuriose, ottenne una menzione d?onore
all?Esposizione internazionale di Berlino, guadagnandogli contatti con
galleristi tedeschi al di fuori del patronato dei Grubicy. Al successo
nazionale e internazionale corrispondeva però una situazione personale
paradossale: l?artista, in fuga dagli esattori cantonali, si recò nel
villaggio di Tusagn, sopra Soglio, dove iniziò a dipingere Pascoli
alpini (1993-95; Zürich, Kunsthaus) e terminò L?ora mesta
(1892). Nel 1894 si trasferì a Maloja, in alta Engadina, a 1800 m di
altitudine, dove affittò lo chalet Kuoni, unendo il ritiro montano, a
lui congeniale, alla sistemazione lussuosa in una località mondana dove
incontrare al grand hotel Kursaal intellettuali raffinati, collezionisti
e committenti di alto lignaggio.
Nel 1895, con il ciclo delle Cattive madri,
attirò l?interesse dell?imperatore Francesco Giuseppe e chiese ad
Alberto Grubicy di inviare al sovrano il poema di Luigi Illica,
Nirvana (publicato nel 1889 come traduzione di un immaginario testo
di cultura buddista) che ne era la fonte: l?imperatore annullò la
condanna a morte per diserzione che ancora pendeva su di lui in Austria,
ma l?autorizzazione a rientrare in Trentino sarebbe giunta quando il
pittore era già morto. La produzione di Segantini, ambientata tra le
valli e i ghiacci dell?Engadina, virava sempre di più verso un complesso
simbolismo di cui il ciclo delle Cattive madri (1891-97, oggi
tra Liverpool, Vienna e Zurigo) è l?esempio più ardito: in una visione
da inferno dantesco, le donne che hanno rifiutato la maternità sono
condannate ad espiare la colpa galleggiando inerti tra ghiacci eterni o
alla ricerca dei piccoli che hanno abbandonato. L?eleganza grafica del
contorto segno art nouveau e una sapiente condotta cromatica
giocata su pochi toni di bianco, argento, azzurro e oro, fanno di queste
opere un unicum nel panorama internazionale.
Nel 1896, in sintonia con l?ambiente fiorentino
del Marzocco, Segantini, introdotto dalla scrittrice Neera,
espose alla Festa dell?arte e dei fiori opere dal forte carattere
simbolista: L?amore alla fonte della vita (1896, Milano,
Galleria d?arte moderna), Il dolore confortato dalla fede
(1896, Hamburger Kunsthalle), Il frutto dell?amore (1889,
Leipzig, Museum der Bildenden Künste) e i due sgraffiti del ciclo delle
Cattive madri (Zürich, Kunsthaus). Nel 1897 ricevette lo
scrittore Carlo Placci e il celebre Robert de la Sizeranne, autore di
Le peintre de l?Engadine: Giovanni Segantini. Lo chalet Kuoni
nel 1896 venne posto sotto sigilli per mancato pagamento di due anni di
canone di affitto e delle tasse cantonali. Ma Segantini reagì affittando
il castello Belvedere con ambiziosi progetti di ristrutturazione.
Nell?estate del 1897 l?artista concepì la sua impresa più grandiosa: un
Panorama dell?Engadina da presentare all?Esposizione universale
di Parigi del 1900 quale forma di promozione turistica della regione,
nella tradizione dei panorami allora in voga, ma con una complessità
senza precedenti. Un?esperienza sinestetica da opera d?arte totale
doveva coinvolgere pittura, natura e moderne tecnologie: una vera e
propria collina con cascatelle, piante e animali veri, figuranti nel
ruolo di pastori e contadini, luci e suoni riprodotti, il tutto
circondato da colossali dipinti che dovevano ritrarre le catene montuose
dell?Engadina, per i quali si sarebbe avvalso dell?aiuto di Giacometti e
Longoni. Il progetto trovò inizialmente il sostegno degli albergatori
svizzeri, ma naufragò sotto il peso dei costi crescenti, lasciando
Segantini in preda a una cocente delusione. Ciò che ne rimane sono
alcuni studi e i tre spettacolari pannelli del Trittico oggi al
Segantini Museum di St. Moritz, solo parzialmente finiti (La Vita,
La Natura, La Morte).
A seguito di contatti con Gustav Klimt, Segantini
fu l?invitato d?onore alla prima esposizione della Secessione viennese
con 29 opere (1898), e pubblicò Che cosa è l?arte in Ver
Sacrum, l?organo della Secessione. Mentre il successo
internazionale cresceva e Segantini trattava per esporre a Parigi,
Bruxelles, Berlino o Praga, in Italia la critica era divisa tra chi lo
considerava il vate del nuovo verbo divisionista e simbolista e chi lo
riteneva un imbroglio del mercato, un fasullo eremita della montagna.
Segantini era amareggiato da queste critiche ingiuste, anche perché di
fatto si sentiva confinato nel dorato ritiro dell?Engadina. Il 18
settembre 1899 salì con il figlio Mario e Baba in una baita sul
ghiacciaio dello Schafberg per dipingere la parte centrale del
Trittico. Colto da un violento attacco di peritonite, rifiutò il
pronto intervento del medico e, dopo giorni di febbre alta e dolori,
morì la notte del 28 settembre. Fu sepolto a Maloja.
La morte lo colse al culmine della sua notorietà,
lasciando incredulo il mondo dell?arte e il pubblico che lo seguiva
(stampe dell?Ave Maria a trasbordo facevano bella mostra di sé
nelle case di tutta Europa): a Milano un comitato per le onoranze
funebri organizzò una commemorazione il 20 novembre; a Parigi all?Exposition
décennale al Grand Palais (1900) fu proposta una retrospettiva, come
l?anno dopo alla Secessione viennese. Nel 1902 uscì la lussuosa edizione
della biografia di Segantini scritta da Franz Servaes e curata da
Koloman Moser. Per una vera retrospettiva in Italia si dovette aspettare
la XV Biennale di Venezia del 1926.
(Chiara Ulivi - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91, 2018 -
treccani.it)
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