Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Fiorentina Primaverile - 1922)

Antonio Mancini


Nato a Roma il 14 Novembre 1852, trova, ancora ragazzo, la sua ispirazione di pittore in un circo equestre. Passa a Narni i primi dodici anni della sua vita, senza maestri e senza esempi. Sente la pittura alla prima visione di colore e di movimento che a lui s'affaccia nel circo degli zingari. Lo mandano a Napoli a studiare. A Napoli vi era Morelli, dominatore per quella sua franchezza semplice, per quella sua tranquilla e piacevole abilità di composizione. Mancini vi apprese la serenità e vi rafforzò la fede. L' ambiente allora era vibrante, impetuoso, operoso. Nove anni trascorrono. Siamo nel 1873. La grande eruzione del Vesuvio oscura il sole per lunghi giorni, getta intorno terrore e dolore.

Non può resistere a quel tormento fisico e morale il pittore della luce piena. E va a Parigi. Già aveva prodotto a Napoli opere di meravigliosa bellezza. Il pittore e l'artista si erano in lui affermati con una impressionante potenza. A Parigi portava la sua personalità; altri sosteneva un metodo, e carezzava una moda, o sfoggiava un soggetto. Egli si piazzava con la sua arte. Individualista senza sforzo e senza discussione, insegnava a tutti come si può dominare la vita senza violenza. La legge giusta anche nel dominio della bellezza è una forza immancabile di vittoria. Un grande negoziante, Goupil, gli compra i quadri, ed egli lavora in libertà senza ritegno e senza falsità.

Poi viene il pittore Mesdag, quasi il solo che senza interesse portò al Mancini l'occorrente per vivere in agiatezza e produrre in libertà. Se pensate che allora (sono passati quasi 40 anni) il pittore amico giunse a dare al Mancini fino a 2000 lire al mese, voi potete valutare il signorile disinteresse di Mesdag. Né di tutta l'opera da lui raccolta, fu venduto pezzo. Ne fece una sala che donò al museo dell'Aja.

Riassumo la cronistoria per mettere in rilievo i fatti. Lasciato Mesdag, Mancini va in Inghilterra con Lane, direttore del museo di Dublino. Giungeva in Inghilterra con la fama di Parigi e con la presentazione entusiastica di un pittore caro alla grande aristocrazia inglese: Sargent. In Inghilterra Mancini lavora col più grande successo. E' l'ultimo periodo della sua meravigliosa arte sincera e sentita. Il pittore non si smentirà mai, ma l'artista si vedrà preclusa la via dal gusto degli altri, dai committenti.

E bisogna aggiungere - attraverso la fastosità di Messinger e la signorilità di Du Chene - al trionfo di Venezia per ritrovarlo magnifico nella sua piena libertà.

Mancini è tanto più grande perchè non esce dai limiti della tradizione. Il fenomeno della sua pittura è fenomeno di dimensione, di lirismo, di equilibrio. Non mai forse s'è veduta cosi chiara visione della verità, espressa con tanta commossa e vibrante potenza coloristica. Grandi dipintori d'ogni tempo son partiti da un insegnamento, si sono sviluppati non perdendo mai più nella espressione pittorica i vincoli della tecnica e della emozione d'inizio. Mancini ha saputo spogliarsi completamente d'ogni ricordo: perchè ha voluto escludere dalla sua pittura ogni vanità di coltura, ogni rigidità di metodo, ogni preoccupazione di estetica. E sarebbe stato un barbaro se non avesse trovato nella luce e nella vita della sua terra la bellezza dell'armonia che ha dato alla sua libertà prodigiosa il senso della misura.

A volte questo suo istinto stagnante di primitivo (non parlo di primitivismo estetico-religioso) furoreggia nel barbaglio dei colori che si ammassano, si addensano, danno rilievi e movimenta ai piani; a volte questo suo istinto tumultuoso di passione resta sotto cortine mal definite come il fuoco d'un vulcano; a volte si abbandona ad accenni nervosi di temi; ma sono queste manifestazioni della sua tortura d'ordine comune, che rode il suo desiderio, che impone alla sua attività l'obbedienza o la dipendenza.

Non ha parentele vicine o lontane: dicono che ripeta il Velasquez, e non intendono che la sua povertà di soggetti ha tanta più ricchezza delle opere del pittore spagnolo, e non vedono che, là dove Velasquez ferma nella linea decorativa la vivacità e la bellezza del suo colore, il Mancini rinunzia ad ogni lenocinio formale per riportare sulla tela i tumulti dell'anima.

(Da un profilo di Guido Guida).

Opere esposte :
  Dipinti a olio

1. Il modello
2. Ritratto di Guido Guida
3. Offerta
4. Autoritratto
5. La finestra