Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - n° 135 - Marzo 1906)
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Angelo dall'Oca Bianca

A scuoterlo, a risvegliarne le particolari attitudini pittoriche e ad imprimere ad esse un confaciente indirizzo doveva giovare immensamente una visita fatta da lui allo studio di Giacomo Favretto e la parola affettuosamente incoraggiante di costui.

L'influenza del seducente maestro di El difeto xe nel manego e di Dopo il bagno doveva affermarsi d'allora in poi profonda e direi quasi incancellabile sul pittore veronese, tanto che, dopo essersi mostrata prepotente in tutta l'abbondante e fin troppo facile produzione dei suoi primi anni, anche oggidì, malgrado le svariate tecniche ed i vari indirizzi seguiti da Angelo dall'Oca-Bianca, fa ancora capolino, sia in un grazioso particolare di disegno, sia in un vivace rapporto di tinte, sia nel vezzoso atteggiamento di una figura femminile.

Pittura fresca, brillante e gradevole molto all'occhio pel suo brio cromatico e per la civettuola grazia della figurazione quella dell'età sua giovanile, che va dal melanconico Sotto zero al sentimentale Tra il sì ed il no ed alle due movimentate scene del Lavatoio e del Fogo al camin, ed in cui lo scenario, i tipi popolani e gli episodi caratteristici sono quasi sempre suggeriti dalla dilettissima sua Verona.

La piacevolezza ricercata e spesso evidentemente artificiosa e la tendenza all'effetto scenografico, più o meno infedele al vero, non tardarono però molto ad apparire in questa prima maniera di Dall' Oca-Bianca, come in quella di ogni altro degli imitatori del Favretto, ed egli, in cui gli encomi della stampa, gli sdilinquimenti ammirativi del gaietto sciame femminile ed i successi ripetuti di vendita non sono, per sua fortuna, riusciti mai ad addormentare la comprensiva suscettibilità della coscienza artistica, intese, sia anche un po' vagamente, che l'insistere in essa sarebbe stato un grave errore per la sua riputazione presso gl'intelligenti. Se non ebbe la forza di cambiar subito strada risolutamente, sforzossi però di dare un'intensità maggiore all'opera propria, con l'evocazione accorta dell'ambiente secondo il sito e l'ora, come nell'Ave Maria, che ottenne nel 1886 il premio "Principe Umberto" e trovasi adesso nel museo d'arte moderna di Milano.

Enumerare e descrivere le principali fra le tele dipinte, quali venti anni fa e quali soltanto l'anno scorso, dal fecondissimo pittore veronese, con fattura meno ammanierata, con composizione più libera e spontanea e con minore superficialità psicologica, pure rimanendo fedele al suo genere primitivo, non potrebbe che riuscire lungo e fastidioso. Mi limiterò quindi a rammentare la Quadriglia, in cui, con rara maestria di pennello, è fissata sulla tela, nel suo gaio e turbinoso movimento, la rusticana baldoria giovanile di una domenicale festa di villaggio; L'idolo, di una delicata soavità familiare; Contrasti, coi suoi crocchi di persone così espressivi, benchè forse alquanto teatralmente disposti; Anime assolte, con le due figure di giovani popolane che escono dalla chiesa, un po' manierate nella loro ridente bellezza; Dame e cavalieri e Bebè a' spasso, in entrambi i quali così leggiadramente glorificata è la grazia fascinatrice dell' infanzia; Piazza delle erbe, tanto giocondamente movimentata, sotto un cielo radioso per la luce del tramonto.

La medesima piacevolezza, non esente talvolta di leziosaggine, ritroviamo nelle numerose teste di fanciulle e di dame, brune, bionde o fulve, che egli ama di dipingere col sorriso sulle labbra, cogli occhi amorosamente ammiccanti e vestite di stoffe dei più brillanti colori. Esse ottengono sempre un vivo successo nelle mostre d'arte, ma io preferisco loro di gran lunga i piccoli ritratti muliebri od infantili, che egli ha, più di una volta, con la matita o con l'agile penna, fissati sulla carta.

Pure avendo cercato ed essere assai spesso riuscito a dare alle sue scenette di genere l'attrattiva di uno sfondo pittoresco, studiato e riprodotto con amorevole cura, e quella di una sempre maggiore spontanea naturalezza di aggruppamenti e di pose delle figure in esse tratteggiate, Angelo dall' Oca-Bianca non si appagò del tutto, tanto che, a poco per volta, egli finì col persuadersi che i suoi quadri, come gran parte della facile, disinvolta e piacente produzione pittorica, fiorita nel Veneto durante un ventennio e più sotto l'influenza favrettiana ed in mezzo alle entusiastiche acclamazioni del pubblico, erano di una fattura piuttosto ammanierata e di nessuna o di troppo scarsa profondità psicologica.

In seguito a tale sua persuasione, noi abbiamo potuto assistere, durante gli ultimi dodici anni, quasi sempre con sorpresa, talvolta con rincrescimento per qualche intemperanza di concezione, per qualche squilibrio di composizione o per qualche deficienza di forma, ma spesso con vivo compiacimento, a tentativi svariatissimi di Dall' Oca-Bianca, ora nel campo del sentimento, come negli Amori delle anime, interessanti anche dal lato tecnico per una speciale applicazione del luminismo divisionista, in Tramonto e nella Chiesa, esposta l'estate scorsa a Venezia, ora nel campo del verismo passionale, come in Primavera, ora nel campo di un simbolismo un po' involuto e confuso,come nel dittico Nella vita: Sogno — Realtà, ed ora infine nel campo della fantasia mistica, come in Foglie cadenti, premiata, a buon diritto, con medaglia d'oro a Barcellona qualche anno fa ed a cui egli è riuscito ad infondere un' intensità emotiva ed insieme suggestiva di spiccala nobiltà estetica.
In questi tentativi di estetico auto-rinnovamento, che costituiscono la seconda maniera di Angelo dall'Oca-Bianca, pure non rinunciando alle native doti squisite ed ammalianti di colorista, che ama sfoggiare sopra tutto quando, come nella serie di gustose tele grandi e piccole, in cui ha consacrato il pennello a ritrarre e glorificare questo o quell'aspetto della sua Verona od anche le aiuole, i viali ed i marmi spezzati e rivestiti di piante rampicanti di qualche vecchio giardino, circonfuso dalle auree o purpuree luminosità del tramonto, egli ha saputo, mercè uno sforzo oltremodo commendevole d'intelligenza e di volontà, rinvigorire e rinnovare in gran parte l'arte sua.

Che importa che egli non sia uscito sempre vittorioso dalle prove da lui arditamente affrontate? Rimane pur sempre accertato che egli, benchè non abbia voluto ancora rinunciare completamente a servirsi di certe formole artificiose e leziosette della sua prima maniera, è degno di una lode davvero singolare per la nobile incontentabilità dél suo spirito, che, pure possedendo tutte le doti atte ad accontentare e lusingare fino all'entusiasmo il pubblico ed essendosene ripetutamente assicurato, non isdegna di cercare, anche a rischio di vedersi sfuggire il successo, sempre nuove vie e di aspirare verso nuovi e più vasti orizzonti artistici.


Vittorio Pica                  


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