Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Emporium - Nr 454 Ottobre 1932)

 

Necrologio : Giulio Aristide Sartorio

 È morto a Roma, dopo una lunga malattia, il pittore Giulio Aristide Sartorio, Accademico d'Italia, che di quell'alto consesso tenne la vice presidenza. Non è facile trovare un artista che abbia lavorato quanto lui: le sue tele si potrebbero contare a chilometri, e non meno difficile è trovare un pittore che come lui fosse metodico nella produzione dell'arte sua. In certi tempi s'era dato un compito, né più né meno come si narra di certi scrittori americani che ogni giorno si impongono tante parole battute a macchina: per lui erano ogni giorno tanti metri di tela dipinta, e fu questo il periodo in cui tracciò quel fregio del Parlamento, rimasto famoso per le accoglienze non troppo concordi della critica. Giovane si dette all'arte, preferendo la pittura all'aria aperta e, combattendo nettamente il quadro storico allora sul declino, si avvicinò al Michetti che ebbe su di lui fortissima influenza. Influenza certo spirituale più che artistica, poiché anche proclamandosi suo allievo e non riconoscendo altro maestro, la sua pittura fu agli antipodi di quella michettiana, tanto per il colore quanto per il sentimento. Aderì al movimento di Nino Costa, pur rimanendo costante nel suo personalismo, e fu più tardi per cinque anni maestro a Monaco di Baviera, dove si legò d'amicizia con Franz Stuck, entrando in pieno in quel movimento culturale e letterario tipicamente tedesco. Il risultato fu piuttosto curioso per questo assertore del verbo antistoricista; due quadri rimasti famosi ed anch'essi variamente criticati: la Diana d'Efeso e la Gorgone e gli eroi, che sono la quintessenza del quadro storico-mitologico. Quello dunque che in patria appariva da scartarsi, trovava grazia presso il Sartorio in ossequio alla kultur che trasportava lo storicismo qualche secolo più indietro. Della sua arte non è bene parlare adesso specialmente per il fatto che il rinnovamento della pittura italiana disorienterebbe, né permetterebbe un calmo ed equo giudizio. Essa fu indubbiamente personalissima, e le influenze che subì furono quelle letterarie, troppe volte deleterie per la sincerità dell'espressione artistica. Amico di Gabriele d'Annunzio, conosciuto per mezzo del Michetti, fu anch'egli tratto a subire l'influsso di quel fascinatone che, letterato, accoglieva ed amava l'arte del suo tempo invero tutt'altro che felice, intriso com'era di liberty e di floreale.

Forse ad uno spirito indipendente e sicuro di sè come il Sartorio, nocque l'ambiente in cui visse e l'arte che vide nascere sotto i suoi occhi, tra la fine dell'ottocento e il principio del novecento, periodo oscurissimo ed infelice, di cui si viene sempre di più riconoscendo l'antiartisticità. In altro ambiente, in altra epoca, forse diversa sarebbe stata l'arte di quest'uomo che vedeva grandiosamente, ed instancabilmente lavorava come avrebbe potuto fare un pittore dell'epoca aurea, e conosceva il suo mestiere come pochi lo conoscono. Pure essendosi lasciato cadere in romantici abbandoni via via che trionfavano nel suo spirito le teorie ora del prerafaelitismo inglese dei successori del Rossetti, ora del contenuto e misurato dramma della pittura germanica, storico-mitologica a suo modo, ora dell'influsso di Nino Costa, nel cui studio mai aveva messo piede - come egli diceva - ma alla cui "Ninfa" s'era ispirato per la figura della sua Gorgone, convien ripetere che la sua arte rimase fondamentalmente personale. Se questo per lui, nei confronti della critica fu un bene od un male, giudicheranno gli altri; è certo che nel concetto del pubblico il suo nome salì molto in alto, ed alla sua popolarità contribuirono, più del fregio del Parlamento, i due grandi quadri esposti alla Galleria d'arte moderna, e che attirano proprio per il soggetto storico-mitologico che l'artista in principio aveva combattuto. Volontario in guerra, fu ferito e fatto prigioniero; liberato tornava al fronte non più come soldato, ma come pittore, ed infine, chiusa la pausa sanguinosa, rientrava nella pace di quegli orti di Galatea che amava tenere adorni di opere d'arte con lo stesso spirito di un signore del rinascimento. Qui egli ha chiuso la sua vita e con essa la sua attivita; chè pochi giorni prima di morire, ancora s'era dato affannosamente a lavorare per condurre a termine i cartoni destinati alla cattedrale di Messina.