Pillole d'Arte

 
   

 
(Fonte : Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova - 1821)

Elena

Busto in marmo  (1)


Determinare per mezzo d'un oggetto visibile e meraviglioso, oltre cui non sappia vedere l'ardita immaginazione, quelle idee vaghe ed incerte, che dietro le antiche favole e le storie si creano le menti nostre della famosa Spartana, fu dato finalmente a quell'esimio Scultore, a cui il concepire della mente, e l'obbedir della mano sotto la cosa medesima. Sembra però che a crearne quale il vediamo l'archetipo felice, ispirato l'abbia il maggior de' Vati quel sommo Pittore, che tutto mirabilmente colorire sapendo, parve geloso così della sublime idea, che avea concepita di questa celebre donna, che temette d'infievolirla pingendola, e volle col mezzo soltanto delle meraviglie da essa operate rappresentarla alla nostra immaginazione, lasciando a ciascheduno fantasticare, ed a suo piacere vedere in lei la perfezione di quel bello ideale, di cui tutti portiamo nell'animo dalla natura impresso il desiderio, e quasi dissi l'istinto. Ed oh pensiero felice! il quale, mille e mille peregrine immagini suscitando, e nulla traccia certa di loro lasciando, permise alla libera immaginazione dell'Artista di correre senza i ceppi dell'imitazione fino là dove Omero stesso non volle col suo canto arrischiarsi. E chi non esclama, te pure ora veggendo nello spirante marmo, o bellissima di tutte le Greche, o seducente figlia di Omero e di Canova, chi non esclama coi vegliardi Troiani:

........ biasmarsi

Trojani e gli Achei certo non denno,

Se per costei sì diuturne e dure

Sopportano fatiche. Essa all'aspetto

Veramente è Dea!  (2)

Se non che dir si potrebbe con verità che se a costei rassomigliato avesse l'Argiva, forse que' venerevoli Trojani commossi soggiunto pure non avrebbero :

........... ma tale ancora

Via per mar se ne torni, e in nostro danno

Più non si resti, nè de' nostri figli.

La sorpresa e il diletto avrebbero impedita la voce della ragione, nell'età stessa della ragione. Di tutte grazie, e d'ogni più bel vezzo adorna, Elena, tu fosti un giorno gradito pegno dell'alma riconoscenza di Venere, ed ora pure impreziosita da questo senso morale, tu agli occhi miei ti presenti. Riconoscenza! sentimento celeste, bisogno soavissimo e possente delle anime gentili! La tua, o Canova, volle crearsi quasi del tutto un soggetto pel soave piacere, che nell'esercizio di questo dolcissimo sentimento a te medesimo andavi ripromettendo. Godine, che ne sei ben degno. Ma sappi almeno che della tua sola indulgenza io sarei andata superba, e dirò quasi del tuo non isdeguarti che con si deboli colori (poiché all'ardor dell'animo sempre mal corrispose la penna) adombrato avessi i prodigj splendidissimi del tuo scarpello: che già dolce e lusinghiera ricompensa al cuore erami stato l'intaglio d'altro monumento, nel quale al tuo gran nome ti piacque d'unire il mio. Ma il crederesti, Amico? Nel ricevere qusta sì vaga e lieta immagine, amare lagrime interruppero la gioja ch'io pur ne provava, partecipe più non veggendone Colui, che tanto diletto al solo ripensare d'ospite così cara sentiva! Oime! che quasi presago del suo infaustissimo destino, impaziente oltre il placido costume, già ne affrettava co' voti l'arrivo, perché ogni mia gioja era sua gioja maggiore, ogni mia compiacenza sua maggior compiacenza. oh! troppo presto a me rapito, diletto Compagno, rimanti in pace, alma cara del più dolce, del più virtuoso degli uomini; e accogli con quel sorriso, che nè por l'ora all'estrema ora vicina potè allontanar dal soave tuo labbro specchio del cuore, le quotidiane mie lagrime, e i caldi sospiri che nella dimora del giusto, unitamente al nostro figliolino ognora io t'indirizzo, certa colà almeno di rinvenirti per sempre!

Ma deluso non torni il tuo voto, o Canova gentile: possa, tu dicesti con amica voce, possa questo mio pegno di amistade alleviare, ingannare alquanto l'acerbo suo dolore. Io torno dunque a vagheggiarti, vezzosa Donna, che pari all'eccelsa bellezza avesti avventurosa la sorte. Cantata da Omero, rabbellita da Ovidio sculta da Canova, a cui più lieta fortuna arrise mai? Né panni già, scendendo dalle maggiori alle minori cose, di dover negligere, parlando appunto di buona fortuna, la qualità di questo marmo candidissimo, immacolato, e de' più lucidi che vedere si possano. Mirabile cosa é l'osservare, che la grandezza oltre natura, la quale è sempre da' sommi artisti prescelta, siccome quella che meglio favorisce lo sviluppo delle loro grandiose idee, alla maestà che suol dare, concilj pure in questa speciosissima testa squisitamente, e con singolare e dolcissima gara, la gentilezza e la grazia. Un mezzo guscio d'uovo, che chiamar potrebbesi simbolo gentilizio della famiglia di Leda, poiché da uno simile veggiam distinti e Castore, e Polluce, d'Elena fratelli, le cuopre a guisa di berretto la parte diretra del capo. Ricchissima massa di capelli non intrecciati ma mollemente ondeggianti, glie lo contorna con vaghezza senta stringerlo, e allentandosi alquanto, ed allargandosi con mirabile grazia e naturalezza, viene ad allacciarsele con bel nastro dietro la testa. Acconciatnente compartita questa massa maggiore in altre, che si dividono nel mezzo della fronte, quasi lasciar ci volessero ammirare la maestosa linea che da quella si parte, e scende lungo il naso, escono simili a giovinetti pampili inanellati i men lunghi capelli, e vengono scherzevolmente cadendo ad ornade la fronte, le tempie, il finir delle guancie, ed il collo, così ben disposti, e con si meraviglioso artifizio arricciati, che ben ti fanno certo della compiacenza che ne traeva, e del fine malizioso a cui con tanto studio disponendoli mirava la vezzosa Spartana; di guisa che quello pure che inanimato suol essere, con assai d'eloquenza quivi ci addita la seducente sposa di Menelao.

Che dirò poi della serenità della fronte, degli eleganti piccioli orecchi, delle gote fiorite, dell'amabile tondeggiare del mento, del naso perfettamente Greco, e che morbidissime ha pure quelle linee che taglienti sogliono sovente altrove vedersi, delle labbra, che ti fan dolce e insidioso invito, e delle quali sì gentile è la forma, sì dolci le sinuosità, e si molle la freschezza, che irrorate le diresti d'un'eterea rugiada, della bocca che s'apre a celeste sorriso di voluttà, della maravigliosa espressione degli occhi, alquanto socchiusi, dolcemente penetranti, appassionatissimi, che chiedendo ti promettono amore, con un vezzo e con un linguaggio, che la voce non può esprimere, ed accompagnano essi pure sorridendo il dolce sorriso della bocca, delle guancie, e del mento! Velati gli diresti da finissime ciglia quasi di un'ombra leggera, e di persona viva ti comparisce il ben piegato arco delle sopracciglia. La freschezza poi, la rotondità, la morbidezza rendono il collo di naturalezza, e di beltà sì meravigliosa adorno, che ti pare vederlo lievemente agitato e rigonfio dal palpitare inquieto e frequente dell'amorosa età giovanile: tale e tanto stupenda è in costei la possanza d illudere! Or dimmi, Scultore mirabile degli affetti, dimmi, Canova, donde poi nasce ch'Elena tua spira ad un tempo tanto rispetto, e voluttà si soave ? Donde ? Le forme desti a lei d'una Dea, ma di umane passioni, e di lusinghe umane sì l'anomasti, che or donna, or Dea rassembra. Rispetto e voluttà, affetti misti e confusi eccita nel mirarla .... ma trionfa amore!