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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte diretta da Ugo Ojetti - Milano -
Roma - 1920)
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I CEZANNE DELLA RACCOLTA FABBRI
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Verrà forse giorno che, pellegrino curioso, qualche artista
italiano sarà tentato venendo d'Italia, di passare per Aix
di Provenza alla ricerca di ricordi del vecchio Cezanne. E
ad Aix crederà di non avere varcata la barriera delle Alpi.
Errando infatti attraverso i vecchi quartieri della thud
egli gusterà il sapore tutto italiano di quelle tante piazze
e fontane e di quelle nobili e vaste dimore costruite da
architetti che sembrano avere voluto evitarvi troppo brusche
meraviglie, procurando quasi di facilitare con dolcezza,
agli animi italiani, passaggio dallo stile degli ariosi
"palazzi? "hotels? francesi chiusi ed adorni.
Cosi davanti a una tela di Cezanne il viaggiatore
italiano non si troverà mai spaesato; anzi spesso si
domanderà da qual parte della frontiera il maestro abbia
dipinto i più dei suoi quadri. Se e vero che i maggiori
artisti francesi appaiono tutti impregnati, nelle loro
opere, del loro lungo soggiorno nella penisola, sembra
addirittura che Cezanne abbia non solo conosciuto e
venerato i musei italiani, ma abbia dipinto angoli d' Italia
pur senza conoscerli coi suoi occhi corporei, quasi dando
realtà alla leggenda che vuole I suoi antenati oriundi dalla
vecchia e assolata Cesena di Pio sesto e di Pio settimo.
Come in Toscana, in Umbria e nei dintorni di Roma davanti a
certi dolci paesaggi di boschi e di colline vien fatto di
esclamare: ma questo e un Corot ! cosi dopo avere veduto i
Cezanne della raccolta Fabbri nell' esposizione di Venezia,
sarà frequente davanti ad altri tipici paesaggi italiani
udire il ricordo: questo è un Cezanne.
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L'anima del pittore conta infatti più della realtà. L'
artista guarda per noi. E noi alla fine non vediamo che coi
suoi occhi. Cezanne o Fontanesi, i nostri paesisti sono
latini e mediterranei prima che francesi o italiani. Cezanne
sapeva vedere; durante le sue esplorazioni nella sua
campagna nativa egli faceva, si, delle scoperte di motivi
com'egli raccontava felice. Ma queste scoperte le faceva
prima di tutto dentro se stesso, sotto il suggerimento e la
suggestione della natura. E poi dipingendo con la sua
appassionata franchezza ci rendeva la sua intimae profonda
visione senza veli. Ecco un paese presso Gardane del
1880, dal cielo turchino cupo, grave d'atmosfera burrascosa,
sopra case in pieno sole, isolate tra rocce ed erba verde.
In alto solo qualche albero all'orizzonte. Egli pel primo vi
ha scoperti con ordine, sotto il cielo basso e caldo, la
netta successione cromatica dei vari piani, la costruzione
solida degli edifici nel sole, il discreto e minuto gioco
delle ombre, il lucido smeraldo delle pasture, il grigio
ferrigno delle rocce. Adesso che egli ha scoperto e
costruito questo paese d'afa, noi lo portiamo nel nostro
ricordo, come un tema di paragone, davanti al mutevole vero,
per sempre.
Ecco Lo svolto della strada del 1882 ; una via che
serpeggia tra gli alberi per montare la collina e si
nasconde nel villaggio tuffato nella verdura. La stessa luce
e sul primo piano e l?orizzonte di fondo che si stacca sotto
una stretta falda di cielo. A differenza del paese presso
Gardane qui il sole e dovunque, sulla collina e nella
vallata. Ma anche nella luce tremula e diffusa Cezanne ha
imposto alle mille apparenze il suo ordine, e lo
slontanamento e la successione delle distanze vi si mostra
in piani precisi inconfondibili ed indimenticabili. La sua
intelligenza ostinata ha regolata la sua raffinatissima
sensibilità.
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Il problema più arduo era per lui riuscire coi toni più
schietti a ottenere le più nitide scalature di piani.
Nell'istinto dello scegliere nel vero i colori dominanti,
chi è mai stato più felice e sottile? Si consideri lo smalto
di queste Tre pere verdi, del 1875, il modo di porre
su una tovaglia i rossi, i gialli di questi frutti
appoggiando musicalmente questi fiori chiari sul bordo
turchino del piatto; l'accordo tra il panciotto rosso e la
cravatta e la cintura turchina del ritratto del sig. G.
(1878); tra il grigio della gonna della signora Cezanne e il
suo fiocco turchino e il rosso della poltrona (1875). Questi
accordi sicuri e pieni sono stati sempre il fondamento
delle sue pitture più belle, e pochi filosofi, per accordare
intorno ad un sistema d'idee tutto il mondo sensibile e
intelligibile, hanno sofferto la fatica ansiosa che ha
sofferto questo meridionale tutto occhi ad intonare intorno
a questi gruppi di colori, diremo, sonori, tutta la musica d'una
sua pittura. Perchè Cezanne era un po' rude nel suo
linguaggio e aveva i modi di un artista di provincia a stato
creduto nella sua pittura un brutale. Di questi scambi tra
apparenza della persona e i suoi sentimenti, abbonda la
critica dei mondani e anche dei letterati. Invece, a guardar
bene, Cezanne ha una delicatezza e a volte una dolcezza
incantevole e commossa. La trasparenza d'acqua della
Casa della Foresta (1885), i bianchi del muro della
Casa delle imposte turchine (1885), certi verdi vicino
alle terre rosse della sua Provenza sono poemi addirittura
d'un elegiaco. Questo artista che Zola, giudicandolo alla
faccia e alle parole, credeva "incapace di realizzare ? ha
saputo invece rendersi conto come pochi pittori
contemporanei del momento in cui bisognava fermare l'abbozzo
perchè già diceva tutto il dicibile.
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Gli antichi, e specie gli spagnuoli gl'italiani e specie
gl'italianeggianti di Francia, egli li ha venerati e
studiati anche da vecchio con un'umiltà da adolescente. Ma
dopo le tante divagazioni scritte su Cezanne, diciamo solo
dei moderni che hanno influito su lui. In qualche pittura
sua giovanile, ad esempio nella pasta e nel colore del cielo
d'un paesaggio di questa raccolta s'intravvede un ricordo di
Courbet. Tuttavia egli s'e presto liberato da questa
influenza. Più facilmente incontra qualche aria di famiglia
con Claude Monet della prima maniera e coi antichi Pissarro;
incontri che si potrebbero anche spiegare con la simiglianza
dei luoghi da essi allora dipinti. Ma Cezanne ha già in
questo periodo, il suo carattere ben definito, la sua
maniera di formare gli alberi e i terreni, la sua pennellata
a tratti obliqui e paralleli. Più tardi il suo tocco si fa
più largo e piano e compito, si direbbe più deliberatamente
ragionato, come nella Montagna Sainteictoire
del 1885 e nella maggior parte dei ritratti. In ogni modo
fino dai suoi inizi, in pieno e volante impressionismo, egli
è pittore della immobilità e riesce ad attribuire a tutti
gli aspetti della vita la tranquillità e la grandezza delle
figure che oggi si chiamano " primitive ?. Poca fantasia
egli possiede; e se egli la cerca, urta subito nelle
difficoltà del disegno e della forma. Mai riesce a cogliere
con pronta sagacia un movimento come sanno fare Daumier o
Degas. Solo, con la sua immaginazione e i suoi scrupoli, tra
i quattro muri del suo studio, egli quasi sempre fallisce in
questa ricerca. Se rappresenta dei nudi, ninfe o bagnanti,
è attirato sopratutto dal loro colore : la forma gli resta
un'occasione, un pretesto pel colore. Tuttavia insisteva
nella prova e aveva grida d'invidia davanti ai grandi
disegnatori. Le bougre, diceva del giovane Forain,
il sait deja inique le li d'un vétement
Quest' uomo che attaccava le tele col'impeto d'un lottatore,
e riuscito però ad esprimere come pochi altri la forza e la
solidità nell'impassibilità d'un paesaggio, d'una natura
morta, o d'una figura. Artista meraviglioso egli si inquieta
al ricordo del vero che gli sfugge, del movimento che e
inafferrabile : s'inquieta e barcolla : ma la tavolozza lo
saliva, esaltandolo. E l'imperfezione di un braccio, la
goffaggine d'un corpo, l'asimmetria d'un volto, sono
dimenticati dallo spettatore capace di godere tutta la
musica di quei toni, come erano dimenticati dall'autore.
Alla fine la bellezza di queste sottili armonie e di questa
pasta abbagliante ci fanno sentire che una pittura siffatta
non solo resisterà agli anni, ma cogli anni diventerà ancora
bella.
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Come poteva un uomo simile restare a Parigi in mezzo ai
virtuosi, schiavi tanto spesso della loro stessa bravura e
facilità ? Manet, l'elegante spiritoso Manet, signore
dell'arte sua, esasperava questo rustico provinciale che
preferiva la mobilia del contadino e i tovaglioli bene
inamidati sotto il peso dei frutti dell'orto, a una tavola
elegante e preziosa, tutta orchidee e porcellane. Pei suoi
colori egli chiedeva quasi un solido e rozzo sostegno reale,
sul quale poi spettasse a lui creare, una pennellata dopo
l'altra, gioielli d'una raffinatezza senza pari. Ma quante
tovaglie e tovaglioli di zinco, quante tavole da osteria,
quante mele dell'orto, ci hanno regalato i suoi cento
imitatori, credendo che lì fosse Cezanne ! Se bastasse
costruire male un volto, guardare una veduta dall'alto, dare
a tutti i paesaggi e a tutti gli alberi del mondo quel certo
turchino e quel certo verde vicini vicini, per riuscire ad
essere Cezanne... "E' un genio che balbetta ? e stato detto
di lui. E' una definizione abbastanza vera. E il primo ad
adirarsi nel vedere i suoi abbozzi più informi, gittati da
lui nelle soffitte e nell'orto, comprati a prezzi folli,
lodati con ditirambi assordanti, difesi come dogmi di fede,
sarebbe stato lui, Cêzanne Egli avrebbe provato la stessa
meraviglia e la stessa tristezza di Degas negli ultimi anni
della sua vita davanti alle stravaganze della cosi detta
critica e del mercato: di Degas che pure e morto a tempo per
non vedere esposti alla folla e venduti all'asta i suoi
studi più segreti, le sue ricerche più intime. Bisogna
perciò rallegrarsi di trovare in questi mesi a Venezia una
raccolta di Cezanne davvero compiuti e degni d'essere
ammirati. Questa raccolta a dovuta alla scelta del
fiorentino Egisto Fabbri. II Fabbri fortunatamente non e un
collezionista, ê prima di tutto un pittore che ama una tela
in se stessa, senza occuparsi della moda. Solo cosi egli ha
potuto venire in possesso di quasi tutti questi quadri, egli
che ha scoperto, compreso, amato e venerato Cezanne prima
dei mercanti e del pubblico grosso. Questi quadri sono
infatti rimasti per lungo tempo nello studio Fabbri a
Montmartre, scampati per caso ai proiettili della "grossa
Berta? caduti a pochi metri di distanza. II giorno in cui si
andò a cercarli, alcuni dipinti erano per lo scotimento
delle vicine esplosioni caduti per terra. E' bello che essi
tornino in luce, e in onore proprio in Italia e proprio a
Venezia. Se, come tutti sperano, resteranno in Italia, la
Provenza avrà un'altra volta di qua delle Alpi un poeta che
la farà' amare e che riaffermerà la somiglianza nativa tra
essa e l'Italia. |
LUCIEN HENRAUX
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