Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - n° 253 - Gennaio 1916)
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Artisti contemporanei : Pompeo Mariani

 

Conquistato il favore del pubblico e della stampa, nonchè delle giurie e delle commissioni di acquisti ufficiali, esso in seguito non gli venne più meno, pure non giungendo a quell'elevato grado di entusiasmo, che, per ragione di contrasto, suscita impetuose opposizioni e pugnaci polemiche. Durante quindi circa un ventennio, i paesaggi, le scene di caccia, i quadri di genere ed i ritratti, da lui eseguiti con feconda facilità, trovarono sempre nelle mostre d'arte liete accoglienze, ma i maggiori successi egli li ottenne con le vedute del porto di Genova al tramonto od al chiaro di luna, di cui l'una, Saluto del sol morente, gli fece vincere a Milano, nel 1884, il premio Umberto di 4000 lire, l'altra, Sorge la luna, gli fece assegnare una medaglia, nel 1888, a Monaco di Baviera ed una terza, Vaporino rimorchiatore, venne acquistata dal Ministero dell'Istruzione Pubblica per la Galleria Nazionale d'Arte Moderna.

Altre marine gli suggeriva negli anni susseguenti Bordighera, ma la fiera ed indomabile indipendenza del suo carattere anche contro le lusinghiere richieste del pubblico e contro le complimentose esigenze della critica, che parevano non voler più vedere ed ammirare in lui che il pittore del mare, lo indusse, insieme con l'incessante lodevole bisogno di nuove ricerche che tormentava il suo cervello, a chiedere ed a trovare in un campo affatto diverso da quelli coltivati fin allora l'ispirazione pei suoi pennelli. Evitò così il pericolo, che già da qualche tempo lo minacciava da presso, di scivolare nell'artificioso e nel manierato, col troppo frequente ripetere i medesimi effetti di luce solare, lunare e siderale, riflessi nel mobile specchio delle acque del mare, e, d'altra parte, studiando e ritraendo, con acuto sentimento di modernità, le eleganze mondane di Milano e poi di Montecarlo, egli dette vita alla parte più originale e più geniale della sua opera di pittore, se anche possa dirsi che finora non sia tenuta nel pregio in cui meriterebbe di essere.

Oltremodo interessante è il seguire, attraverso una scelta collezione di quadri ad olio, di acquerelli e di monotopie, eseguiti da Pompeo Mariani in diverse epoche, da quelli esposti a Nizza nel 1885 a quelli esposti a Roma nel 1913, le successive fasi della produzione varia e sovrabbondante di questo valente e simpatico pittore dalla intelligenza sveglia e indagatrice, dalla vista acuta e penetrante e dalla mano agile disinvolta e mirabilmente pronta a fissare sulla carta o sulla tela qualunque cosa riesca a colpire la sua sensibilità, molto facile ad essere impressionata.

Desideroso, fino dalle sue prime prove, di tenersi in cospetto alla natura per ritrarne, con appassionata fedeltà, i mutevoli aspetti caratteristicamente pittoreschi, egli a venticinque anni intraprese un abbastanza lungo viaggio per terra e per mare per recarsi da Milano al Cairo a riprodurre direttamente dal vero quelle figure e quelle scene dell'Egitto, di cui ho già fatto parola poco innanzi. Però, mentre la realtà gli stava dinanzi agli occhi, la sua mente era tutta occupata dal ricordo delle opere di Fortuny e di Morelli, che in quel tempo facevano delirare d'entusiasmo artisti giovani e vecchi, e siffatto ricordo ossessionante ebbe su quanto egli dipingeva influenza mollo maggiore del vero, che gli era presente, ma a scorgere nitidamente ed a gustare sinceramente il quale non era stato abbastanza preparato dai suoi iniziatori all'arte. Sicchè, potendo riuscire, sia anche soltanto in parte, giovanilmente originale nella notazione pittorica delle sue impressioni africane, riuscì invece accorto e piacevole nel richiamare ora la maniera dell'autore spagnolo del Matrimonio alla Vicaria ora quella dell'autore del Conte Luca. Però bisogna convenire che, come purtroppo accade di sovente, egli dovette il primo suo successo proprio al suo errore ed eziandio — riconosciamolo per dovere di lealtà — alla vivace grazia della tavolozza, in cui già rivelavasi il colorista di razza.

Della comprensione schietta della realtà e della ferma sicurezza di visione e di riproduzione, indispensabili per potersene fare interprete, il Mariani non darà prova affatto persuasiva che parecchi anni dopo, con varie scene di caccia, fra le quali io amo in ispecie una, con effetto di neve sotto il chiaro di luna, intitolata Tesa all'anitra selvatica, perchè, oltre ad un'efficacia evocativa non comune, a me pare di ritrovarvi una nota di spiccata originalità individuale.

Se queste scene cinegetiche passarono quasi inosservate, furono invece accolti con largo favore alcuni quadretti di genere di una piacevolezza alquanto leziosa, come ad esempio Foglia caduta e Ultimo raggio di sole, e sopra tutto la numerosa collezione di marine, suggerite al fecondo pennello del pittore di Monza dall'incantevole riviera ligure. Fra esse ve ne sono senza dubbio di quelle a cui si potrebbe a ragione rimproverare una ricerca dell'effetto scenografico ottenuto con mezzi artificiosi ed altre a cui l'autore si è sforzato di aggiungere, mercé figure dalle pose e dalle espressioni teatrali, un interesse novellistico, che è un fuor d'opera di discutibile buon gusto, ma ve ne sono pure di molto degne di ammirativa considerazione per la delicatezza suggestiva con cui vi è espresso il sentimento dell'ora, che più di una volta è proprio la dantesca ora in cui volge il desio, o per l'efficacia rappresentativa con cui vi è riprodotto il turbinoso e fumicante movimento d'imbarcazioni d'ogni forma e d'ogni mole in un vasto porto commerciale, quale è quello di Genova.

Come ritrattista, il Mariani ha avuto, una quindicina di anni fa, il suo momento di voga, tanto che nobili dame, severi prelati e brillanti ufficiali, nonchè un ammiraglio inglese ed un sovrano italiano, vollero posare dinanzi a lui per dargli agio di fissare le loro sembianze sulla tela. Pure riconoscendo a questi ritratti il pregio, troppo tenuto a disdegno dagli artisti e tanto ricercato dai non-artisti, della rassomiglianza fisica e la lodevole cura di cercare, con iscrupolo grande se non sempre con buon risultato, di atteggiare con la maggiore naturalezza possibile la figura della persona da ritrarre, a me pare di riscontrare in quasi tutti un non so che di rigido e d'impacciato che mi fa pensare che un tale genere ponderato e laborioso mal si attagli all'indole sua di impetuoso spontaneo e rapido pittore di primo getto. E in questa opinione mi confermo se contemplo l'uno o l'altro di quelli che egli suole chiamare semplicemente "studii per ritratti", eseguiti non per contentare un cliente ma per contentare sè stesso, non per cogliere una rassomiglianza ma per fissare un gradevole accordo di tinte, perchè in essi io ritrovo, come ad esempio nell' ottimo Studio pel ritratto di mia moglie, tutte le più seducenti doti del suo pennello.

Una dozzina di anni fa, avvenne che, non potendosi dedicare alla pittura con la completa abituale dedizione di sè stesso, perchè le cure assidue che al suo premuroso affetto chiedeva una grave malattia di Mosè Bianchi assorbivano gran parte del suo tempo, il Mariani profittasse di un torchio che aveva sotto mano per consacrare le poche ore di libertà della giornata ad un particolar genere di monotipo da lui inventato e che consiste nel dipingere a uno e più colori sopra una lastra di rame, senza servirsi di acido o di bulino, e nel tirarne poi una prova unica su carta da acqueforti. Per quanto si tratti di un genere ibrido, come quello che non è più pittura e non è ancora incisione ed in cui inoltre l'accidente fortunato della leggendaria spugna di Apollo sembra quasi elevato a sistema, devesi riconoscere che egli ne ha ricavato, mercé la briosa e civettuola grazia delle tinte vivaci e del disegno sommario, effetti piacevolissimi, ciò che spiega la favorevole accoglienza che queste sue "prove uniche" trovarono a Venezia, a Milano e dovunque in seguito le espose.

Le più caratteristiche fra esse presentavano figure e scene della vita notturna delle strade dei caffè e dei teatri di Milano. La scelta di tali soggetti, che il Mariani più di una volta si compiaceva di battezzare con titoli umoristici, lo indusse a contemplare, con speciale attenzione, la vita che si svolgeva dintorno a sè ed a sentire alfine quella sottile malia della modernità, che era destinata a trasformare profondamente l'arte sua. Fu essa che gli ispirò quelle eleganti e movimentate scene del campo delle corse di San Siro a Milano e del casinò di giuoco a Montecarlo, le quali nella sua abbondante produzione artistica sono degne, a mio avviso, di occupare un posto d'onore. Eppure, così come le scene di caccia, hanno trovato minor consenso di simpatia e di lode da parte del gran pubblico italiano, il quale, benchè non abbia fatto loro il viso d'armi, non ha mostrato di comprenderne e di apprezzarne appieno la novatrice e gustosa originalità.

E' da notarsi però che se, fra le scene di vita sportiva milanese, ve ne è più d'una che assurge all'importanza compiuta e complessa del quadro, come può affermarsi di quella, di composizione e di taglio tanto arditamente modernisti, la quale porta per titolo Alle corse di San Siro, tutte le scene invece suggerite da Montecarlo e dipinte a tempera su cartone, con rapida rievocazione impressionistica di cose e di persone, rimangono allo stadio di bozzetti. So bene che alcuni di questi bozzetti, fra i quali vi sono veri gioielli di grazia di composizione e di savorosità cromatica, possono a buon diritto preferirsi a molti pregiati e pregevoli quadri moderni. Ciò però non mi vieta di credere che un artista il quale in potenzialità vale anche più di quanto valga fin'adesso l'opera sua in estrinsecazione come io giudico sia il caso pel Mariani, non possa, mercè un più sapiente lavoro cerebrale di selezione, dí sintesi e d'intensificazione, ricavare dal materiale già radunato su di un così ricco campo di osservazione pittorico e sociale, due, tre e più quadri di più efficace e profondo significato estetico.

Tutto sta nel vedere, se, data l'indole sua primesautière, per dirla alla francese, che attribuisce tanto spesso a ciò che egli dipinge le qualità affermative e insieme quelle negative dell'improvvisazione, gli riesca possibile, mercè un contenuto e fermo sforzo di volontà, di serbare intatte la gioconda foga della tavolozza, la schietta spontaneità della creazione e il brio indiavolato del movimento, che sono fra le doti maggiori dei suoi bozzetti di Montecarlo, mentre tenterà di aggiungervi l'equilibrio di composizione, la saldezza di disegno costruttivo, il giuoco dell'aria e della luce, nonchè la tipica intensità di espressione delle figure, considerate in uno scenario di opulenza fattizia e di lusso equivoco e sotto l'esaltante e traviante duplice azione della febbre del giuoco e della febbre dei piaceri sensuali.

Se riuscirà ad ottenere ciò e se, in pari tempo, saprà rinnovare la sua fattura tecnica, eccellente sotto tanti aspetti ma sotto altri aspetti tuttora alquanto convenzionale e tradizionalistica, egli potrà alfine manifestare interamente la sua genialità d'artista e produrre qualche opera davvero completa e di ordine superiore, a cui rimarrà principalmente affidata la sua fama presso le generazioni future. Non è però improbabile che, al cospetto di queste nuove opere di cosciente e completa arditezza modernista, il favore di pubblico e di critica, che l'ha accompagnato fino ad oggi con mirabile costanza, venga meno e che egli abbia la sorpresa sgradevole di sentirsi rivolgere parole di compatimento ed anche d'ingiuria proprio da coloro che più nel passato l'hanno encomiato.

Egli però serba tanta impetuosa giovanilità e tanta arguta serenità di spirito che la cosa non può di sicuro spaventarlo e chissà che proprio il desiderio paradossale di provare una buona volta l'acre e pungente emozione di un vero e pieno insuccesso non l'induca al coraggioso tentativo. Come suo amico ed estimatore già di antica data, io mi permetto di sperarlo e di augurarglielo, ben sapendo, come in Italia lo attesta l'esempio eloquente di un Giovanni Segantini, che nel mondo delle belle arti i fiaschi clamorosi dell'oggi molto spesso diventano per un pittore o uno scultore i suoi maggiori titoli di gloria per l'avvenire.

Vittorio Pica                   

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