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(Fonte : Emporium - n° 141 - Settembre 1906)
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ALFRED STEVENS (necrologio)
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Per quanto l’illustre pittore belga, morto nell'ultimo
scorcio dello scorso mese di agosto, avesse raggiunta la
grave età di ottantatre anni e si dovesse considerare come
un artista finito ed un uomo che si sopravviveva dal giorno
che una paralisi lo aveva inchiodato sulla seggiola a
sdraio, su cui ha tristemente trascorso l'ultimo periodo di
un'esistenza altravolta così brillantemente mondana e
gloriosamente artistica, non è senza rammarico che si è
appresa la definitiva sua scomparsa dalla scena del mondo,
specie in Belgio, sua patria di origine, ed in Francia, sua
adorata patria d'adozione.
Nato a Bruxelles nel 1823, iniziato all'arte dal Navez,
di cui e noto il severo neo-classicismo davidiano, fu a
Parigi che Alfred Stevens, dopo un primo mediocre tentativo
di pittura di scenografico carattere romanticamente storico,
doveva affermare l'individuale sua originalità estetica col
ritrarre, sotto i più diversi aspetti e nei più diversi
momenti, la Parigina dei tempi suoi.
Con le piacevoli e caratteristiche sue scene di vita
mondana di così nervoso modernismo di visione, di così
raffinata eleganza di disegno e di così savorosa seduzione
di colore, egli seppe ben presto conquistarsi una fama
mondiale e fu, insieme col musicista Offembach, col
romanziere Feuillet e coi parodisti Meilhac ed Halèvy, uno
dei maggiori trionfatori dell'arte graziosa e scettica del
Secondo Impero francese.
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E', quindi, molto probabile che ai suoi quadri, cosi
rappresentativi di un dato periodo sociale e di un
particolare tipico aspetto di muliebrità, fra i quali
piacemi di qui rammentare La lettre de fairepart,
La femme au chien,
Retour du bal, La visite, L'atelier, La femme en jaune, Le dertzier jour de
veuvage, Tous les bonheurs, La femme au bouquet, Jeune mere,
L'Inde a Paris, Le masque japonais e Le Sphinx
parisien, gli storici dell'avvenire domanderanno
parecchi particolari di vita intima e forse anche la
spiegazione di alcuni problemi psicologici di un'epoca,
insieme fastosa e torbida, la quale, mentre sembrava
l'affermazione magnifica della supremazia mondiale di un
popolo, gli preparava invece un’era oltremodo tragica di
sconfitte e di rivolte.
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