Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Fiorentina Primaverile - 1922)

Telemaco Signorini


Nacque in Firenze il 18 Agosto 1835 da Giovanni Signorini, pittore del Granduca di Toscana, e da Giustina Santori. Appena ventenne andò a dipingere calli e canali a Venezia insieme a Vito d'Ancona e a Federico Maldarelli, e quando ritornò a Firenze, tutto abbacinato dai colori vivi e puri dei quali s'era deliziato, la così detta Promotrice rifiutò i suoi lavori perchè gli occhi degli accademici, abituati al bitume sporco e ai cieli biaccosi, rimasero offesi dalla vivacità del chiaroscuro. Vagabondò, d'allora in poi, senza preoccuparsi di scuole o di mode; però, per quanto ribelle, solitario e innamorato della luce, non trascurò mai il disegno nè la prospettiva e seppe essere audace senza diventare ridicolo, una cosa questa che oggi non usa più!

Sono una prova dell'amore di Telemaco Signorini alla forma, ai volumi e agli effetti prospettici, i disegni a penna e a matita delle sue «bigherinaie» dei suoi tipi strani o deformi, e le grandi distese di terra sulle rive del mare vedute dall'alto e circonfuse di aria trasparentissima, dov'è un tale senso delle distanze da darci l'idea veramente d'affacciarci ad un balcone in cima a una montagna.

Il Signorini giunse alla «macchia» passando per tutte le stazioni della dura via-crucis del «provando e riprovando» e prima d'arrivare alla gioia intensa della pennellata autorevole posata con sicurezza sulla tela, conobbe il tormento interiore della disciplina e della ricerca. Terminata la campagna del 59, che egli fece in qualità d'artigliere, si stancò dei soggetti militari e andò a Parigi con Cristiano Banti e con Cencio Gabianca e, al ritorno, si fermò in Liguria che lo attirava colle sue esplosioni di colori purissimi, ardenti.

Psicologo sottile, amò ugualmente le cose, le bestie e le persone, purché avessero una loro fisonomia speciale. Lo interessarono la storia d'un uscio vecchio tinto e ritinto, la civettuola pompa delle persiane e delle facciate delle case dipinte a colori sfacciati, la rassegnata pazienza d'un ciuco fuori d'uso e le stimmate ataviche sui volti della povera gente brutta o deficiente o sui corpi deformati dalle malattie del lavoro. Benché trapeli, dalla sua arte, una innata aristocrazia, non fu mai chic. Acre nella polemica, odiatore della volgarità e del cattivo gusto, ipersensibile eppure equilibrato, fu assolutista nei giudizi, rudi e sinceri come il tocco del suo pennello; e nel 67 fondò con Diego Martelli «Il gazzettino delle arti del disegno» che visse un anno, interessante raccolta di documenti sul movimento pittorico dell'epoca; poi si ridusse in Siena dove ritrasse strade e piazze medievali e incise all'acquaforte, genere in cui diventò in breve maestro. A tal proposito, tralasciando le troppo note acqueforti del Ghetto fiorentino, il più bel pezzo di colore del mondo distrutto all'ammirazione dell'Italia e dei forestieri da una cecità incomprensibile, ricorderemo le bellissime incisioni eseguite per due libri di Diego Martelli, uno di «novelle» l'altro intitolato modestamente «Primi passi» col sottotitolo di «fisime letterarie».

Irrequieto, sempre in cerca di novità, antiaccademico per istinto, affermava che i suoi quadri dovevano, prima di tutto, piacere a lui. Intanto cominciava a farsi notare: nel Novembre del 1870 alla Promotrice Fiorentina fu premiato un suo quadro, ma già l'instabile artista, sempre in cerca di nuovi motivi, s'accingeva a mutar aria. E andò in Inghilterra, fermandosi prima a Parigi col de Nittis, dove fu subito compreso ed ebbe commissioni dal famoso Goupil; per eseguire le quali dimorò alcun tempo nelle campagne tra la Senna e la Marna.

Nel 76 tornò a Vinci, il bizzarro castello nell'Empolese, patria di Leonardo, dei cui aspetti aveva già esposti alcuni studi a Milano nel 72, e colà fece nuovi schizzi saporiti e densi di colorito; nulla era prosa per lui, dal vero sapeva trarre in ogni circostanza, motivo d'armonia. Un affiche rosso e turchino sopra la facciata d'una casa Scozzese, il cartello d'una bottega toscana, un baroccio, i finimenti d'un cavallo, assumevano per questo religioso del vero la stessa importanza d'un albero, d'un bosco, d'un panorama, di una folla; e in tutto conservava il senso dell'ora. Vedete quell'alba all'isola d'Elba, dove si sente, se così può dirsi, il primo sole che accende una casa nuova bizzarramente decorata di celeste: una donnetta fa bere il ciuco alla fonte; nel cielo, sopra i monti dorati dall'aurora, impallidisce languidamente nell'azzurro la luna.

Contro il falso, contro il quadro di genere, contro l'incompetenza borghese e scolastica, dettò, in sonetti, «Le 99 discussioni artistiche di Enrico Gasi-Molteni»; caricature in versi semplici e arguti, accompagnate da disegni bizzarri.

Nel 78 tornò a Parigi per visitarvi quella mostra internazionale, ma non si sciupò lo stomaco e il cervello colle pazzie; rimase lui, toscanissimo, e dopo poco gli olivi di Settignano, delle cui molteplici tinte vaporose conosceva tutti i segreti, lo rividero dipingere quietamente in compagnia d'un giovinotto, scoperto da lui, Ruggero Focardi. Un fulmine a ciel sereno gli fu la nomina a professore dell'Accademia di San Matteo! Dalla paura di guastarsi, rifiutò e scappò a sognare e a pitturare, fermandosi prima sul Monte Amiata. Dipinse, allora, soggetti che altri non s'erano mai sognati neppure, s'arrampicò per le erte viuzze di Pian Castagnaio, visitò l'isole dell'arcipelago e il penitenziario di Portoferraio, i paesi reconditi dell'Elba, e poi le cime solenni di Pietramala dove sugli smeraldi dei pascoli veleggiano le nuvole gonfie e bianche, riposò lungo la spiaggia ligure, suscitando armonie di rossi di gialli e di blu da quelli sfarzosi giardini, ma contenne sempre la sua forza di colore in una linea di misura e d'arte; non strafece, non gridò, perchè l'innato buon gusto lo persuadeva a distinguere il canto armonioso dagli urli roboanti.

Da giovine aveva imparato a rispettare la divina proporzione e ne è una prova il quadretto della collezione del fratello Paolo, raffigurante un gruppo di fanciulli abbracciati in faccia al mare in una luce calda d'occaso dorato. Da cotesto senso geometrico degli aggruppamenti derivò forse il suo modo mirabile di tagliare il quadro. Nel «Mercato del Ghetto» v'è una figura d'uomo appoggiato al muro, veramente statuaria, che da sola «fa quadro» mentre dei corbelli di pesche dimostrano come avesse il senso dei volumi, e uno sporto di bottega verde smeraldo, illuminato dal sole, quello dei rapporti armonici fra le tinte.

I soggetti veri e proprii furono sempre non comuni; dipinse il levarsi delle cortigiane d'infimo ordine in Toilette del mattino, l'abbrutimento dei forzati nella fosca luce della galera in visita al bagno e l'oscuro abisso della follia nella tela Le agitate acquistato dalla Galleria d'arte internazionale di Venezia, ahimè dopo la sua morte.

Scorbellato, ma buono, fu stretto d'amicizia coi maggiori dell'epoca sua e incoraggiò i giovani di vero talento come erano, allora, il Ferroni, il Tommasi, il Cantinotti, il Balestrieri, il Selvatico, il Ciardi, il Nomellini. Nel 1893 scrisse, con arguzia tutta toscana, il divertente libro «Caricaturati e caricaturisti al Caffè Michelangelo» che è la più autentica e genuina storia dei «macchiaioli» che possediamo, e nel 1895 un libretto di ricordi su Riomaggiore pubblicati da suo fratello, post mortem. L'arteriosclerosi lo spense a sessantacinque anni il 10 febbraio del 1901.

Telemaco Signorini può essere annoveralo con Silvestro Lega e col gran Giovanni Fattori, tra i pittori più significativi del secolo decimonono. La sua visione dal vero era sincera, senza ostentazione; gli acrobatismi d'oltralpe non gli s'attaccarono, come non gli s'attaccò la mania del commercio e dello chic, perchè egli era, sopra tutto, un disinteressato. Vedeva il buono, e lasciava il cattivo, senza calcoli! Il suo toecoo fu rude e sicuro, amoroso fino all'estasi nelle piccole cose, fluido e libero, nelle tele di gran formato. I sobborghi popolosi di Ravenna o della Spezia, di Riomaggiore o dell'Elba, le vie formicolanti o silenziose di Edimburgo e di Firenze, le quiete straducce incassate tra i muri, i vicoli deserti, le solitudini alpestri o marittime, tutto egli abbelliva, circonfonde lido di luce, d'aria... E al di sopra del suo valore pittorico, l'arte di lui rimane eterna per il soffio di poesia che la domina e che nessuna accademia o scuola potrà mai riuscire a insegnare. La poesia che portano dentro di sé certi vagabondi sublimi.

Ferdinando Paolieri.  

Opere esposte :
 
Mostra individuale composta con le collezioni più importanti. Prima di tutte quella del fratello Paolo che riunisce tutte quelle opere che erano nello studio del maestro; e poi, la raccolta Checcucci, Colò, Galli, Barbera, Boncinelli, ecc.

Nella sala trovasi un elenco a parte.