Leonardo Bistolfi   (Pagine 18 )      Fonte : Ritratti d'Artisti Italiani - 1911

{\rtf1\ansi\ansicpg1252\deff0\deflang1040{\fonttbl{\f0\fnil\fcharset0 Times New Roman;}{\f1\fnil Times New Roman;}{\f2\fnil\fcharset238{\*\fname Times New Roman;}Times New Roman CE;}{\f3\fnil\fcharset0 Arial;}} \viewkind4\uc1\pard\sb2268\sa1134\sl240\slmult1\qc\lang16\f0\fs28 Leonardo Bistolfi. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj Un uomo piccolo e bruno, curvo e scarno come un asceta, chiamato da tutti lo scultore del dolore e il poeta della morte, \'e8 seduto davanti a me nel suo studio, una gamba sull'altra, e mi dice: \par \f1 -\f0 La vita vale che la si viva. \'c8 tanto bella che bisogna meditarla per goderla tutta: e solo questa nostra meditazione pu\'f2, da chi passa e non si ferma a capire, essere presa per tristezza e per dolore. L'epoca nostra \'e8 tutta meravigliosa. Tutti, popolo, nobili, re, ricchi, poveri, hanno oggi un immenso bisogno d'arte, e tanto maggior bisogno ne hanno quanto maggiore energia questa nostra societ\'e0 \'abindustriale\'bb \'e8 costretta a consumare nel suo impeto e nel suo lavoro. La Grecia dei libri di scuola \'e8 falsa. Nemmeno le democrazie greche hanno sentito il bisogno d'arte che sente oggi il nostro pubblico. Fidia ha fatto il pubblico, allora; non il pubblico, Fidia. Adesso qualcosa di fatale e di profondo e d'infrenabile ci spinge avanti, tutti. Basta guardare l'arte, il pubblico e il gusto di vent'anni fa, solo di vent'anni fa! Non \'e8 meravigliosa quest'ascensione improvvisa ed universale? Io credo che di rado, forse mai, nella storia del pensiero umano e dell'arte si sia veduto un miracolo come questo. Oggi chi nega pi\'f9 all'arte una funzione sociale? Chi osa pi\'f9 limitarne la libert\'e0 e la spontaneit\'e0? Farla schiava di qualche propaganda politica e morale? L'arte per s\'e8, in quanto \'e8 arte, l'artista da s\'e8, in quanto \'e8 artista, hanno ormai il diritto d'esistere e d'operare pel conforto e per la gioia di tutti, liberissimamente. \par Io taccio ch\'e8 non oso contraddirlo. Son venuto per ascoltare non per discutere. E poi, chi parla con quest'ardore \'e8 un uomo troppo convinto che la sua visione del mondo sia quella vera, e, in mezzo al suo vario continuo magnifico lavoro, troppo felice d'essere convinto perch\'e8 qualunque discussione abbia una lontana probabilit\'e0 di fargli mutare opinione, di far sorgere pur una nuvoletta in quel suo cielo azzurro d'ottimismo. \par Mentre parla cos\'ec, s'alliscia continuamente la barba bruna folta e ruvida, e con la sinistra stringe e piega e strizza un fez rosso. Questo fez rosso in tanti anni dacch\'e8 torno in questa stanza e mi risiedo su questa poltrona, non gliel'ho mai veduto in capo. Egli se ne serve, come del rosario d'ambra gli arabi, per occupare le mani nervose: niente altro. E queste mani sono larghe, ossute, nocche muscoli e tendini in rilievo, d'una forza tanto visibile e pronta che, a fissarle, pare non possano appartenere a quell'esile corpo. Solo gli occhi vi corrispondono: due grandi occhi lucidi e bruni, dalla sclerotica un po' azzurra, che v'impongono la fede e l'energia, e, solo quando la bocca ride e s'aprono le due fonde pieghe tra le narici e le labbra, diventano tristi assorti opachi. In questo contrasto si rivela la natura di quest'uomo: la sua gioia \'e8 tutta interna, fatta di meditazione e di lavoro, e per comunicar s\'e8 stessa non sa trovare le solite vie del riso sonoro e dell'esclamazione burlesca, ma tenta opere durevoli e capaci di confortare oggi e domani e sempre chi le guarda a cuore aperto. \par Sulle pareti bianche della stanza, ritratti d'amici, fotografie di sculture e \'abtavolette\'bb di paese, di quelle luminose e ariose tavolette tutte della stessa misura come tanti sonetti, che sembrano d'un Fontanesi pi\'f9 limpido. Le pi\'f9 antiche, il Bistolfi le ha dipinte d'autunno a Morozzo presso Mondov\'ec, accanto al buon Delleani e al poeta Camerana che disegnava anch'egli con sentimento e con maestria e il cui spirito tragico e romantico \'e8 stato per tanti anni fraterno a quello del Bistolfi; le pi\'f9 recenti in Riviera, e anche a Racconigi accanto al Re. \par Esse sole sembrano qui l'opera proporzionata al gracile corpo dell'artista. Ma come pu\'f2 egli aver avuto la forza muscolare di creare tutta la folla delle sculture monumentali che solenni o pietose, austere o graziose, gli si ergono attorno, in questa stanza, e nello studio vicino, e fuori nella corte, e sotto la tettoia degli sbozzatori, e pi\'f9 lontano anc\'f3ra in altre stanze e in altri stud\'ee degli edifici vicini, e anche fuori di Torino oltre Moncalieri, alla Loggia, dove in un grande studio tra il verde giganteggia il gruppo del \i Sacrificio\i0 pel monumento romano a re Vittorio Emanuele e comincia a prender forma, fuor dal primo sogno nervoso, il monumento a Giosu\'e8 Carducci per Bologna? E il Bistolfi \'e8 nato nel 1859, e questa folla \'e8 quasi tutta nata ieri.... \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj Ecco da un lato il gesso del monumento genovese a Hermann Bauer, il giovanissimo morto giacente nel lenzuolo funebre, le spalle appoggiate a tre angeli genuflessi, due dei quali tendono davanti a lui le braccia nude e insertano le mani come a proteggerlo contro l'oblio; e dall'altro il gesso del monumento milanese alla giovane Lacroix, anch'ella tra due angeli, il capo affondato in un cumulo di rose; e l'eretta figura del \i Sogno\i0 che si sveglia e si svolge su da una nube di veli e di fiori; e sopra un cavalletto il primo bozzetto pel \i Sacrificio\i0 che sembra una Deposizione dalla Croce senza la croce; e sopra un altro cavalletto, il busto di Giuseppe Giacosa, pel teatro Manzoni di Milano, sulle valide spalle il volto piegato verso destra, i buoni occhi intenti sotto le sopracciglia folte, la bocca schiusa a parlare. E di l\'e0, nello studio pi\'f9 vasto, il gesso della \i Croce\i0 del monumento Orsini dove sotto il simbolo della Giustizia si rifugiano il Lavoro, il Pensiero, la Maternit\'e0, l'Amore in una composizione tanto salda, con un chiaroscuro tanto equilibrato e con un'evidenza tanto vigorosa che, quando apparve, chi temeva di veder il Bistolfi perdersi nelle gentilezze d'un'arte decorativa e floreale o nelle nebbie d'una poesia delicata e minuta, si ricredette per sempre; e l'\i Arte\i0 nuda e pensosa di Giovanni Segantini che doveva sorgere all'aperto su dal verde cimitero del Maloja e che \'e8 stata imprigionata e soffocata lass\'f9 in una specie di tana chiamata museo; e il monumento di Borgo San Dalmazzo al Grandis, l'ingegnere del traforo del Fr\'e9jus, deposto ancor giovane nella bassa nicchia oscura, e accanto a lui nella luce la sorridente figura della \i Vita\i0 le mani cariche di fiori; e lo scarno pensoso busto del Pascolato per Venezia; e il colossale rilievo per la lunetta del nuovo teatro di Messico dove intorno alla figura nuda e voluttuosa dell'\i Armonia\i0 s'affollano sotto un volo di putti le allegorie delle Passioni suscitate dall'Armonia, e l'invenzione e la modellazione sono cos\'ec fresche che si pensa ai pi\'f9 fastosi e gustosi scultori decorativi del nostro settecento, dal Cafieri al Serpotta; e il bozzetto del monumento Giorello per Montevideo, originale e virile quanto quello del \i Sacrificio\i0 , una grande bara col morto su, lievemente inclinata e alzata a braccia da pi\'f9 di venti figure di donne e di uomini, gli operai del Giorello che fu laggi\'f9 un attivo e fortunato industriale e dall'Italia torn\'f2 morto oltre oceano e dai suoi fu portato cos\'ec, a braccia, dalla nave al cimitero. E non basta: dietro i vetri degli ampi finestroni appaiono le sommit\'e0 di altri monumenti, allineati all'aperto, tra la casa e il cancello, dalla \i Sfinge\i0 di venti anni fa al sereno \i Garibaldi\i0 alzato tre anni fa a San Remo in faccia al mare, alla \i Fede\i0 che \'e8 sorta l'altr'anno in riva al lago di Garda, nuda, appoggiata a uno scoglio sul quale \'e8 inserito il medaglione dello Zanardelli, volta a guardare con amore e tristezza la riva che non \'e8 italiana. \par \f1 -\f0 Come lavoro? Come invento? \'c8 difficile dirlo. Quando devo cominciare un'opera, sento quel che ho dentro di me, ma non lo so. Pi\'f9 che un'ispirazione, ho un desiderio. Con la matita o col carbone non potrei cercare di definirlo; ci riesco qualche volta, di rado, per un bassorilievo o una medaglia. Ma per una statua, per un gruppo, per un monumento ho bisogno della creta, del bel monte di creta sul mio trespolo. Non ho mai avuto un'idea separata dalla forma. In pittura non ho idee: guardo il vero, lo rendo, lo interpreto, ma per fare un quadro ho sempre bisogno del vero. In scultura, no. Le mie mani cercano, frugano in quella creta morbida e duttile: il pensiero del fondo, architettura o paese, mi guida: e d'un tratto, nelle masse di luce e d'ombra suscitate dalle mie dita, intravvedo la m\'e8ta, l'opera mia. E allora ho la febbre, e lavoro giorno e notte, finch\'e8 l'ho definita.... \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj E l'uomo piccolo, scarno e curvo come un asceta, conclude la sua confessione ripetendo con impeto: \par \f1 -\f0 No, no, d\'e0 retta a me. Quando si pu\'f2 lavorare, la vita vale che la si viva! \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj Un altro giorno si parlava dello Stile, e si discuteva anc\'f3ra una volta se uno stile possa essere creato a giorno fisso, come s'\'e8 creduto in Italia e in Germania, col deliberato d'un congresso d'artisti, con la propaganda d'un'esposizione d'arte decorativa, con la faticata stramberia d'un architetto che trasporti in un paese motivi ornamentali ed elementi costruttivi esotici e li combini a capriccio e stimi novit\'e0 meravigliosa l'illogicit\'e0 presuntuosa. E Leonardo Bistolfi afferm\'f2: \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\f1 -\f0 Uno stile nostro? Uno stile nuovo? S\'ec, \'e8 inutile proporselo. Ma esso esiste, esso \'e8 in noi, e sorger\'e0 da noi, dalla nostra libert\'e0 e dalla nostra sincerit\'e0, e i posteri s'avvedranno che noi avevamo uno stile nostro anche se non ce ne accorgiamo noi: uno stile nostro nello scolpire, nel costruire, nel decorare. Lo stile \'e8 opera d'istinto, non di logica; fatale, non voluta. Guarda: mio padre Giovanni era a Casal Monferrato uno scultore in legno, un decoratore modesto ma tanto assetato d'arte che, quando io nacqui, mi chiam\'f2 Leonardo per augurio a s\'e8 ed a me. Mia madre gi\'e0 spaurita dalla lotta che per la sua arte mio padre sosteneva, e da quel mortale contrasto tra la dura realt\'e0 e i sogni di lui, non voleva: quel nome le sembrava un'oscura minaccia non un augurio. E mio padre non mi lasci\'f2 altro che quel terribile nome: mor\'ec a ventisei anni quando avevo diciotto mesi. Dell'arte sua, a casa non rest\'f2 nulla. Ebbene, venticinque anni dopo quando avevo gi\'e0, se non le mie qualit\'e0, tutti i miei difetti o quelli che sono stati chiamati i miei difetti, volli andare da Casale a Sannazzaro a vedere in una villa uno studio in stile rococ\'f2 tutto scolpito in legno da mio padre. Sul bel tono oscuro della quercia, le masse dei fiori eleganti e sinuosi erano distribuite con un chiaroscuro tanto sicuro e con una volont\'e0 d'espressione pittorica tanto nuova che tutti quei miei \'abdifetti\'bb e quelle mie qualit\'e0 vi apparivano chiari e precisi come se io stesso, pur piegandomi a quel vieto stile francese, le avessi scolpite. L'eredit\'e0? L'epoca? Certo, la volont\'e0 in quella somiglianza non v'entrava per nulla. Procedendo liberamente e sinceramente, mio padre ed io, a distanza d'un quarto di secolo, ci eravamo incontrati nella stessa ispirazione e nella stessa visione. \par E cos\'ec dallo stile venimmo a parlare dell'uomo. \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj Leonardo Bistolfi a quattro anni sulle pareti di casa disegnava col carbone soldati e soldati, ma in fila bene allineati con una prospettiva digradante che mandava in estasi suo zio Evasio, anch'egli pittore. La madre, per dargli da vivere, faceva la maestra comunale, aveva accettato anche d'andare fuori d'Italia per guadagnare un po' di pi\'f9 che a Casale. Dal carbone il piccolo Leonardo pass\'f2 presto al chiodo e al graffito: e quel segno profondo che contorna le figure dei suoi bassorilievi, da quelli della cappella Hirschel de Minerbi a Belgirate a quelli del \i Dolore confortato dalle memorie\i0 , e ne chiude con un solco d'ombra le masse, \'e8 rimasto poi, contro tutte le buone regole d'accademia, un suo carattere tipico. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj In Accademia entr\'f2 a sedici anni, a Milano, perch\'e8 il comune di Casale gli concesse una borsa di studio \f1 -\f0 una borsa, egli dice, proporzionata alla mia statura e alla mia salute. Era gracile allora e il suo volto appariva pi\'f9 diafano, arso dal fuoco di quei grandi occhi, dentro quella barba nera, sotto quel casco nero di capelli duri. \f1 -\f0 \i El\i0 \i campa minga! Peccaa ch'el m\f2\u339?ura!\i0 \f1 -\f0 dicevano di lui i compagni che gli volevano bene. Anc\'f3ra oggi, se egli torna a Brera, qualche vecchio bidello a rivederlo alza le braccia al cielo ed esclama al miracolo: \f1 -\f0 Ma guarda il signor Bistolfi! \par Dopo tre anni, dal corso di Disegno pass\'f2 alla scuola di Scultura dove insegnava l'Argenti. Era rassegnato allora, e umile. Lavorava pi\'f9 che poteva e meglio che poteva per conservarsi la pensione di Casale. Di artisti ne vedeva pochi, quelli che mangiavano con lui all'osteria del Coppa in fondo a Ponte Vetero dove i pranzi eran di due specie, uno pei poveri a 73 centesimi, e uno da 81 centesimo pei ricchi: e quelli artisti erano quasi tutti maggiori di lui e quasi tutti pittori, il Tallone, il Previati, il Bezzi, il Mentessi, il Filippini, Leonardo Bazzaro. Figlio d'uno scultore decoratore, educato dalla madre amorosissima e gelosa in una casa senza uomini, vissuto nei primi anni di studio solo con pittori: questi fatti basterebbero a definire molti aspetti della prima arte del Bistolfi, decorativa, sentimentale e pittoresca. \par Nel primo anno di Scultura modell\'f2 la statua d'una giovanetta greca che s'affaccia paurosa sopra uno scoglio a picco e guarda il mare: \i Sulla rupe di Saffo\i0 . La sua fantasia cominciava a metter l'ali. A Milano Giuseppe Grandi, l'unico scultore che il Bistolfi sentiva di poter amare, non accettava scolari; ed egli and\'f2 a Torino con la speranza di fare un monumento per la famiglia Braida che allora aveva perduto una bambina e col proposito d'iscriversi all'Albertina nella scuola del milanese Tabacchi. Ma alla fine della cos\'ec detta prova settimanale, il Tabacchi gli diceva con lealt\'e0: \f1 -\f0 \i Ch'el senta: a l\'f9 ghe conven minga st\'e0 ch\'ec. Se l\'f9 el sta ch\'ec, el se rovina\i0 , \f1 -\f0 e il giovane scultore che non aveva anc\'f3ra ventun anno, audacemente \'abapriva studio\'bb dentro una botteguccia di via Bava in Vanchiglia e si metteva al monumento Braida il cui concetto era gi\'e0 degno dell'avvenire, \f1 -\f0 un grande angelo diritto, con le ali aperte a difesa d'una culla vuota, \f1 -\f0 l'\i Angelo dell'oblio. \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj\i0 Di quelli anni egli stesso racconta: \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\f1 --\f0 Allora si annunciava con solennit\'e0 che la scultura era morta. Veristi da una parte, esagerati e truculenti pi\'f9 dei romantici, romantici dall'altra, fantastici e deliranti. Grandi ingegni tutti, per\'f2, e tutti fanatici che a colpi di granata ci mondavano l'intelligenza dalla muffa dei dogmi accademici. Coi miei tre classici, Dante, Leopardi e Carlo Porta, da Milano a Torino trasportai nel mio bauletto Praga, Boito e Stecchetti: tutta la mia biblioteca. Non era grande per uno scultore che poi doveva essere accusato di far della letteratura.... E ad ogni pausa del mio lavoro, o leggevo quelli o prendevo il mio violino, e partivo di volo pei cieli dell'ideale a rifornirmi di speranza e d'energia. Io volevo che la scultura rappresentasse \i noi\i0 , esprimesse con intensit\'e0 non solo la nostra forma fugace ma quel che \'e8 di durevole in noi, le nostre emozioni e le nostre passioni, la nostra \'abragion di poesia\'bb. E allora, mentre venivo esercitando le mie facolt\'e0 d'osservazione all'aria aperta nei piccoli gruppi delle \i Lavandaie\i0 , della \i Pioggia\i0 e del \i Terzetto\i0 , nel 1883 modellai il gruppo degli \i Amanti\i0 . \par Appoggiato a una parete, in un angolo dello studio, nascosto dai gessi d'altre statue, dal palco col materasso per la modella, da scale e da scalei, da sacchi di gesso in polvere, da tavole cariche di lampade elettriche, di lime, di raspe e di quelle piccole asce con cui il Bistolfi lavora, com'\'e8 suo costume, il gesso delle figure abbozzate, ritroviamo grigio di polvere il gruppo degli \i Amanti.\i0 La donna giace supina le spalle un po' rialzate a sorreggere la testa di lui affondata nel suo petto. Il gesto di lei \'e8 d'amore e di protezione, il volto appassionato, stanco, velato di mestizia, il volto della Duse giovane; ma sotto le vesti fuori di moda, tra pieghe e particolari triti, la fermezza del modellare e l'espressione appassionata sono ammirevoli anche oggi. Il professore Argenti, quando vide gli \i Amanti\i0 , disse al Bistolfi: \f1 -\f0 \i Gh'\'e8 denter del sentiment, ma m\'ec t'hoo minga insegnaa a modell\'e0 in sta manera ch\'ec! \par \i0 Leonardo Bistolfi non si scompose e gli sorrise con affetto. Egli ormai s'era creato il suo mondo dentro di s\'e8: e ne aveva escluso per sempre i professori Argenti.... \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj E da quel suo mondo interno, fervido e appassionato, egli ormai traeva espressioni e allegorie, nuove e libere finalmente dai logori simboli della mitologia pagana e della mitologia cristiana da tanti secoli fuse e confuse nella statuaria tradizionale delle chiese e dei cimiteri cattolici. Gli scultori italiani prima di lui adoperavano anc\'f3ra per esprimere la morte uno scheletro o un angelo tremendo, per rappresentare l'Amore Cupido con la faretra, per la bellezza Venere e il pavone, per l'abbondanza Pomona e la cornucopia, per la maternit\'e0 la Madonna con Ges\'f9 bambino, per l'agricoltura Cerere incoronata di spighe, pel dolore Cristo crocifisso.... I pi\'f9 sottili qualche volta arrivavano al rebus, come Giulio Monteverde quando per Catania nel 1880 pens\'f2 di porre la statua del Bellini su sette gradini e d'incidere su ciascun gradino una nota musicale. I pi\'f9 audaci si contentavano di travestire le bestie; e la storia, ad esempio, del leone nella scultura italiana del secolo scorso, dai due leoni del Canova nel mausoleo di Papa Bezzonico in San Pietro di Roma a quelli del Ferrari sul monumento veneziano a Vittorio Emanuele e dello Ximenes sul monumento milanese a Garibaldi, sarebbe educativa e piacevole quanto le \i Metamorfosi\i0 di Granville. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj Su questo sonno, su questo monotono ripetersi di allegorie fisse ormai come geroglifici, \'e8 sorta la fantasia inesauribile di Leonardo Bistolfi. Egli ha bandito dalla sua simbologia le idee generali e le frasi retoriche belle e fatte. Egli ha rivissuto con intensa emozione ogni tema e s'\'e8 proposto di rendere chiaramente in marmo e bronzo questa emozione. Se ogni opera d'arte \'e8 un atto di sintesi, questa sintesi \f1 -\f0 egli s'\'e8 detto \f1 -\f0 deve essere atto di forza e d'originalit\'e0, non di debolezza e d'obbedienza e di plagio. La morte, per lui moderno, non \'e8 che una forma della vita: ed ecco il monumento al Grandis. Dalla morte esce la primavera: ed ecco prima la \i Sfinge\i0 , poi il \i Sogno\i0 , su dai fiori. I mostri morti vivono in noi: ed ecco il \i Dolore confortato dalle Memorie\i0 . La vera morte \'e8 l'oblio: ed ecco la \i Resurrezione\i0 del monumento Bauer. Ogni et\'e0 interpreta e ricrea Cristo a suo modo; anzi, com'egli ha detto, \'abognuno, di noi ha il suo Cristo\'bb: ed ecco il \i Cristo in cammino.... \par \i0 E queste idee e questi sentimenti sono tutti, almeno in scultura, originali e nuovi ed espressi nel modo pi\'f9 chiaro, pi\'f9 semplice, pi\'f9 commovente. Per questa profonda sincerit\'e0 del suo pensiero e per questa chiarezza sempre pi\'f9 semplice e sobria della sua espressione, Leonardo Bistolfi \'e8, come ogni artista, poeta. Egli parla agli uomini del suo tempo, alle loro passioni, alle loro speranze, direttamente, scostando le frasche secche della vecchia retorica, abbattendo i fantocci delle mitologie defunte, rivelando noi a noi stessi. \par Quando egli ha comincialo ad intendere che questo era il suo c\'f2mpito, meglio che questo era il c\'f2mpito d'ogni arte degna di vita, Rodin e Puvis de Chavannes facevano con altri mezzi lo stesso in Francia. Ma Bistolfi anche nei suoi errori e anche nelle sue incertezze, non ha mai imitato nessuno: un altro miracolo, in Italia. Egli ha veduto poca arte altrui ed ha viaggiato pochissimo. A Parigi non \'e8 stato che una volta, vent'anni fa, per una settimana; e poi non \'e8 pi\'f9 uscito dall'Italia. Napoli, non l'ha veduta che un anno fa. Lo accompagnarono al Museo il Tesorone e il Rubino. Era il giorno dei Santi ed il Museo era chiuso: fu aperto per lui. Solo con quelli amici, davanti al torso della Psiche, la viva e divina m\'e8ta d'ogni scultore, egli ammutol\'ec e scoppi\'f2 a piangere: l'ador\'f2 e si spaur\'ec, sper\'f2 e disper\'f2. E la notte stessa ripart\'ec, e per pi\'f9 giorni non tocc\'f2 la creta. \par Poco dopo mi dichiarava con rinnovata energia: \f1 -\f0 A quelle perfezioni noi dobbiamo tendere, ma ascoltando noi stessi, non i greci. Quel che i greci hanno detto, non serve pi\'f9 a noi. Noi abbiamo i nostri ideali e sono grandi e belli quanto i loro, e l'epoca nostra \'e8 bella quanto quella di Pericle. \par E nemmeno questa volta ho osato contraddirlo.... \par \pard\lang1040\f3\fs24 \par }