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(Fonte : Emporium - Nr 355 Luglio 1919)
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Umberto Moggioli (Necrologio)
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Si è spento a Roma, vittima d'un attacco d'influenza, un
giovane pittore ch'era poco conosciuto dal gran pubblico, e
perfino dai colleghi e dalla critica, non per deficienza di
talento ma per la sua indole eccessivamente riservata e per
la troppo tranquilla vita che conduceva sempre, tutto
assorto nel suo lavoro e negli affetti familiari. Ma sarebbe
ingiusto stendere l'oblio sul suo nome. Egli tu un artista
di sicuro valore. Lavorò molto e bene, e se le opere di lui
non sono molto note, ciò si deve al fatto che non volle
esporre quasi mai. Fu assiduo soltanto alle biennali
veneziane, e la maggiore e miglior parte dei quadri li
vendeva direttamente ai privati non appena li avesse
compiuti.
Nato a Trento nel 1886, era riuscito ad aprirsi la sua
strada muovendo quasi dall'indigenza. Il suo istinto per le
arti figurative lo spinse alla pittura fin dagli anni
dell'infanzia, e, a poco a poco, sorretto dalla sua grande
passione, animato da una indomita forza di volere, riuscì ad
ottenere da sè stesso gli aiuti necessari a frequentare
l'Accademia di Venezia, da cui, poi, passò alle scuole di
Guglielmo Ciardi e di Augusto Sezanne. Con quest'ultimo
doveva, in seguito, collaborare alla decorazione della Cassa
di Risparmio di Rovereto, giovandosene per impadronirsi
della tecnica dell'affresco, che impiegò, qualche anno più
tardi, in varie, nobili ed ampie decorazioni da lui stesso
ideate ed eseguite, come, ad esempio, quelle della facciata
e dell'atrio del Palazzo Baisi di Trento.
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Ma la sua più schietta personalità egli la manifestò nella
pittura all'aria aperta, rivelandovi potenti qualità di
colorista ed un lirismo sincero. Nei suoi quadri, perfino
nei suoi rapidi bozzetti, vi è sempre un'espressione
immediata della vita, che vibra, nei suoi vani aspetti, di
una nota costante di emotività. Quando nel 1912 in una
mostra personale di Venezia espose a Palazzo Pesaro
quattordici tele, apparve già in possesso di mezzi di
espressione compiuti: quei paesaggi lagunari di Burano, di
San Francesco del Deserto, di Torcello, di Treporti, animati
da figure che vi conferivano talora carattere georgico,
dinotavano nell'artista un sincero amore per la terra e le
untili cose, un profondo senso per le candide ed eterne
espressioni della vita. Spiritualmente il Moggioli ci
appariva degno fratello del Segantini, del Millet e del
Claus.
Alla vigilia della guerra l'artista viveva nella quiete di
Burano, felice accanto alla sua sposa, in un'esistenza
serena, feconda di lavoro. Ma quando l'Italia chiamò alle
armi, egli, abbandonando questa vita di pace, corse ad
arruolarsi volontario e fu soldato per otto mesi sul fronte
tridentino. Una grave malattia lo costrinse, poi, ad
abbandonare il suo posto. Venne a stabilirsi a Roma, riprese
la sua attività pittorica e in tre anni ideò moltissimi
quadri, eseguendo la serie delle quattro stagioni in quattro
grandi pannelli, di cui due compiuti, ed una larga messe di
quadri e ritratti all'aria aperta. La luce di Roma lo
esaltò. Due quadri appartenenti a questo recente periodo,
La
casetta nel parco e Il giglio rosso, vennero acquistati dal
Governo italiano per la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di
Roma. |
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A. L.
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