|
(Fonte : Fiorentina Primaverile - 1922)
|
|
Evaristo Boncinelli
|
|
Evaristo
Boncinelli è nato nel 1883 a Santa Maria a Mantignano, in
riva all'Arno. La sua è una storia di lotte e di dolori. Il
Boncinelli aveva l'anima inquieta e ansiosa dell'artista e
gli toccava fare l'alabastrino. Forse un'altra circostanza
congiurava a suo danno: era un semplice, un timido, un
modesto.
Espone una prima volta alla Mostra di Brera «Il ritratto
del fratello»; il suo lavoro non suscita nessuna eco,
cade nel vuoto, ed egli prova il primo morso della delusione
e dello scoramento. Ma ha la tenacia dell'artista, la fede
che gli nasce dal sentirsi agitare nell'anima qualcosa che
egli non può placare se non esprimendola.
Rinunzia anche a quel minimo di agiatezze che ogni uomo può
conquistarsi: lavora ancora alla propria arte che pure gli
rende più amarezze che gioie; studia; ammira le opere dei
grandi - degli antichi e dei moderni - e cerca di
approfondirne lo spirito; si tormenta; di nuovo spera; crede
di aver trovato. . . .
Gli arride qualche successo: espone nel 1914 alla
«Promotrice Invernale di Firenze», poi nel 1919 alla «Mostra
del Soldato». Ma siamo ormai in piena guerra europea, l'
«alabastrino» è senza lavoro e la miseria incalza più da
presso. Chiamato sotto le armi, lo prende uno sgomento un
terrore di essere succhiato e di scomparire nel gorgo
tempestoso che sconvolge il mondo. Non teme già sé stesso,
certo, che la sua vita è ormai grama e senza gioia, ma di
quella sua bambinella - la sua arte - ancora troppo gracile
e stenta per vivere senza di lui e che egli vorrebbe nutrire
ancora col suo tormento, con la sua illusione, col suo
sangue magari. Ecco il segreto turbamento della sua anima La
scultura di Evaristo Boncinelli è la più fedele immagine del
suo dramma. E' come una terra vulcanica sconvolta dallo
spasimo del fuoco che senza una via d'uscita, ne tormenta le
viscere, è l'emblema di uno spirito forse incompleto come
quelli che si dice vaghino nello spazio disperati di non
potersi incarnare; ma il cui martirio sprigiona la luce di
una bellezza atroce - di una bellezza brutta, vorrei dire.
L'Idiota e La Cieca, creature doloranti e
dannate nei più bassi gironi dell'inferno sociale e tuttavia
non abbastanza brute per essere guardate con indifferenza,
sono figlie carnali e spirituali dell'artista: egli se l'è
strappate dall'anima come brandelli informi e sanguinanti.
La forma qui ha quella balbuziente eloquenza - se si può
dire - degli innamorati troppo ardenti e troppo ingenui; e
tuttavia è efficacissima, nel suo grezzo e impressionante
realismo: efficace come quella di certe sculture barbariche,
opera anch'esse di spiriti primitivi, non soccorsi dai
benefici di ciò che si chiama la cultura. Vi è a Pistoia,
infissa nella facciata della Cattedrale, una testa
decapitata alla cui terribile evidenza non la cede quella de
l'Idiota modellato dal Boncinelli.
M. T.
|
|
Opere esposte : |
.
|
1. Testa di vecchio (marmo)
2. L'idiota (gesso)
3. La cieca (gesso)
4. Ritratto del suocero
|
|
|
|
|
|
|
|
|