Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - nr 120 Dicembre 1904)
 

Le acqueforti a colori di Lionello Balestrieri

Nel risveglio d'interesse che si è avuto, in questi ultimi anni, all'estero e più di recente anche in Italia per le forme svariate dell'incisione, le maggiori simpatie si sono rivolte verso le cromolitografie e le acqueforti a colori. Ciò, del resto, era naturale, perchè, mentre per ben comprendere e gustare la bellezza sempre alquanto austera delle stampe in bianco e nero è necessaria una certa speciale educazione della pupilla, nelle stampe colorate invece il pubblico trova una vivace gioconda attrattiva di facile ed immediata percezione nella comunanza di effetti che esse presentano, volta a volta, con la pittura ad acquerello e con la pittura a pastello.
L'acquaforte a colori, la quale, tentata per la prima volta dal Lastman, maestro di Rembrandt, ed applicata poi sulla tela con mediocri risultati dal Seghers, non era stata suffragata da un vero e vivo successo che nel Settecento, quando, dopo varie altre ingegnose ricerche tecniche, l'applicarono, con delicato e squisito senso d'arte, il francese Debucourt e l'italiano Bortolozzi, coi numerosi ed abili suoi imitatori inglesi, fu dunque peccaminosamente trascurata durante più di un secolo e non è ritornata in onore che soltanto ai nostri giorni. In questo meritato rinnovamento di favore, essa non aveva trovato altro cultore fra gl'italiani che Francesco Vilatini, il quale, come ben rammenta chi ha visitato le mostre recenti di Venezia e di Roma, ha eseguito sul rame a colori tutta una serie di paesaggi romani e di scene della laguna veneziana di poetica visione evocativa e di accorta e gradevole fattura.

Ma ecco che un altro italiano, il quale però già da tempo soggiorna e lavora a Parigi, si prova all'acquaforte e fin dalle prime stampe si addimostra particolarmente bene dotato per coltivare questo elegante genere d'arte. Egli è Lionello Balestrieri, diventato celebre dall'oggi al domani per merito di un'ampia tela suggestiva, Beethoven, che, nell'esposizione mondiale di Parigi del 1900, ottenne a buon diritto una delle poche medaglie d'oro assegnate alla sezione di belle arti dell'Italia. Il Balestrieri per le sue acqueforti a colori ha adoperato, così come il Vitalini, il metodo più facile nella pratica come quello che richiede minor mestiere calcografico e che si presta ad una più pittorica modulazione delle tinte, cioè di distendere i vari colori di una speciale più ristretta tavolozza su di un'unica lastra metallica, sia col polpastrello del dito, sia con un batuffoletto di lino. Però, invece di paesaggi arborati, di palchi abbandonati cosparsi di ruderi di statue e di vasi marmorei o di notturne visioni lagunari, il Balestrieri preferisce di rappresentare la figura umana o le scene movimentate della città e nel colore ricerca una maggiore vivacità di tinte, limitando invece il paziente esercizio della punta, che nell'incisore e pittore romano appare assai più elaborato.
Fra le parecchie acqueforti che il Balestrieri ha in quest'ultimi mesi eseguite ed in cui ha fatto rapidi progressi, giacchè i suoi primi tentativi in tanto fervore e con così buoni risultati, e ci vorrà dare opere sempre più gustoste in questo genere oltremodo piacente d'arte, che per la discretezza del prezzo dà anche alle case più modeste la possibilità di un attraente e schietto sorriso d'arte.

       
Vittorio Pica