Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - nr 181 - Gennaio 1910)

GIUSEPPE CARNELLI (necrologio)


Di fama ristretta nel breve ambito regionale, non ostante alcune non ingloriose comparse alle Esposizioni di fuori, godeva un altro artista decesso in questi giorni: un collaboratore della prima ora alla Casa editrice della nostra Rivista. A lui questa Casa deve i suoi primi successi nel ramo dei Cartelloni illustrati, quando il genere, nuovo per l'Italia, cominciava appena a farsi notare all'estero. Da lui essa ebbe i primi originali, specie per riproduzioni sacre, per calendari e per la sua svariata produzione in servizio della Réclame; ci sia consentito perciò un mesto tributo alla sua memoria, tanto più doveroso per noi, in quanto lo ritenianto anche un servigio reso ad una futura storia della pittnra italiana del secolo XIX, ancora da scrivere.

Giuseppe Carnelli nacque a Bergamo it 5 novembre 1838. Suo padre era un non mediocre pittore di decorazioni e avviò presto il figliuolo all'arte nella sua stessa bottega, facendolo cominciare dove cominciavano i maestri antichi, nella macinazione e preparazione delle mestiche e dei colori. Frequentò contemporaneamente le scuole dell'Accademia Carrara, maestro lo Scuri. Le belle doti naturali, già affinate dalla prima istruzione paterna, diedero presto ottimi frutti: parecchie medaglie nei concorsi annuali della scuola ed una medaglia alla I Esposizione Italiana di Firenze nel 1861, ove concorse con un grande quadro di soggetto religioso, commessogli dalla fabbriceria d'una alpestre parrocchia della bergamasca.

Dopo quel primo felice esordio i suoi lavori si susseguono ininterrotti. Lavoratore indefesso per natura, si trovò presto assillato dalle dure necessità della vita. Poco più che ventenne, innamoratosi a fondo d'una cuginetta, tanto insistè con la famiglia da ottenerla sposa. Presto vennero i figliuoli e coi figliuoli le spese, i bisogni.

 

Correvano allora anni punto propizii all'arte. Le guerre dell'indipendenza e le susseguenti lotte politiche assorbivano per intiero il pensiero e l'interesse del paese : lettere, arti che non fossero a servizio patriottico, recitando il mea culpa, potevano far proprio il motto : povera e nuda vai filosofia. Il Carnelli, pure essendo ottimo cittadino, si tenne sempre estraneo ai fatti e alle passioni politiche che di proposito non voleva ascoltare, ne comprendeva, tutto assorto nell'arte sua e solo aperto all'antica, bonaria espansività famigliare, in cui era crescitito. Ma quello che non sentiva lui, sentivano gli altr, che iu tutt'altre faccende affaccendati, non potevano avvedersi del giovane pittore pieno di promesse, ma cortissimo di pecunia, che aspettava come manna l'ordinazione del quadro. Il Carnelli senza scoraggiarsi, sollecitato della madre, diede per un momento addio al cavalletto e, sullesempio del padre, via su pei ponti a frescare, a dare di tempera; a modellare stucchi decorativi, per scale e scaloni, in camere e sale di palazzi e di ville signorili, e dai soggettini sacri nelle cappellette e nei cimiteri di campagna assurgendo presto alle chiese e ai santuari vastissimi. Artista di natura e d'istinto, venuto in un tempo e da una famiglia in cui la considerazione della cultura, rispetto alla professione che stava perabbracciare, era ritenuta non necessaria, se non addirittura superflua, non ebbe istruzione oltre la elementare, e fu certo gran danno.

La fantasia non ebbe grande, grandissima invece la cognizione della buona tecnica pittorica : nessun segreto ebbero per lui la tempera, l'affresco, la pittura ad olio, la modellazione della creta e del gesso, sapeva usarli indiferentemente sopra qualunque materia, con una sicurezza appena eguagliata della fissita e stabilità de' suoi lavori, nessuno dei quali pare soffra dal tempo e dalle intemperie. Gli argomenti delle sue opere gli furono pressochè sempre dettati dai committenti. Le poche opere a cui si accinse spontaneamente gli furono suggerite più che da altro dal desiderio di un motivo che gli permettesse di provare la sua abilità tecnica.

 

E questa ha meravigliosamente provata in un quadretto di pochi decimetri quadrati, la Lattaia, esposto al Salone di Parigi. — Una mezza figura di campagnuola che, di primo mattino, versa, misurandolo, del latte in una marmitta, che trovasi sul tavolo in un angolo di cucina borghese. Una piccola meraviglia di colore d'ambiente, di vaporosità, di finezza, che non avrebbe fatto torto alla firma di Gherardo Dow.

La lattaia studiò tutta dal vero, figura e particolari, attardandosi in eseguirli con una gioia devota quale dovevano provarla i grandi fiamminghi del seicento. E l'opera riuscì un gioiello di fattura, di naturalezza, di verità. Fu a seguito del successo di codesto quadretto che da Parigi gli venne l'ordine d'altro quadretto a figure di eguale proporzione della Lattaia, ma di soggetto goldoniano. Studiò allora il Madrigale, a piccole figure intiere, e le collocò in un salottino rococò, meraviglioso per i particolari decorativi; ma il quadretto non lo lascio contento del tutto. Contentissimo fu invece Il committente, che subito gli ordinò altro quadro, ancora di costumi goldoniani, ma questa volta lo volle di proporzioni molto maggiori ed a figure terzine; l'argomento : Una vista alle educande. In questo quadro il Carnelli naufragò. - Poco cognito della storia del tempo in cui doveva collocare la sua scena - anzichè in un parlatorio quali ne ha dipinti il Longhi dal vero — esso limitò la scena a poche persone in un ambiente vastissimo, decorativamente bello, ma freddo, vuoto. Scoraggiato, un bel giorno sfregiò la tela con due colpi di paletta in croce - volse il quadro al muro.... e ritornò alle vaste tele, alle grandi pareti, alle volte sterminate, ne più le abbandonò - se non qualche rara volta per dare agli amici un ritratto e lavori all'Istituto che ha sempre diletto.

 

Non ci è possibile enumerare tutte le opere da Lui compiute nel periodo successivo a questi lavori, tanto feconda fu la sua produzione. Accenneremo solo ai principali. Coprì di freschi e tempere la parrocchiale di Piazzolo in Valle Brembana (1881). Frescò con figure allegoriche la facciata dello stabilimento Fratelli Cattaneo successori a Gaffuri e Gatti in via Masone a Bergamo (1881). Dipinse le medaglie della volta del Duomo di Bergamo (1886). Eseguì una mirabile Assunta per la parrocchiale di Brignano (1896). Una Caduta della manna ed un Cenacolo per Lurano (1897). Espose una Sacra Famiglia al Concorso di Torino (1898). Eseguì una S. M. Maddalena Martinengo, per Milano (1900). Decorazioni e freschi per la chiesa di Rocca d'Adda (1901). Alfrescò il presbiterio di S. Fiorano di Codogno (1902). Dipinse una pala, la Morte di S. Giuseppe, per la parrocchiale di Albino (1905). Coprì di affreschi il presbiterio di S. Angelo Lodigiano (1907). Affrescò e decorò la villa Luiselli ad Almè (1909).

Ultimamente aveva avuto commissione della fabbriceria della chiesa di Valverde, vicina a Bergamo, di una serie di figurazioni per l' ottava dei morti. Vi stava lavorando, quando pur troppo inopinata la morte lo colse in tornare dalla città al villino ove abitava, con una fulminea flussione di petto che in 24 ore lo spense.

Alcune di quelle figurazioni della morte, che ci guardavano irridendo la nel suo studio, eretto in cappella mortuaria, quando lo portammo alla sua ultima dimora, abbiamo voluto riprodurre qui, per aggiungere un'altra nota, per dare un altro saggio dell'opera multiforme di questo fortissimo artiere.



P.G.