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(Fonte : Angelo De Gubernatis - Dizionario degli artisti italiani
viventi - 1889)
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Filippo Palizzi
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Celebre pittore abruzzese, nato a Vasto nel 1818. Studiò a
Napoli a quell'Accademia, che lasciò dopo poco tempo per
entrare nello studio del Bonolis suo compaesano, il quale
accorgendosi subito delle attitudini pronunciatissime del
giovane, lo incoraggiò, lo ammaestrò e gli dischiuse la via.
Ben presto il giovane si senti le forze per camminare da sè,
e con un indirizzo artistico che era forse ancora ignoto al
maestro, si senti la lena di ribellarsi ai vecchi
conservatori e di propugnare colla parola e coli esempio i
principi di un'arte nuova. Mercè gli auspici di ricco
mecenate, si recava per qualche tempo a Bukarest. Ma sotto
il cielo straniero si sentì preso da nostalgia; si faceva
sempre più mesto, e la sua immaginazione languiva. Rimpatriò
ben presto e tornò a studiare, a pensare, a dipingere fra
gli incantevoli orizzonti partenopei. Delle condizioni in
cui si trovava l'insegnamento pittorico a Napoli nella prima
metà di questo secolo abbiamo già fatto cenno nella
biografia del Morelli: aggiungiamo che le principali
preoccupazioni degli accademici non erano già il concetto di
ciò che si voleva rappresentare, né la espressione sottile
del vero, né il carattere dei personaggi, né il colore
locale, ma le proporzioni delle figure, le pose rigide e
statuarie, gli artifici invariabili degli sfondi, delle
ombre, delle velature. La nuova generazione d'artisti capiva
che tutto ciò apparteneva ad un'arte incadaverita. Palizzi
lo sentiva più degli altri e fu degli altri più
rivoluzionario.
Egli avea un concetto chiaro di ciò che dovea diventare il
tecnicismo pittorico per segnare un progresso, per
ripigliare la linea ascendentale che aveano percorsa due
secoli prima una pleiade di valorosi: il concetto era in
verità semplice, semplice come il giuoco di Colombo e antico
come Platone, il quale lasciò l'aforisma "il bello essere lo
splendore del vero". Il Palizzi si attenne a questo metodo e
lo insegnò: osservare il vero negli uomini, nel cielo, in
tutte le manifestazioni del mondo organico, minerale,
vegetale , e riprodurlo con fedeltà di disegno, con evidenza
di colorito. E si pose all'opera, e in una infinità di
quadri riprodusse la natura viva e morta nella varietà dei
suoi aspetti: gli alberi e le piante, l'erba e i fiori, la
donna e l'uomo; cose sempre vecchie eppur sempre ispiratrici
d'incanti nuovi, di concetti originali per chi sa osservarle
coll'alto e fervido intelletto dell'artista. Neppur per
Filippo Palizzi entreremo nei più minuti particolari della
vita artistica; non citeremo che pochi tra i molti quadri da
lui compiuti: taceremo delle contrarietà incontrate , della
devozione onde i giovani artisti seguivano i suoi
insegnamenti. I pochi allievi, nel corso di pochi anni
divennero falange. Francesco Palizzi, che era uno degli
ammiratori della Promotrice, ne fu eletto presidente. Quando
nel 1878 venne fatto un nuovo ordinamento dell'istituto il
Palizzi ne accettava la presidenza. Quest'artista trattò
parecchi generi. Sopra tutti i generi però eccelle come
pittore di animali. Il suo quadro esistente a Capodimonte:
L'uscita degli animali dall'arca dopo il diluvio, è
una rarità; il pennello, malgrado la difficoltà e la penuria
dei modelli, seppe evocare con mirabile naturalezza le più
svariate generazioni d'animali: dai più comuni ai più rari,
dai più mansueti ai più feroci; dall' aquila superba
all'umile usignuolo, dispose tutti in un magnifico panorama
al cui vertice, che è la vetta del biblico Ararat, fuma la
vampa del primo sagrificio.
Un altro suo quadro ebbe un successo clamoroso: Gli
effetti di primavera, che rappresenta l'incontro di un
frate e una fanciulla entrambi conducenti un somaro. Le
povere bestie, che sentono risvegliarsi gli istinti ai
tepori di maggio, aprono la bocca ragliante e s'
imbizzarriscono e tentano liberarsi dal freno. Il frate è
imbarazzato a domare la bestia caparbia, impressionato,
com'è, dai belli occhi della contadinella. Questa,
vergognosa e pudica, tenta di mansuefare la sua bestia. Quei
due quadrupedi, quel frate, quella fanciulla, quel contrasto
di caratteri, di effetti, sopra un paesaggio pieno di
vitalità, con uno scintillante sole di maggio che anima la
scena, sono uno splendido esempio di quel verismo, che non è
volgarità, ma arte grande anche se svolge i più pedestri
episodi della vita campestre. Un ultimo suo dipinto
rimarchevole è Un episodio della catastrofe di Pompei.
Quella orribile iattura che ispirava a Bulwer il suo celebre
romanzo, al Petrella le note appassionate della Jone,
suggeriva al Palizzi quel dipinto che riuscì uno dei
migliori che vanti la pittura moderna. Rappresenta il
Vesuvio che erutta cenere e lapilli sulla via della Stabia.
I getti del cratere mettono in fuga tumultuosa gli abitanti;
le tenebre del fondo danno un fantastico risalto
all'episodio principale, che è sul davanti. Il Palizzi
dipinse anche: Un episodio di Villafranca nella giornata
di Custoza. In questo quadro la scena è grandiosa e
palpitante ad un tempo. Il colore in quel dipinto è raro,
anima uomini e cose, dissimula ogni menda del disegno,
avviva stupendamente le fisonomie dei combattenti, rende il
furore dei cavalli, l'aria, la luce, il fumo, la polvere
che. avvolge quella lotta di forti.
Ma per farsi un'idea completa del merito di questo pittore è
d'uopo fare una visita al suo studio dove c'è tutta la gamma
della sua vita artistica, tutte le maniere della sua
operosità. È uno splendore di arte viva, giovane,
fascinante, una mostra proteiforme del più nobile verismo.
Su quelle pareti, in quella varietà di schizzi, di sgorbi,
di macchiette, di figure, di animali, di paesaggi (tutte
impressioni dal vero) il pennello, con tutti gl'incantesimi
del colore, narra le glorie della natura. Fra i quadri
innumerevoli di questo artista si contano molti e bellissimi
ritratti, compresi il proprio e quello di un suo fratello.
Filippo Palizzi è commendatore della corona d'Italia e
dell'ordine austriaco di Francesco Giuseppe; è socio
onorario di moltissime Accademie di Belle Arti d'Italia e
dell'estero. Nella Promotrice volle rimanere semplice membro
del Consiglio direttivo.
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Angelo De Gubernatis |
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