Telemaco Signorini   (Pagine 30 )      Fonte : Ritratti d'Artisti Italiani - 1911

{\rtf1\ansi\ansicpg1252\deff0\deflang1040{\fonttbl{\f0\fnil\fcharset0 Times New Roman;}{\f1\fnil Times New Roman;}{\f2\fnil\fcharset0 Arial;}} \viewkind4\uc1\pard\sb2268\sa1134\sl240\slmult1\qc\lang16\f0\fs28 Telemaco Signorini. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj Fiore all'occhiello, guanti chiari e mazza in mano, un palt\'f2 corto e largo color di nocciola con le cuciture doppie e due spacchi sui lati, da fantino inglese, calzoni rimboccati, in capo una tuba lucida per grande travaglio di spazzole e di fiato, in bocca un mezzo avana sempre spento per economia, sul naso un po' camuso gli occhiali a stanga che scendevano sempre pi\'f9 gi\'f9 degli occhi tanto che salutandovi per via egli vi guardava a scanc\'eco e per parlarvi spingeva avanti la faccia e alzava le sopracciglia fino a met\'e0 della fronte, una barba bionda e bianca leggera e ricciuta che aperta sul mento accentuava la mascella prominente e ostinata, nell'ampia bocca ogni sorta di denti in ordine sparso, grandi e piccoli, bianchi e gialli, dominati \par \pard\sb170\sa170\sl240\slmult1\qc\fs24 da una zanna cariatide che chiameremo dente, \par \pard\sl240\slmult1\qj\fs28 come gli diceva Renato Fucini in una delle sue indiavolate lettere da Vinci inedite per forza, un aspetto imbronciato che si schiudeva in un sorriso festosissimo per pochi amici degni e scintillava tutto d'un'arguzia spietata appena poteva contemplare la serena beatitudine d'un imbecille: questo era Telemaco Signorini, e questo \'e8 nella memoria di chi l'ha amato e di chi l'ha odiato, indimenticabile. \par \pard\fi283\sa170\sl240\slmult1\qj A quarantadue anni, in principio dei novantanove sonetti che egli intitol\'f2 \i Le 99 discussioni artistiche\i0 e firm\'f2, con un anagramma del suo nome, Enrico Gasi Molteni, diceva di s\'e8 stesso: \par \pard\fi-283\li850\sl240\slmult1\fs24 E vo per la mia strada e al mio mulino \par tiro l'acqua e vo innanzi il pi\'f9 che posso, \par n\'e8 domando a nessuno il mio cammino. \par Mangio ogni giorno, senza avere addosso \par la livrea di nessuno, e non m'inchino \par a chi mi tirerebbe in qualche fosso. \par \pard\fi283\sb170\sl240\slmult1\qj\fs28 E cos\'ec and\'f2 avanti, lavorando notte e giorno, per sessantacinque anni, diritto, libero e povero, sincero fino all'insolenza, affettuoso fino al sacrificio, leale fino allo scrupolo, lindo nella coscienza come negli abiti, critico di s\'e8 stesso prima che degli altri, non ambizioso d'altro che dell'arte sua. Quando il partito radicale fiorentino, sapendone le idee liberalissime, pens\'f2 di portarlo candidato al Consiglio comunale, egli rispose netto: \'abNegato come sono a intendere la pi\'f9 semplice questione di gestione amministrativa, non potrei con coscienza votare pro o contro a ci\'f2 che non intendo, senza diventare dannoso o ridicolo. Nelle questioni dell'arte nelle quali potr\'f2 avere qualche competenza, sono talmente agli antipodi con le idee di tutti i miei colleghi da rinunziare, come sempre ho fatto, a qualunque carica sociale anche nel Circolo artistico del quale fo parte. Io sono un solitario, la vita pubblica mi ripugna, e tanto mi sento contrario a quel che si fa nel mio paese che io non intendo sacrificare il mio tempo che tutto ho dato all'arte mia, per gl'interessi di un paese che nulla ha fatto per l'interesse mio\'bb. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj Mor\'ec a Firenze il 10 febbraio del 1901, d'arteriosclerosi. V'era nato il 18 agosto del 1835 da Giovanni di Lorenzo Signorini e da Giustina di Giuseppe Santoni. Dal 1865 teneva studio al pianterreno del numero 12 di piazza Santa Croce. \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj Anche suo padre era stato pittore e aveva avuto il suo studio vent'anni prima sulla stessa piazza. Il Granduca lo aveva molto protetto. Pel Granduca, Giovanni Signorini aveva dipinto molti di quei quadretti di vedute e di feste e di costumi fiorentini che sono uno dei pi\'f9 preziosi documenti ora raccolti nella Casa di Michelangelo dal Museo topografico fiorentino; e nel 1847 aveva dipinto per lui anche quadri patriottici. Ma dopo la restaurazione e la reazione del 1849 rifiut\'f2 d'andare a riverirlo, anzi mise alla porta il Dupr\'e8 e il Pollastrini, amici e colleghi suoi, che avevano fatto tanto facilmente quella riverenza. E anche un fratello di Telemaco, Egisto, nato nel 1832 e morto nel 1851, era stato pittore e aveva esposto nel 1850 alla Promotrice di Firenze un \i Arresto del conte Ugolino\i0 . Soltanto dopo la morte di lui fu permesso a Telemaco di lasciare le scuole degli Scolopi e di darsi definitivamente all'arte, \f1 -\f0 all'arte e alla politica, due cose che nei giovani d'allora andavano d'accordo come non sono andate pi\'f9 mai. Leggere Mazzini e Proudhon e andar in campagna a studiar sul vero invece d'andare all'Accademia, erano due ribellioni che al Signorini e ai suoi compagni d'et\'e0 e di fede sembravano una ribellione sola. E ai compagni d'allora egli serb\'f2 fede tutta la vita: erano, per dir solo degli artisti, Odoardo Borrani, Stanislao Pointeau chiamato dagli amici Puntacqua, Alessandro Lanfredini, Augusto Arnaud francese d'origine e tanto elegante che si vantava d'esser perfino nato in carrozza valicando il Cenisio, Giovanni Fattori, Vincenzo Cabianea, Vito d'Ancona, questi tre di otto o dieci anni pi\'f9 vecchi di Telemaco. In Accademia non andava che per disegnar dal nudo e tormentare i ben pensanti. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\f1 -\f0 Te l'ha insegnato il professor Paganucci il nome di questo muscolo? \f1 -\f0 e l'indicava col gesto. \par \f1 -\f0 M'hai rotto..., \f1 -\f0 borbottava lo scolaro sottomesso. \par \f1 -\f0 Non bestemmiare, ch\'e8 l'Ispettore ti mette alla porta. \par \f1 -\f0 Addio! \f1 -\f0 l'altro ribatteva pi\'f9 tragico d'un quadro storico. \par \f1 --\f0 Addio, pipi.... \f1 -\f0 concludeva dolcemente il Signorini guardandolo da sopra agli occhiali. \'abPipi\'bb era lo scherno preferito da lui e acquistava valore dalla smorfia di commiserazione con cui l'accompagnava. \par Vito d'Ancona era il ricco della compagnia. Telemaco lo conobbe nel '56 perch\'e8 aveva lo studio vicino al suo, in via della Pergola, sulla cantonata di via Nuova, in uno stabile dai cui tetti si vedevano le finestre e le terrazze di tutte le ballerine e figuranti del teatro l\'ec accanto. E fu Vito d'Ancona a fargli leggere Balzac e Porta, a mettergli addosso quella man\'eca di viaggiare che non lo lasci\'f2 pi\'f9 in quiete finch\'e8 visse e che cominci\'f2 nello stesso anno 1856 col viaggio di Venezia dove il Signorini vide le feste per la nascita del figlio dell'Imperatore d'Austria, conobbe il Gamba di Torino, il Molmenti professore di quell'Accademia, l'Aleardi, il Maffei e lo scrittore d'arte Pietro Selvatico e Domenico Morelli e Frederick Leighton e Tranquillo Cremona e Alfonso Balzico, e visse con loro tra il solito pranzo alla trattoria della Bella Venezia e il solito caff\'e8 condito di discussioni al Florian, e lavor\'f2 tutt'il giorno e prepar\'f2 gli studi per quel \i Ghetto di Venezia\i0 che cinque anni dopo esposto a Torino e poi a Firenze parve ai pacifici buongustai toscani pi\'f9 una rivoluzione che una rivelazione. Di tutto dava notizie a suo padre in lunghe lettere firmate \'absuo umilissimo figlio\'bb, e specialmente delle cose d'arte e delle proprie condizioni economiche: \'abQuesta sera si apre il teatro della Fenice col \i Guglielmo Tell,\i0 e dopo cogli \i Ugonotti\i0 . Ma io lo vedr\'f2 una volta sola perch\'e8 tre svanziche di biglietto son troppe\'bb. Ma, come sempre, ordinato e prudente, aveva arrivando affidato al d'Ancona dieci francesconi per aver, in ogni caso, tanto da tornare a casa. \par Nel 1858 suo padre stesso lo condusse con s\'e8 a Genova, a Torino, a Milano, a Brescia e anc\'f3ra a Venezia. Ma l'anno dopo venne la guerra. \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj Tutti i suoi amici erano in fiamme, a Firenze, a Pisa, a Livorno, e s'incitavano l'un l'altro e non volevano che uno solo di loro restasse a casa. Beppe Sacchetti, il padre del nostro feroce e preciso caricaturista Enrico Sacchetti, scriveva al Signorini da Livorno: \'abFai leggere la presente a Enrico Nencioni, e se non viene con noi, non \'e8 pi\'f9 Enrico ma la sua ombra. Addio. Viva l'Italia!\'bb Telemaco si arruol\'f2 nell'artiglieria toscana e fece la campagna al quinto pezzo della batteria sotto il comando del colonnello Mosel e del capitano Palmieri, ma non gli fu dato di combattere. Il 26 luglio del 1859 scriveva al padre: \'abDopo Goito e Volta Mantovana dove siamo stati l\'ec l\'ec per far fuoco e dove ho veduto di grandi cose, fu concluso l'armistizio. Siamo partiti da Volta per Solferino campo della formidabile battaglia combattuta valorosamente e vinta dai nostri italiani. Il campo era ancor pieno di cadaveri, di caschi, di pezzi d'armi, d'alberi troncati dalle palle e dai cannoni. Il sole tramontava in quel momento che noi passammo per mezzo a quella scena tristissima, e l'impressione che ricevei fu tale che non la dimenticher\'f2 finch\'e8 vivo.... Dica alla mamma che il suo bel figlio Telemaco torner\'e0 vittorioso senza aver sparato il cannone, cosa che la consoler\'e0 di molto ma che consola pochissimo me\'bb. E dov\'e8 fermarsi a Modena in guarnigione, deluso e insofferente sebbene l\'ec a Modena ritrovasse tra i soldati e i volontari tanti toscani, scrittori ed artisti, soddisfatti almeno delle notizie che giungevano da Firenze: \i Yorick\i0 , Diego Martelli, Gustavo Uzielli, Adriano Cecioni, Odoardo Borrani. Un po' di svago e d'entusiasmo fu portato dai profughi veneti: \'abSaranno due o trecento al giorno. Bisogna vedere questi disperati la sera nella nostra fortezza cantare a gola spiegata inni nazionali e voler sempre in mezzo a loro noialtri toscani con una simpatia veramente italiana.... In tutto il Veneto non si trovano pi\'f9 che vecchi, ragazzi e donne. Ma anche un'infinit\'e0 di donne hanno arrestate\'bb. Quando apparve Garibaldi, riapparve la speranza: \'abS\'ec, sono ordinanza al generale Garibaldi, \f1 -\f0 scriveva il 26 agosto, \f1 -\f0 e ho avuto il piacere di vederlo tre volte passare per il salone e il piacere di ricevere un ordine da lui medesimo. Se prima ognuno pensava al congedo, ora non si trova nessuno che lo voglia e si sente dire per tutto: se il generale Garibaldi ha preso il comando della nostra armata \'e8 segno che la guerra \'e8 vicina, vinceremo o morremo\'bb. Ma la guerra era finita. Poich\'e8 agli studenti era pi\'f9 facilmente rilasciato il congedo, il padre ottenne dall'Accademia fiorentina un certificato per Telemaco. \'abMi par mille anni di tornare non fosse altro per potermi cambiare gli abiti militari che sono pieni zeppi di lotume. Anzi vi avverto che appena tornato andr\'f2 di corsa a fare un bagno perch\'e8 il vostro figliolo \'e8 pieno di pidocchi fino ai piedi....\'bb. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj E torn\'f2 e si lav\'f2 e si quiet\'f2; ma la nostalgia di quei luoghi, appena a Firenze, fu tanta che l'anno dopo volle rivederli, armato non pi\'f9 di fucile ma di matita e di pennello, e rivide Modena e Brescia e Solferino e San Martino e, per quel suo aspetto di straniero che a Firenze e al Caff\'e8 Michelangelo lo soddisfaceva tanto, fu a Pozzolengo arrestato nientemeno che come spia dell'Austria, e solo a Brescia dov'era andata la sua batteria, fu riconosciuto e liberato e pot\'e8 dopo una gita a Milano e a Torino, raggiungere a Spezia Vincenzo Cabianca e Cristiano Banti che l'aspettavano dipingendo. Percorse tutta la Riviera, dipinse o prepar\'f2 le \i Pescivendole di Lerici\i0 , le \i Acquaiole di Spezia\i0 , la \i Campagna presso il forte dei Marmi\i0 . Ma appena a Firenze ricominci\'f2 i quadri di soggetto militare: l'\i Alto di granatieri toscani a Calcinatello presso Brescia\i0 , l'\i Artiglieria toscana a Montechiaro salutata dai francesi feriti a Solferino\i0 , la \i Cacciata degli austriaci dalla borgata di Solferino\i0 , che fu esposto nella prima e grande esposizione italiana di Porta al Prato, presieduta dal principe di Carignano e inaugurata il 15 settembre del 1861 con un discorso di re Vittorio Emanuele e con l'inno di Giosu\'e8 Carducci alla \i Croce di Savoia\i0 musicato da Carlo Romani. \par Quelle tele patriottiche furono sette, ne vendette sei, ma non le am\'f2. Forse non le am\'f2 perch\'e8 le vendette. Del successo facile e immediato egli diffid\'f2 sempre. Come da vecchio agli amici che vedendolo in bisogno (certo non lo diceva lui o lo diceva allegramente come fosse un segno di giovinezza persistente....) gli conducevano allo studio un compratore, egli dichiarava amaramente: \f1 -\f0 Compra per far piacere a me, non perch\'e8 il quadro faccia piacere a lui, \f1 -\f0 cos\'ec allora sentiva che pi\'f9 della pittura in quelle tele i compratori ammiravano il soggetto. E invece egli voleva che non il soggetto simpatico ma il pittore, e l'arte fossero ammirati, magari nonostante il soggetto antipatico, come venivano predicando i realisti pi\'f9 dogmatici. Quando mand\'f2 a Milano all'Esposizione di Brera l'unico di quei sette quadri rimasto invenduto \f1 -\f0 l'\i Alto dei granatieri toscani\i0 \f1 -\f0 e si vide subito comprare anche quello dagli artisti del Circolo e arrivare una lettera di lode firmata dall'Induno, dal Pagliano e da altri di quelli artisti, non dubit\'f2 pi\'f9: cambi\'f2 mestiere e torn\'f2 coraggiosamente alle \i Pescivendole di Lerici\i0 , alle \i Acquaiole di Spezia\i0 e al \i Ghetto di Venezia\i0 che non si vendevano, e ai suoi prediletti studioli dal vero che, secondo la moda venuta dalla Francia e dal Courbet, egli e i suoi compagni solevan dipingere sui fondi delle scatole da sigari. Pochi anni dopo, scrivendo d'un quadro patriottico dell'Ademollo nel suo \i Gazzettino delle arti del disegno\i0 , diceva francamente: \'abTutti questi esempi d'amor patrio in pittura mi son venuti un po' a noia perch\'e8 non trovo un gran merito a fare i quadri liberali quando non v'\'e8 pericolo e quando son liberali perfino i codini. Mi pare che quest'arte faccia la corte a tutti come le donne pubbliche, mentre che, se l'arte ha uno scopo, \'e8 certamente quello di precedere non di seguire i tempi\'bb. \par E aggiungeva, a proposito della fertilit\'e0 e della facilit\'e0 dell'Ademollo, questa sentenza capitale: \'abQuando un artista si lascia trasportare da questa facilit\'e0, per me non lo stimo quanto quello che conosce la propria e la domina\'bb. \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj Del resto anche prima del '59 e della guerra le ricerche puramente tecniche avevano occupato i migliori artisti fiorentini e li avevano raccolti in quel gruppo feroce per la sua intransigenza e ammirevole per la sua abnegazione e la sua alacrit\'e0, che rest\'f2 noto sotto il nome di \i macchiaioli.\i0 Pei macchiaioli, \i macchia\i0 non ebbe il significato corrente di abbozzo, ma piuttosto quello che molto pi\'f9 tardi, quando vennero di moda in Italia gl'impressionisti di Francia, ebbe la parola \i impressione.\i0 I primi a predicar che la macchia era il fondamento della pittura furono Domenico Morelli, Saverio Altamura e Serafino Tivoli quando all'esposizione di Parigi del 1855 si accorsero \f1 -\f0 son parole del Signorini \f1 -\f0 difetto capitale dell'arte italiana ufficiale e accademica essere la mancanza di solidit\'e0 e la deficenza di chiaroscuro, e tornando si fermarono a Firenze e spiegarono le loro critiche in quel famoso Caff\'e8 Michelangiolo che in via Larga, ora via Martelli, tra il '48 e il '55 fu il luogo di convegno dei cospiratori pi\'f9 ardenti e dal '55 al '66 degli artisti pi\'f9 moderni e pi\'f9 fervidi che vivessero a Firenze o vi passassero, accesi nel loro entusiasmo per la nuova pittura francese anche dagli entusiasmi francofili del 1859. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj Osservavano i macchiaioli che noi non vediamo i contorni di tutte le forme, ma solamente i colori di queste forme, che dunque la linea \f1 -\f0 il cos\'ec detto disegno \f1 -\f0 \'e8 solo il concetto astratto delle forme delle quali considera solo i limiti e le proiezioni, prescindendo dalla luce che le avviluppa e dal colore che le riveste, mentre di fatto l'occhio non percepisce che luce e colore. Per parlar nel gergo dei pittori, il vero, cos\'ec, risulta solo da \i macchie\i0 di colore e di chiaroscuro ciascuna delle quali ha un \i valore\i0 proprio che si misura col mezzo del \i rapporto\i0 tra i vari toni. Un colore, di fatto, non cambia mai, pu\'f2 essere pi\'f9 chiaro o pi\'f9 scuro ma il turchino resta sempre turchino e il rosso sempre rosso. L'ombra, cio\'e8, non ha un colore per s\'e8 stessa: per dirla con Adriano Cecioni, dal quale tolgo queste definizioni, essa non \'e8 un panno ma un velo. \par Queste massime che i macchiaioli avevano dichiarate fin dal 1855 furono, in fondo, il vangelo degl'impressionisti francesi. In un articolo del 1866 sul Manet, Emilio Zola definiva cos\'ec la \i legge dei valori\i0 : \'abL'artista posto davanti a un soggetto pur che sia, si lascia guidare dai suoi occhi che veggono questo soggetto come una combinazione di larghe tinte sottoposte a una legge che le impone le une alle altre. Una testa di contro a un muro non \'e8 pi\'f9 che una \i macchia\i0 pi\'f9 o meno bianca su di un fondo pi\'f9 o meno grigio, e il vestito della figura diventa, per esempio, una \i macchia\i0 pi\'f9 o meno bl\'f9 messa accosto alla \i macchia\i0 pi\'f9 o meno bianca. Da ci\'f2 una grande semplicit\'e0, quasi nessun dettaglio, un insieme di macchie giuste e delicate le quali a qualche passo di distanza d\'e0nno al quadro un rilievo che colpisce\'bb. La traduzione di questo passo la trovo in una conferenza sugl'\i Impressionisti\i0 francesi (l'appellativo anche in Francia non apparve che nel 1874) tenuta da Diego Martelli nel 1877, proprio da Diego Martelli che fra i critici nostri fu il primo a difendere e a diffondere le teorie dei macchiaioli. \par Non intendo con questo stabilire una precedenza dell'arte italiana su quella francese. Sarebbe una fortuna troppo grande e poco vera. E quei tre che tornarono da Parigi e quelli che primi a Firenze li ascoltarono \f1 -\f0 e di costoro il pi\'f9 vecchio era Vincenzo Cabianca veronese e il pi\'f9 giovane Telemaco Signorini \f1 -\f0 , quelle loro teorie non le avevan tratte solo dalla loro testa: le avevan formulate vedendo gli uni a Parigi, gli altri nella villa Demidoff a San Donato sopra Firenze, non solo Delacroix ma anche Decamps e poi i paesisti francesi detti \'abdel '30\'bb, Corot e Rousseau e Daubigny. Ma un fatto \'e8 certo: che quando nel '63 Manet espose al Salon la \i Colazione sull'erba\i0 cui voltarono le spalle indignati l'imperatore e l'imperatrice, e quando nel '65 vi espose l'\i Olympia\i0 , e quando Degas gi\'e0 passato dall'imitazione di Ingres a quella di Delacroix fu dalla vista delle pitture giapponesi al Salon del 1867 indotto alla pittura di movimento, il Cabianca e il Signorini e il Banti e il Tivoli e il Borrani avevano gi\'e0 da molti anni statuito dogmi e dipinto quadri degni d'essere, non solo nell'intenzione, paragonati per modernit\'e0 ai quadri di quei maestri francesi. Il pi\'f9 celebre quadro del Signorini, \i Le Pazze\i0 , fu, a detta del Cecioni, dipinto lo stesso anno in cui fu esposta l'\i Olympia\i0 . Anzi il Signorini, in una polemica sul \i Rinnovamento\i0 di Venezia nel giugno del 1874, afferm\'f2 addirittura che all'Esposizione nazionale di Firenze del 1861 col trionfo del Morelli, del Celentano e del Fontanesi, i macchiaioli potevano gi\'e0 dire d'aver definitivamente vinto la loro battaglia e convinto anche il pubblico. \par Ma la lotta che allora si combatteva dagli artisti e dai critici del Caff\'e8 Michelangiolo, e non solo dai macchiaioli, non era soltanto contro una vieta tecnica pittorica, era contro tutta un'istituzione: contro l'Accademia. E anche in questa lotta nessuno super\'f2, per audacia d'epigrammi e sagacia d'argomenti, Telemaco Signorini. \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj Ormai veramente non esisteva pi\'f9 la classica Accademia dell'Appiani e del Benvenuti, con dogmi fissi, metodi infrangibili come sbarre di prigione, esemplari intangibili come divinit\'e0: esistevano le accademie, e ognuna s'impersonava in un maestro, il Bezzuoli a Firenze, l'Hayez a Milano, il Podesti a Roma, il Lipparini a Venezia, per dir solo di quelli che anc\'f3ra hanno un nome. Questo costrinse quei polemisti a demolir le persone per demolire l'istituzione, a \'absciupar la gente\'bb come diceva il Cecioni, con sarcasmi e dileggi prima che a criticar l'Accademia con forza di ragionamenti e d'opere. Ma alla fine, venti o trent'anni dopo, le stesse Accademie dovettero finire a pensare, se vollero avere una parvenza di vita, come quei loro oppositori spietati. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj L'Accademia aveva, con criteri esterni e nominali, divisa la pittura in varie classi, prima la storica, poi quella di genere, poi quella di paesaggio, e v'erano anche le sottoclassi, la pittura storica pagana e la pittura storica cristiana, la pittura d'animali e la pittura d'architettura. E i macchiaioli urlavano che un cavolo e una rapa valevano in pittura Dante e Beatrice, e il paesaggio valeva il quadro storico, e di categorie in pittura ve n'eran due sole: la pittura buona e quella cattiva. \'c8 un sonetto del Signorini: \par \pard\li850\sb170\sa170\sl240\slmult1\fs24 Ti dan l'Arte cos\'ec: per prima classe \par c'\'e8 la pittura storica e c'\'e8 poi \par la pittura di genere.... \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\fs28 E contro le finitezze e le melensaggini dell'aneddoto spiritoso o commovente nella pittura di genere \f1 -\f0 seconda categoria di nobilt\'e0, \f1 -\f0 altre frecciate: \par \pard\li850\sb170\sa170\sl240\slmult1\fs24 ....Un bel quadretto. \par Se vedesse che bella cosettina!... \par V'\'e8 una mamma ammalata, accanto al letto \par ci si vede a sedere una bambina \par che fa la calza, ed \'e8 tanto carina.... \par E se vedesse, poi, c'\'e8 con rispetto \par un bel vaso da notte con l'.... \par che non si puol vedere il pi\'f9 perfetto. \par Fin nella madia ci si vede il tarlo \par che ha fatto i buchi.... \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\fs28 L'Accademia aveva i suoi santi: i greci e Fidia e Prassitele, e Raffaello, \f1 -\f0 San Raffaello Sanzio. Chi avrebbe osato bestemmiarli? E quelli ripetevano la storiella del Courbet che da vecchio va per la prima volta al Louvre e ne esce dichiarando che all'infuori dei suoi quadri non v'\'e8 niente di buono; e per sinonimo di goffaggine leziosa e convenzionale davano abitualmente l'Apollo del Belvedere o la Madonna della Seggiola; e degli antichi non salvavano che i \'abprimitivi\'bb quattrocenteschi \'abperch\'e8 erano ingenui\'bb. \par L'Accademia proclamava la necessit\'e0 della scuola e d'un lungo tirocinio a passo a passo? E quelli a proclamare che le scuole ufficiali d'arte offrendo a tutti l'occasione prossima per diventare gratis tanti Raffaello, erano una fabbrica di spostati e di bugiardi, \f1 -\f0 che l'arte non s'insegna e tutt'al pi\'f9 se ne possono insegnare i primi rudimenti meccanici, \f1 -\f0 che l'osservazione del vero \'e8 il solo professore rispettabile. Nel 1863 il Signorini espose un quadretto dove due bambini con gli occhi rossi di pianto guardavano da sotto a un ombrello due galline che beccavano vicino a una siepe. E il quadretto era intitolato: \i Felici voi galline che non andate a scuola! \par \i0 Fin negli atteggiamenti e nei vestiti e nei modi di dire essi deridevano i professori e gli studenti dell'Accademia. Questi per rispetto ai maestri e agli antichi dovevano esser modesti e presentando un proprio lavoro dirne male, compunti, gli occhi a terra? E il Signorini a gridare in difesa dell'originalit\'e0 e della sincerit\'e0: \f1 -\f0 Un quadro mio, prima di tutto deve piacere a me! \par E contro la \i posa\i0 dei modelli all'Accademia, precorrendo anche qui gl'impressionisti e \'abla pittura di movimento\'bb, egli e i suoi amici chiedevano che il modello si movesse per mantenere un'espressione spontanea e per rivelare tutt'i giochi della luce sulle sue carni. Da dove gli venne un altro sonetto, o qualcosa di simile: \par \pard\fi-283\li850\sb170\sl240\slmult1\fs24 I pittori? Son matti da legare. \par Gli ho bazzicati, sai, fin da piccina. \par O senti questa. Vo dal sor Gravina, \par Mi spoglio e lui si mette a lavorare. \par Ma senti proprio se non \'e8 carina. \par Gi\'e0 pi\'f9 si campa e pi\'f9 c'\'e8 da imparare. \par Lo sai perch\'e8 s'\'e8 messo a liticare? \par Perch\'e8 gli stavo ferma! Eh, Giovannina, \par Non \'e8 nuova? Ed url\'f2 come un dannato: \par \f1 -\f0 O moviti perdio! Ma chi lavora \par Con un modello tanto addormentato? \par Va via, ritorna a far la stiratora. \par Fammi il piacer, va via, mi son seccato. \f1 -\f0 \par M'ha aperto l'uscio e m'ha cacciato fora \par Con un francaccio lercio e rattoppato! \par \pard\fi283\sb170\sl240\slmult1\qj\fs28 Naturalmente, poich\'e8 i nostri nemici diventano sempre alla lunga, i nostri padroni, anche questi ribelli diventarono intransigenti e stabilirono certe norme che qualche volta li mutarono in accademici, con l'\i a\i0 piccola, altrettanto feroci degli altri accademici con l'\i A\i0 grande. Ad esempio quella per cui le figure dipinte da un vero macchiaiolo non dovevano oltrepassare \'abla dimensione dei quindici centimetri, quella dimensione che assume il vero quando si guarda a una certa distanza, a quella distanza cio\'e8 in cui le parti della scena si vedono per masse e non per dettaglio\'bb. Son parole d'uno dei loro profeti, dello scultore Cecioni che scriveva sotto il nome d'Ippolito Castiglioni. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj Ma la furia era tanta che vent'anni dopo, quando nel 1882 l'Accademia di Firenze credette opportuno di nominare professore di merito Telemaco Signorini, questi rifiut\'f2 l'onore con una lettera che finiva cos\'ec: \'abOggi ho quarantasette anni e se l'Accademia mi ha reputato non migliore artista ma uomo pi\'f9 disciplinato di prima e perci\'f2 mi onora di questo titolo, io la ringrazio della sua buona opinione ma rifiuto, non potendo rispondere di me se per un resto di giovinezza dovessi commettere altre insubordinazioni e demeritare di questa onorificenza\'bb. \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj Questa furia spiega l'intima ragione della vittoria dei macchiaioli e della bont\'e0 di tante opere loro. Anche creando una scuola, anche restringendo i temi dei loro quadri alla pi\'f9 semplice verit\'e0, anche dettando canoni e dogmi, essi non tendevano ad altro che alla liberazione della personalit\'e0 dell'artista fuori da tutte le pastoie della tradizione e dei maestri. Essi sentivano che le scuole passano, che solo la personalit\'e0 d'un artista rimane ed \'e8 la misura del suo valore nella storia dell'arte. E odiavano il piatto realismo quanto il pi\'f9 tronfio accademicismo: \par \pard\li850\sb170\sa170\sl240\slmult1\fs24 Mente questo immoral romanticismo \par e questa nuova Arcadia e i barbagianni \par che calunniano il ver nel realismo, \par \pard\sl240\slmult1\qj\fs28 affermava il Signorini. La \'abmacchia\'bb, l'impressionismo, l'osservazione della realt\'e0 pi\'f9 fugace erano soltanto dei mezzi \f1 -\f0 i migliori mezzi secondo loro \f1 -\f0 per la ricerca dell'originalit\'e0 del pittore e del carattere delle cose dipinte, di quello che essi chiamavano il sentimento. E le fughe nella aperta campagna, a Pargentina nel 1862 dove ai primi macchiaioli si unirono il Lega, l'Abati, il Sernesi e per poco il Moradei di Ravenna, o alla villa dell'Ombrellino a Bellosguardo dove l'incisore francese Desboutin invitava tra il '63 e il '64 il Signorini, il Boldini, il Sernesi, il Gordigiani, o a Castiglioncello nell'ospitale casa di Diego Martelli \f1 -\f0 due lire al giorno di pensione \f1 -\f0 dove per tanti anni convennero ogni estate il Costa, il Fattori, il Cabianca, il Signorini, lo Zandomeneghi, il Bechi, il Sernesi, l'Abati, non significavano altro che questa liberazione dagli obblighi cittadini, dalla vicinanza dei musei e delle scuole e dei capolavori opprimenti. E gli epigrammi, le satire, le burle, le caricature delle quali lo stesso Signorini ci ha lasciato una narrazione cos\'ec arguta e piacevole nel suo \i Caricaturati e caricaturisti al caff\'e8 Michelangiolo tra il 1848 e il 1866\i0 ), non erano che l'esasperazione di queste esuberanti personalit\'e0, di queste sincerit\'e0 spesso ribelli anche alle regole di un'educazione appena civile, sospettose perfino della schiavit\'f9 che pu\'f2 venire da un successo troppo diffuso e rumoroso, ma tolleranti, anzi rispettosi verso ogni artista che lavorasse da s\'e8, per s\'e8, in uno sforzo continuato verso il meglio. Palizzi, Morelli, De Chirico, Costa, Fontanesi, Rayper, Pasini, Cremona, Pagliano, Mos\'e8 Bianchi non furono davvero dei fedeli seguaci dei dogmi \'abmacchiaioli\'bb: ma da questi furono amati e lodati egualmente perch\'e8 erano qualcuno ed erano originali o almeno si sforzavano d'esserlo. Ma guai ai traditori! Contro il De Nittis e contro il Boldini, appena Parigi e il mercante Goupil e il successo economico parvero corromperli e asservirli, tutti dimenticarono l'antica fraterna amicizia che nei meno buoni fu fatta anche d'invidia. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj Allora Firenze era un'altra e l'arte vi era stimata, discussa, comprata dai cittadini e dagli stranieri. Adesso tutta l'attenzione del pubblico italiano per l'arte \'e8 andata gi\'f9 d'un'ottava, e a Firenze pi\'f9 che altrove. Non v'\'e8 pi\'f9 a Firenze un Circolo artistico, un'esposizione di qualche rinomanza, una galleria appena decente d'arte moderna, non esiste pi\'f9 una scuola che possa dirsi tipicamente toscana e i vecchi, morto il Signorini e il Fattori, sono non solo separati dai giovani, ma nemici loro. Nel 1909, al concorso pel lascito Ussi che era bandito dall'Accademia e assicurava un premio di undicimila lire, non s'\'e8 trovato un quadro degno non dico di premio, ma di lode. \par E alla Firenze d'allora i pi\'f9 ribelli e i pi\'f9 fieri di quelli artisti pensavano sempre con affetto di figli. Bisogna leggere nei preziosi carteggi lasciati dal Martelli, dal Cabianca, dal Fattori, dal Banti, dallo stesso Signorini il quale pure mor\'ec senza aver la consolazione di vedere un quadro suo nelle pubbliche raccolte fiorentine, con che impeto d'amore e di rimpianti essi scrivevano ai parenti e agli amici rimasti in citt\'e0. E pi\'f9 lontani erano, pi\'f9 quell'amore cresceva. Si poteva dire che essi viaggiavano per raccogliere da tutto il mondo un'esperienza e una scienza capaci di ricondurre la loro citt\'e0 alle glorie dei secoli d'oro. \par E quanto viaggiavano! Il Signorini and\'f2 a Parigi la prima volta nel 1861 col Cabianca e col Banti e vi ritrov\'f2 il Gordigiani, l'Ussi, il Costa e gli amici di Piemonte, il Raymond, il Gamba, il Pastoris, e vi conobbe il Corot e il Troyon, e a met\'e0 strada pot\'e8 udire al Parlamento di Torino l'ultimo discorso del conte di Cavour. L'anno dopo \f1 -\f0 l'anno d'Aspromonte \f1 -\f0 perdette il padre e non pot\'e8 per questo raggiungere Garibaldi a Genova. Nel 1868 torn\'f2 a Parigi. Nel 1872, anc\'f3ra a Milano dove aveva esposto molti studi di Vinci, e a Verona e a Venezia. Nel 1873, anc\'f3ra a Parigi dove lavor\'f2 anch'egli pel Goupil e ritrov\'f2 il De Nittis, il Cecioni, il Campriani, il Michetti, il Boldini, il De Amicis e conobbe lo Zola, il Manet e il Degas cui rest\'f2 legato fino alla morte e di cui conserv\'f2 nel suo studio, come un tesoro, il pastello d'una ballerina con tanto di dedica. Nel '76 e nel '77 and\'f2 a Napoli dove alla grande esposizione italiana vendette il suo quadro di \i Porta Adriana a Ravenna\i0 che ora \'e8 a Roma, ed \'e8 l'unico quadro suo dove, come ho detto parlando del Michetti, si scorga un riflesso delle minute preziosit\'e0 del Fortuny. E nell'80 era all'Esposizione di Torino, relatore, in quel Congresso artistico, sopra una riforma dell'insegnamento artistico e del pensionato nazionale; e vi esponeva il \i Ponte Vecchio\i0 . E nel '78, nell'81, nell'83, nell'84, da Parigi arriv\'f2 a Londra e a Edimburgo, riportandone ogni volta studi e quadri che sono fra i suoi pi\'f9 caratteristici. \par Amava l'Inghilterra pi\'f9 della Francia. Vi trov\'f2, come il Costa e il Cablanca, compratori e ammiratori e amici fedeli. Nel 1883 vi vendette tutti i quadri del Mercato Vecchio di Firenze dei quali nelle pubbliche raccolte della sua citt\'e0 non \'e8 rimasto pure uno. E soprattutto vi sent\'ec quel rispetto dell'individuo e dell'originalit\'e0 che in Italia e in Francia era ed \'e8 un'eccezione. E poi l\'e0 si rivestiva a nuovo con fogge d'un'eleganza che gli era cara e con stoffe d'una durata che gli era utile. \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj Intanto s'era maturato in lui, accanto al pittore, lo scrittore: uno scrittore spesso scorretto ma sempre franco chiaro incisivo brioso che da buon toscano voleva anche in poesia scrivere come parlava. In questa nuova professione lo soccorrevano le molte letture e le amicizie con gli scrittori pi\'f9 vivi, dal Carducci al Nencioni, dal Fucini al Pascarella e al Capuana, da Emilio Praga a Ferdinando Martini. Il Nencioni per molti anni da Firenze, da Napoli, da Roma quand'era al \i Fanfulla della Domenica\i0 e alla \i Domenica letteraria\i0 , gli scriveva spessissimo, gli chiedeva giudizi e consigli sopra i versi e gli articoli che preparava, sopra i libri che leggeva. \'abTu hai un \i petit grain de Montaigne\i0 , gli scriveva, fra le tue qualit\'e0 artistiche e sai trovar tempo a tante cose e profittare di tutto e di tutti pel tuo perfezionamento intellettuale. Averti perso di vista per anni ed anni mi ha nociuto sotto tutti i rapporti\'bb. Luigi Capuana che, quando nel 1864 conobbe il Signorini, incideva anche all'acquaforte e disegnava anche caricature argutissime, ha gi\'e0 narrato nella \i Confessione a Neera\i0 d'aver letto la prima volta Diderot e Balzac per consiglio di lui. In compenso nel 1866 gli mandava da Mineo, manoscritto, un suo \i Nuovo metodo d'incisione da potersi sostituire all'acquaforte....\i0 A Emilio Praga nel '77 il Signorini dedic\'f2 uno dei pi\'f9 arguti sonetti delle \i 99 discussioni artistiche\i0 : \par \pard\li850\sb170\sa170\sl240\slmult1\fs24 Povero Praga, mi rammento il giorno \par che ti dissi un gran mal del tuo Milano.... \par Ti dissi, in piazza: Vedi, sembra un nano \par il domo, un pasticcin tolto dal forno; \par il forno, quel gabbione ove un cristiano \par trova un reuma all'andata, uno al ritorno. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\fs28 Col Panzacchi fu amico per poco. Si guastarono quando il Panzacchi scrivendo, sulla \i Nazione\i0 , dell'arte all'esposizione donatelliana del 1881, non ammir\'f2 un quadro di cavoli dipinto dal Tommasi e disse male del Manet. Vi fu sui giornali uno scambio di sonetti fra il poeta e il pittore il quale naturalmente volle dir l'ultima: \par \pard\li850\sb170\sa170\sl240\slmult1\fs24 Dalla dotta Bologna, o dotto Enrico, \par e dall'altezza tua degni calare \par fino a me che l'ho detto e lo ridico: \par di quello che non sai, non ne parlare. \par . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . \par Hai davvero l'ardir dei dilettanti, \par il verso che ben suona e nulla dice; \par ma ti manca il saper degl'ignoranti. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\fs28 La divina ingenuit\'e0, \'abil saper degl'ignoranti\'bb, era per lui la prima dote d'un artista. Egli riesc\'ec nonostante la sua dottrina e il suo scetticismo, a possederla in molti dei suoi quadri, in tutti i suoi bozzetti dal vero dei quali anc\'f3ra qualche centinaio \'e8 custodito dal fratello, Paolo Signorini. Certo la esalt\'f2 in tutti i suoi articoli, anche nel pieno della mischia dei macchiaioli quando i suoi compagni di rivolta non parlavano che di tecnica e di \i toni\i0 e di \i valori\i0 e di \i rapporti\i0 . \par Nino Costa romano che era stato a Firenze, col Cabianca veronese, tra i primi maestri di quelli innovatori, diceva che l'arte \'e8 l'emanazione del sentimento individuale nella ricerca della verit\'e0. E questo fu anche il vangelo di Telemaco Signorini. Dalla scuola alla vita, l'artista non doveva curarsi d'altro che di mantenere fresca e continua l'intima sorgente del proprio sentimento, la propria ingenuit\'e0 o almeno la propria sincerit\'e0. Solo a questo patto l'opera d'arte \'e8 umana e pu\'f2 suscitare la \'absimpatia\'bb dello spettatore capace perch\'e8 rivela un'anima, l'anima di chi l'ha creata. \par In questo sentimento, in quest'anima che un'opera d'arte deve rivelare, egli paesista includeva anche il sentimento e il carattere del paese rappresentato dall'opera d'arte. Poeta dialettale spesso degno d'essere paragonato al Fucini, sentiva che anche i paesaggi devono, si pu\'f2 dire, essere dipinti in dialetto. Per questo i suoi quadri migliori, quelli in cui la sua pennellata tagliente e la sua pittura sempre pi\'f9 chiara e luminosa e argentina e sempre pi\'f9, cogli anni, libera dal lividore di Pissarro e di Monet e degli altri primi impressionisti francesi, raggiungono l'espressione pi\'f9 semplice e pi\'f9 diretta, son proprio quelli dipinti nei paesi in cui egli \'e8 tornato pi\'f9 volte e ha dimorato pi\'f9 a lungo: Firenze e le colline sopra Firenze, Spezia, Viareggio, Riomaggiore e tutta la riviera toscana, Venezia, la Scozia. Le sue acqueforti del Mercato Vecchio di Firenze sono come la quintessenza di queste sue ricerche. \par Dalle quali gli venne la grande scienza di saper scegliere anche pei suoi quadri di figura l'ora e la luce che meglio definiscono la scena e i tipi e i gesti raccolti in una scena. Si guardino, per questo, solo quattro quadri suoi: la \i Sala delle agitate\i0 , il \i Bagno penale di Portoferraio\i0 , la \i Toletta del mattino\i0 solo due anni fa (1909) esposta a Venezia e dipinta in una casa malfamata di via Lontan Morti nel centro di Firenze ora demolito, e i \i Vecchi sul ponte di Chioggia\i0 al lume della luna. Eppure nel Signorini pittore di figura pochi hanno creduto e pochi ancora credono. Egli ha in comune col Degas certe bravure di pennello che compendiano un movimento in un modo troppo sommario per l'occhio dei pi\'f9; e l'antica abitudine della macchia pi\'f9 accentuava queste bravure. Ma quando un'esposizione vorr\'e0 avere il vanto di far dell'opera di lui una mostra pi\'f9 completa di quelle finora tentate con poca avvedutezza e v'includer\'e0 anche una buona scelta dei suoi mille disegni, quell'errato giudizio sar\'e0 facilmente corretto. \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj\f1 -\f0 La sincerit\'e0.... \'c8 un'ottima qualit\'e0 in arte, \f1 -\f0 mi diceva un giorno, l'anno prima di morire, \f1 -\f0 ma \'e8 una pessima qualit\'e0 nella vita. Me ne sono accorto troppo tardi! \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj Non era vero. Se n'era accorto prestissimo, ma non s'era mutato per questo. I suoi articoli del 1867 sul \i Gazzettino delle arti di disegno\i0 , la sua relazione sull'Esposizione nazionale di Parma del 1870 dove era stato fra lo spavento dei ben pensanti nominato giurato e segretario della giuria col Cecioni, col Banti e col Sorbi, le sue lettere da Parigi al \i Giornale artistico\i0 , i suoi articoli e le sue polemiche sulla \i Gazzetta d'Italia\i0 , sulla \i Gazzetta del Popolo\i0 , sul \i Fieramosca\i0 , sul \i Capitan Fracassa\i0 , gli fruttarono sempre pi\'f9 inimicizie che ringraziamenti. E dopo la polemica scritta egli si divertiva ad esasperare quelle inimicizie con l'epigramma orale. \par A lui bastavano per vivere in pace, poche lire e pochi amici. E degli amici falsi faceva quel che fanno i bottegaj delle monete false: li inchiodava sul banco, alla berlina, come un avvertimento per s\'e8 e per gli altri. Ma per gli amici sinceri non badava a disagi, a privazioni, e non l'intiepidiva la lontananza, e si burlava dei mettimale. \par I vecchi compagni gli morivano tutti a uno a uno: Vito d'Ancona, Enrico Nencioni, Diego Martelli, Adriano Cecioni, Silvestro Lega, Giuseppe De Nittis che poi nelle \i Notes et Souvenirs\i0 pubblicate dalla vedova si rivel\'f2 cos\'ec ingrato verso gli amici d'Italia. Egli ormai scriveva pi\'f9 poco sui giornali, si contentava di confidare i suoi pensieri e le satire e i ricordi a certi suoi quadernetti dei quali uno, stampato adesso dal fratello per offrirlo agli amici, contiene la descrizione di \i Riomaggiore\i0 e, si pu\'f2 dire, di tutte le sue vie e di tutti i suoi abitanti, prima disegnati a penna o a matita, poi descritti in una prosa semplice e arguta e patetica. Ma quando quei suoi vecchi amici morivano, egli tornava davanti al pubblico per comporli con le sue mani pietose nella tomba. E ad ognuno di quelli articoli i migliori fra i giovani si stringevano con pi\'f9 affettuoso ossequio attorno a lui. Son memorabili fra le buone azioni degli ultimi suoi anni le fiere parole con cui egli nel 1894 difese al tribunale di Genova Plinio Nomellini processato con altri come anarchico per associazione a delinquere contro la sicurezza dello Stato. Egli parlava anche in nome del suo vecchio Fattori: \f1 -\f0 Noi siamo vecchi e le nostre speranze son volte tutte ai giovani come quello l\'e0. Sar\'e0 vergogna a noi che, chi pi\'f9 chi meno, abbiamo contribuito a liberare l'Italia, soffocare in carcere il pensiero e l'arte della generazione che ci deve succedere. \f1 -\f0 E a testa alta, gli occhi lucidi di pianto, attravers\'f2 l'aula e and\'f2 a stringere, attraverso le sbarre della gabbia, la mano al suo amico. Il Nomellini fu assolto. \par Verit\'e0 e sincerit\'e0 sempre, paura mai. Non l'ebbe nemmeno della morte. Me lo rammento nel suo studio di piazza Santa Croce l'anno prima che morisse. Era di primavera e l'occhiello della sua giacca logora era fiorito d'un mazzo di violette. Pur continuando a far passare sotto i miei occhi, uno dopo l'altro, soffiandoci su come sopra uno specchio e lustrandoli col fazzoletto, i suoi ultimi studi, \f1 -\f0 e aveva sul cavalletto la sua solita cornice dorata che ogni volta con vari riquadri di cartone egli rimpiccioliva sulla misura dello studietto che voleva mostrare, \f1 -\f0 si lamentava d'essere malato. Io lo confortavo come potevo e, a vederlo alla fine sorridente, mi parve per quel giorno, per quell'ora, d'averlo convinto a sperare. Invece, pochi mesi fa, fra le sue carte ho ritrovato il suo ultimo sonetto. \'c8 intitolato: \i La commedia dell'amore per l'avvento della morte\i0 e comincia: \par \pard\li850\sb170\sa170\sl240\slmult1\fs24 L'ho recitata anch'io questa commedia \par Che oggi recita a me la mia famiglia: \par \f1 -\f0 Non hai nulla \f1 -\f0 mi dice e mi consiglia \par di stare allegro.... \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\fs28 E mor\'ec sereno, sapendo di morire. \par \pard\lang1040\f2\fs24 \par }