Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte diretta da Ugo Ojetti, Milano-Roma, 1922-23)

 

IL PITTORE RUBALDO MERELLO

 

Intendiamoci subito: non voglio impancarmi a scrivere di Merello con la civetteria artistica di uno scrittore; per due ragioni. La prima: non sono uno scrittore; la seconda: non voglio mettermi davanti a questo artista che ha vissuto nell'ombra e che anche ora, morto, resta nell'ombra. Parlerò di lui così, alla meglio, col solo onesto desiderio di aiutare qualcheduno a voler bene ad un uomo che ha vissuto appartato e ha dipinto, modellato, disegnato con grande ardore, tutto chiuso in questo ardore.

Questa non parrà retorica quando si sappia che Merello per poter esser libero (si parla di libertà di sviluppo artistico) s'era imposto una regola di vita frugalissima, anzi poverissima; per anni e anni lui e la sua famiglia - aveva moglie e due figli hanno vissuto con quello che spende un altro per fumar sigarette. Era un uomo piccino e grasso e qualche volta, guardandolo, capivo che alla gente potesse parer buffo. Io no: l'ho sempre rispettato; e prima di sapere che era un buon pittore e d'accorgermi che era intelligente, capii che era un brav'uomo, un onest'uomo, un uomo pulito moralmente. Insomma un uomo umano.

Lo conoscevo da poco e mi dissero che aveva la mania della persecuzione. Era vero; ma quando l'ebbi un po' in pratica, m'avvidi subito che la sua mania era - se così si può dire - legittima. I bimbi che si immaginano d'esser perseguitati dal maestro o dalla zia o dalla istitutrice, non sono poi tanto lontani dalla verità, perchè è vero che tutte le persone grandi le quali a ogni momento sventolano la bandiera del dovere sono ingiuste e crudeli. E un uomo intelligente e buono che s'è fatto della vita un concetto molto elevato, che è sensibile da rabbrividire ad ogni mistero, che è povero e non può vivacchiare d'accordo con tutti, per forza ha da sentirsi perseguitato. L'imbecille che non lo capisce, il ricco che guarda freddamente la sua povertà, lo sciocco che lo canzona, il disonesto che lo lascia da parte come un uomo inutile, sono i suoi naturali persecutori.

Anche mi dissero che era ossessionato dal timore che altri artisti gli potessero rubare qualche segreto di tecnica o forse addirittura un suo misterioso quid artistico che gli pareva d'avere imprigionato in una formola. Timori vani e un po' ridicoli; che un uomo ha sempre un suo nodo centrale così complesso e stretto che solo la morte glielo scioglie.... e poi chi sa! Ma gli artisti d'ogni tempo, e specialmente i grandi, hanno avuto quasi tutti di questi innocenti timori, e se ne impermaliscono soltanto gli imbecilli che son sempre ombrosi di quel che non somiglia alla loro imbecillità.

Conobbi Merello da Sem Benelli in una grande sala fredda del Castello di Zoagli. Seduto sopra una poltrona che sarebbe piaciuta a Sarah Bernardt, vidi un omino corto e grasso con una grossa testa un po' calva, appuntita da un pizzo. Un paio di occhiali ? di quegli occhiali che paiono nati col naso e tutto il resto ? accendevano e spengevano gli occhi piccoli vivacissimi e ? Dio mi perdoni! ? maliziosi. Dio mi perdoni, dico, perchè la luce di quegli occhi era di quelle che bruciano il male e poi illuminano lo sguardo d'una compiacenza che par maliziosa ed è la compiacenza di chi ha vinto una battaglia: la battaglia contro il male.

Perchè l'idea centrale di Merello era appunto questa : la grande necessità, la bella tragica necessità della lotta contro il male. E i suoi disegni, e qualche sua scultura, eran costruiti su questa architettura ? diremo così ? morale. Ma soltanto i suoi disegni e i suoi monumenti funerari. La sua pittura no. Giacché, è meglio dirlo subito, l'artista di razza, vale a dire l'uomo che per intendere l'universo fa dell'arte, non ha bisogno mai di raccontare delle favole o di costruire castelli filosofici. Qualche volta s'illude d'aver questo bisogno.

Così Merello ha spesso disegnato e modellato serpenti, mostri alati e altre creature malefiche. Ma ad indicare il curioso equivoco dell'artista c'è la compiacenza e la serenità tutta cinquecentesca e italiana con cui costruisce e accomoda quelle figure mostruose. E questo vuol dire che l'artista, partito dall'odio del male, arriva ? ed era fatale ? all'amore per tutte le creature che sono fatte di male e di bene. Tradisce senza accorgersene, il suo programma polemico moralistico per assolvere un compito più vasto.

Dunque, per pesar l'artista non bisogna badare a quelle impalcature ideologiche le quali possono sedurre soltanto qualche ingenuo che vive ai margini dell'arte. Merello come tutti i buoni artisti non ha mai raccontato nulla, bensì ha rappresentato. E ha fatto molti disegni, molti bei disegni a sanguigna e a Matita nera. Quest'uomo che era un magnifico colorista, che concepiva il mondo come colore, e che un bel giorno ? forse per il gusto di giocare una partita rischiosa ? ha smesso di dipingere e s'è messo a far della scultura, era un disegnatore instancabile. Come tutti i forti temperamenti artistici egli amava lo scheletro delle cose. Per quanto io sappia che la tecnica di un'artista non ha nessun valore a sè perchè è una sua necessità in ordine ad altre necessità più generali, credo interessante indugiarmi sulla fattura dei disegni di Merello.

Egli aveva trovato un suo modo per suscitare quel fantasma della terza dimensione con cui sono alle prese tutti i disegnatori: (anzi ora son nati quelli che si arrabattano con la quarta). Strofinando la sanguigna o la matita nera sulla carta e profittando delle asperità della superficie, gettava come una specie di velario fra sè e gli altri segni. Il grande problema di mandare in là il piano su cui si disegna era ? a modo suo ? risolto. Beninteso, l'artificio non era tutto lì; ma gli altri artifici eran subordinati a quello. E d'altronde quel che interessa, in problemi di questo genere, non è ? ripeto ? l'artificio tecnico in sè, bensì la oscura necessità che l'ha fatto nascere. Ma quando dipingeva, era un pittore. Detta a questo modo pare una grulleria, eppure son così pochi quelli che dipingono perchè sono pittori! Chi dipinge per vanità, chi per vigliaccheria, chi per sbarcare il lunario, chi per patriottismo, molti per vizio; pochissimi, ma proprio pochissimi quelli che dipingono perchè sono pittori.

Merello voleva bene all'aria, al mare, agli alberi e dipingeva perchè i colori di questo mondo sono belli. Certo, se guardate i suoi quadri dipinti a San Fruttuoso e a Portofino, un'aura di tristezza vi avvolge e qualche cosa di tragico vi turba, ma quella tristezza e quella tragicità son consolate e ? se volete ? redimite e fiorite. Andate a San Fruttuoso e a Portofino e vedrete che Merello ha ragione. Eppoi era libero! Libero da preconcetti stilistici, da formole cromatiche.

Che consolazione vedere un uomo che si mette davanti al mondo e temerariamente lancia la sua sfida: " voglio saper come sei fatto ", e non chiede aiuto a nessuno, e non ha vocabolario, nè grammatica, nè trattati di estetica, e fa come può, e cammina sempre sull'orlo di un precipizio e sbaglia e sbaglia ed armonizza ? finalmente! ? secondo un suo misterioso contrappunto, tutti i suoi errori. Perchè l'arte è proprio questo, e nient'altro che questo: la sinfonia di tutti gli errori umani. Per questo non ci sono errori d'arte, e non c'è arte grande e arte piccola, morale e immorale, arte di prima qualità, di seconda e di terza: ma arte e non arte.

Merello ha rappresentata la sua Liguria come nessuno - a mio parere - ha saputo prima di lui, ed ha fissato i caratteri di quelle terre e di quel mare. Il volto della sua piccola patria lo conobbe come si conosce il volto di nostra madre. Ma non bisogna credere per questo che si sia limitato a fare una pittura aneddotica: a ritagliar fuori dal mondo un pezzetto di muro, mezzo albero e uno spicchio di cielo; pittura da prigionieri che vedono soltanto quel quadratino di libertà incorniciato dalla inferriata; pittura aneddotica, ripeto, perchè si contenta di fissare l'effetto di quell'angolino di mondo a quella data ora. Anche Merello, sì, ha rinunciato, come quasi tutti i paesisti moderni, alla rappresentazione panoramica della terra, ma quel rettangolo di paese che egli dipinge, pur essendo mutilato dalla cornice, vive intensamente la sua ora cosmica in un'abbacinante fissità.

Si può dire che la scelta del momento solare non ha importanza se non perchè quello è un momento tipico nel quale i caratteri dell' assoluto son più evidenti. Quindi niente sentimentalismi nè mollezze elegiache crepuscolari, ma solo la rappresentazione della vita terrestre (l'uomo è sempre escluso) fatta da un fiero testimonio che ha già in bocca il sapore dell'al di là. Perché Merello ha scoperto che tutte le forme organiche vivono sommerse in un bagno di turchino che è il colore dell'infinito, e per lui l'ombra e la luce non sono più i termini di un vecchio rapporto scolastico: le luci hanno una cupa intensità siderale e le ombre son come intrise dalla serenità dei grandi spazi dove la luce passa senza fermarsi. Insomma, come tutti i poveri disgraziati i quali non hanno altra consolazione che la disperata gioia di capire, Merello va dal particolare al generale con tragiche aspirazioni verso l'assoluto.

Poco tempo prima di morire (è morto a quarantanove anni nel gennaio di quest'anno), si mise a far della scultura. Prima modellò qualche piccolo oggetto decorativo; l'impugnatura di una spada (una spada per Cadorna!), una lampada, un tagliacarte.... E in questi piccoli oggetti incastonava la sua filosofia, o vero li costruiva sulle armature della sua morale. Era così onesto e tanto assetato di bene! Poi riuscì ad avere la commissione di un monumento funerario e lo fece e lo mise a posto nel cimitero di Camogli. Quella figura scarna di donna ritta sopra una maschera di Medusa mi pare bellissima; volge il capo un po' a destra con un modo rigido e qualche cosa di implacabilmente triste è chiuso nel volto. Soltanto un uomo che ha lealmente accettate tutte le responsabilità della vita e s'è posto solo di fronte al mondo, solo e sempre vigile e sempre attento a serrare il suo nodo, poteva modellare quella figura.

Egli sapeva che cosa sarebbe stata la sua morte: una vittoria della vita sull'individuo il quale per tutto il corso della sua esistenza ha lottato per non essere confuso con la massa cosmica, e ora per ora, minuto per minuto ha misurato il nemico.

 

Enrico Sacchetti