CONTRO IL « NOVECENTO » si fa una campagna che è ingiusta,
anche perché è fatta più di lazzi e di beffe che d'argomenti.
Che significa nella nostra pittura d'oggi questo benedetto e
maledetto «Novecento »? Più cose, ormai, e contraddittorie. In
principio fu il nome un poco enfatico d'un gruppo d'artisti
milanesi o viventi a Milano i quali erano o si credevano o
volevano essere creduti d'avanguardia, e fecero nella primavera
del 1926 un'esposizione raccogliendo intorno a loro altri
artisti ch'essi credevano o mostravano di credere d'avanguardia.
Fu una rassegna memorabile e istruttiva dove delle migliori
forze delle nuove generazioni artistiche (parole del programma)
mancavano solo, se ben ricordiamo, Carena, Malerba. Ferrazzi e
Donghi. Ma v'era di tutto: dal verismo illustrativo dei
Carabinieri di Oppo fino agli esercizi di geometria solida cari
a Campigli, dal minuto e delicato fiamminghismo di Dudreville al
cézannismo di De Grada.
Una scuola? Un ideale comune da sventolare per bandiera, da
imporre a guida dei giovani e a soccorso dei deboli? Zero. Era
una rassegna di tentativi e in taluni, Tosi e Casorati, Carpi ed
Oppi, di opere. In scultura la confusione era anche maggiore,
ché s'andava dalle iperboli di Rambelli alla tranquilla
finitezza di Focacci. Ma insomma una esposizione non è un museo,
e la buona volontà vi può sostituire la rapacità, con
soddisfazione del visitatore, il quale è prima di tutto un
curioso. Il solo gruppo compatto era quello « milanese »: Tosi,
Funi, Sironi. Carrà. Marussig, Salietti, Tozzi, Pratelli,
Campigli.
Che è avvenuto da allora, in questi due anni? Che questo
gruppo d'iniziatori ha preso davanti all'opinione pubblica il
sopravvento per ragioni opposte. L'una e ché esso solo aveva una
fisionomia, presso a poco, comune, e perciò è stato seguito,
come sempre avviene, da una folla di neofiti ancora inesperti,
di Milano e di fuori, i quali hanno esagerato più spesso i
difetti che le doti dei promotori, e tutto è passato sotto il
nome di « Novecento », e maestri e discepoli, buoni, mediocri e
pessimi, sono entrati con quell'etichetta trionfalmente nella
Biennale veneziana, esasperando gli umori non solo dei colleghi
esclusi ma anche del pubblico che considerava le esposizioni di
Venezia, per la loro stessa natura, più equanimi e più aperte,
ed irritando anche la critica la quale ha veduto riflesse in
quei minori tutti i vizi e gli errori e gli orrori della nuova
Internazionale pittorica, da Mosca a Parigi, da Berlino a
Belgrado. L'altra è che quel primo gruppo milanese s'è venuto
quasi tutto migliorando e umanizzando, e s'è allontanato di
corsa dalle prime aggressive deformazioni di battaglia: in testa
a tutti, Funi, Carrà. Salietti e Sironi (Tosi è un maestro che
anche prima del 1926 aveva un suo volto e una sua anima
inconfondibili). Così, proprio mentre i più dei primi
promotori del « Novecento » mostrano con l'anima e con l'opera
d'essere degni di comandare, il pubblico li giudica attraverso
le caricature dei sedicenti loro seguaci; né essi almeno, per
amore di chiarezza o per prudenza di difesa, sanno separarsi,
come dovrebbero e come certo il tempo farà, da queste truppe
avventizie, o relegarle in quartiere, voglio dire, nelle mostre
dei Sindacati dove ogni artista ha il diritto di avere la sua
branda. Lo faranno nella seconda esposizione del « Novecento »
che s'aprirà in marzo a Milano? È necessario se non vogliono che
la confusione aumenti e i facili dileggi colpiscano insieme,
come oggi iniquamente avviene, chi sa e chi non sa, chi crea e
chi copia, gl'Italiani che faticano a ritrovare la tradizione e
in essa la loro originalità, e gl'nternazionalisti che pur
d'essere alla moda si camufferebbero anche da negri. Ricordiamo
che nel primo programma del « Novecento » si leggeva: «L'Italia
deve pronunciare, a maggior gloria dell'arte, la sua antica e
nuova parola di pacata umanissima limpidezza.»
Allora noi pubblicamente chiedemmo che quella sentenza,
stampata in caratteri lapidari, fosse inchiodata alle pareti
d'ogni sala. Ripetiamo la domanda. A confondere ancora di più le
idee, venne poi il Novecento di Massimo Bontempelli che aveva un
programma addirittura opposto a quello delle ptture li Tosi,
Funi, Sironi. ecc. Ma qui si parla solo d'arte.
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