Pittore siciliano, nacque nel mese di marzo del 1835 (?),
in Zafferano Etnea. Ecco la biografia di questo artista
tracciata dal Gozzoli. Suo padre, di professione farmacista,
insistette lungamente colla fermezza e l'autorità paterna
per fare del giovinetto, unico maschio, un seguace di
Esculapio. Ma l'ardore onde agognava all'arte, i barlumi di
un'indole artistica chiara e decisa, persuasero finalmente
il brav'uomo a lasciar che Giuseppe seguisse la sua stella.
E il cammino fu irto di spine. Giovinetto quindicenne, dopo
aver fatto i primi studi elementari nel paese natio, andò,
con un piccolo assegno del padre, a Catania. A Catania non
c'erano né Istituti, né Accademie artistiche; ma, pur
volendo cercare chi guidasse i suoi primi passi, si offerse
come allievo a certo Destefani, pittore scenografo, presso
il quale rimase per circa sei mesi. Dopo, ebbe la fortuna di
entrare nello studio del pittore Gandolfo, egregio pittore,
valente ritrattista, il quale fu noto non solo in Sicilia e
fuori, ma di una capacità che lo stesso Sciuti, dopo
trent'anni, crede superiore assai alla rinomanza che ebbe.
Al Gandolfo piaceva assai il giovinetto, e con amore paterno
prese ad insegnargli pazientemente i principii del disegno e
di figura; l'allievo volenteroso disegnò occhi, nasi,
bocche, orecchi, mezzi profili, finché fatta la mano sicura
in quei dettagli, così fastidiosi ma altrettanto importanti,
passò a più difficili studi. Il Gandolfo, sebbene d'indole
assai austera e ligio alle consuetudini dell'insegnamento
artistico, si mostrò sempre più amorevole col giovane, di
cui apprezzava ogni giorno di più le attitudini e il
profitto; gli permise finalmente che adoperasse i pennelli,
e li adoperò con tanta soddisfazione del maestro, che
questi, benché dispiacente che si dipartisse dal suo studio,
lo consigliò a cercare più vasto campo e più alte
ispirazioni nei grandi centri dell' arte classica. Ma pur
troppo sventure di famiglia tarparano in allora le ali alle
speranze del giovane, che era impaziente di portarsi a
Firenze od a Roma. La eruzione dell'Etna, avvenuta in
quell'anno, distrusse intieramente le proprietà di suo
padre, il quale, dopo tanta sciagura, fece intendere al
figliuolo di non essere più in grado di sovvenirlo, e che,
essendo già quasi pervenuto al diciottesimo arino , era
ormai tempo che provvedesse a sè stesso. Allora, trovandosi
d' un tratto senza risorse e a faccia a faccia col problema
scabroso della vita, fu costretto a lasciare il maestro, che
non poteva sostenerlo a sue spese, e si allogò presso un
decoratore, il quale retribuì l'opera sua a quattro tari per
giorno, lauto compenso tenendo conto dei tempi d' allora.
Dopo breve tirocinio, acquistata una certa pratica
dell'arte a cui si era indirizzato, prese a lavorare per suo
conto, senza frequentare Accademie e senza alcun beneficio
di pensioni. Le commissioni fortunatamente non gli
mancarono, e ne ritrasse non iscarso guadagno. Avrebbe
potuto essere contento del nuovo suo stato, ma le
aspirazioni fallite lo tenevano in continua tristezza. Mercé
undici anni di fatiche, con una certa parsimonia nel vivere,
mise assieme un discreto peculio. Allora, fattosi animo e
riprese le antiche speranze, si recò a Firenze, dove
dipinse: La Vedova e La Tradita, che
esposte poi a Catania, furono, a titolo d'incoraggiamento,
acquistate dal Municipio. Tornato a Catania, lo attendevano
nuovi e proficui lavori di decorazione. Due anni dopo lasciò
Catania e si recò a Napoli. A Napoli prese in affitto uno
studio, immaginò il soggetto di un quadro: Una
Tentazione, lo disegnò, lo dipinse e lo mandò alla
Mostra annuale della Società Promotrice, e aspettò
trepidante il pubblico giudizio: il quadro piacque a molti,
e piacque fortunatamente anche al banchiere Wonviller di
Napoli che lo acquistò. Nella Tentazione l'artista
avea ideata in una ragazza del popolo, ricamatrice, l'eterna
lotta tra la virtù misera e gli allettamenti dell'amore e
del fasto. Il demone tentatore era una vecchia di dubbio
aspetto, che, dopo averle consegnata una missiva d'amore,
allontanandosi verso l'uscio, con gli occhi rivolti di
sbieco alla ragazza, ne studia malignamente l'espressione
del volto, pronta ad approfittare d'ogni sospensione d'animo
per trascinarla a mal fare. Incoraggiato da quel successo,
immaginò ed esegui nuovi quadri, fra i quali più notevoli:
Le madri della patria; I prigionieri di
Castelnuovo dopo la capitolazione e Un episodio del
saccheggio di Catania, tutti esposti e venduti alla
Mostra annuale della Società Promotrice di Napoli.
In appresso mandò alla Esposizione della Promotrice di
Genova La Carità, e alla prima Esposizione
Nazionale tenutasi a Parma La Pace domestica. Ideò
poi e dipinse su vasta tela:
Pindaro che esalta un vincitore ai giuochi olimpici.
Questo quadro esposto a Milano nella Mostra Nazionale, fu
acquistato dal Ministero della pubblica istruzione, che ne
fece dono all' Accademia di Brera; di poi, per cura degli
accademici stessi, mandato alla Esposizione Universale di
Vienna, riportò la medaglia dell'arte. Innamoratosi dei
soggetti antichi, che offrono effetti di masse, di
prospettive e anche di costumi pittoreschi, dipinse poi
I funerali di Timoleone e
Uno sposalizio greco: il primo fu acquistato dal
Municipio di Palermo; il secondo dal direttore del Museo di
Brera a Milano. Nel 1875 da Napoli si trasferì a Roma, e
nell'anno seguente vinse il pubblico concorso per gli
affreschi della sala del Consiglio Provinciale di Sassari.
Parte principale di quegli affreschi sono i due quadri
storici:
La Repubblica Sassarese e L'ingresso
trionfale a Sassari di Gian Maria Angioi. In questi
ultimi anni, oltre a vari altri quadri minori, ha dipinto:
Una lezione di geografia, che attualmente trovasi
alla Esposizione di Melbourne; La corsa a piedi
(epoca romana) e Il dopo pranzo di un antico romano,
esposti alla Mostra Artistica di Milano. I funerali di
Timoleone, Il Pindaro e il suo progetto per la
decorazione pittorica della Sala del Senato a Roma posero in
luce la forza del disegno e il largo stile di questo
artista. Egli sa raggruppare e distendere a perdita d'occhio
centinaia e centinaia di figure, senza penuria di spazio, di
luce, di aria. Egli trasportò sulla tela, con l'illusione
affascinante dei tempi e dei fasti eroici, le pagine
immortali di Tucidide e di Plutarco. L'effetto sarebbe anche
maggiore se l'artista avesse più pazienza a finire i suoi
lavori. Talvolta, dopo la imponente impressione
dell'insieme, l'occhio, riposando sui particolari, scorge un
pennello affrettato. Si direbbe che l'artista vuol lasciare
a bella posta qualche cosa da rodere ai critici. Un altro
bel quadro dello Sciuti è: La Vittoria d'Imera. In
esso l'artista ha voluto rappresentare il momento nel quale
l'esercito siciliano ha cominciato a sfondare le ordinanze
fenicee ed ha iniziato la famosa disfatta di Amilcare e dei
suoi affricani. La bella e magistrale composizione è ora
proprietà del colonnello Nosth che l' acquistò, nel 1888,
alla Mostra Italiana di Londra. Nell' occasione di questa
Esposizione il bravo pittore fece una mostra complessiva
bellissima dei suoi lavori che furono acquistati tutti dal
Nosth per mezzo milione.
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