Pillole d'Arte

    
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Fonte : Gl'impressionisti francesi - Vittorio Pica - 1908
(Begamo - Istituto Italiano d'Arti Grafiche)

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Claude Monet

Colui che può a buon diritto essere considerato l'iniziatore più convinto e più cosciente ed il rappresentante più schietto, più fido e più completo dell'impressionismo è Claude Monet. E lui, infatti, che, nelle numerosissime tele della lunga e gloriosa sua carriera di pittore d'avanguardia, ha applicato, con maggiore squisita delicatezza e con più sicuro e rigoroso magistero di pennello, la teoria luminista della divisione dei colori, non seguendo già una preconcetta dottrina scientifica, sia di Helmholtz sia di Chevreuil, come in appresso dovevano fare i puntinisti, ma cedendo ad un mirabile istinto raffinatamente ottico, tanto che un dotto scrittore americano, Celen Sabbrin, poteva, in un interessante opuscolo, studiare, una ventina d'anni fa, l'impressionismo, sotto il triplice aspetto dell'estetica, della prospettiva e del disegno, prendendo in esame esclusivamente l'opera del Monet. È lui, altresì, che ha introdotta l'abitudine, a cui ha voluto e saputo attenersi con scrupolosa costanza, di lavorare sempre all'aria aperta, iniziando, proseguendo e completando ogni sua opera di fronte al cantuccio di natura che gliel'aveva suggerita, mentre invece Rousseau soleva si raccogliere sul vero tutta una serie di piccoli schizzi ad acquerello ed a pastello, ma rinchiudevasi poi nel suo studio per comporre e dipingere ad olio i suoi quadri e mentre tanto Corot quanto Courbet dipingevano si in piena campagna ad olio dei bozzetti sulla tela, ma poi li ingrandivano, li sviluppavano e li completavano fra le pareti e nel silenzio raccolto dei loro studi.

È lui infine che nel 1874 involontariamente suggerì ad un redattore dell'umoristico giornale illustrato parigino Le Charivari, col sottotitolo " impression " di un suo tramonto, esposto nella prima mostra collettiva, che, nell'appartamento del celebre fotografo Nadar, egli fece insieme coi suoi compagni di fede e di tecnica pittoriche, la denominazione d'impressionismo, la quale, affibbiata per scherno, fu da loro raccolta ed accettata quale divisa nobile, fiera e pugnace, e venne resa celebre, nella storia dell'arte francese del secolo decimonono, da un ventennio di fierissime polemiche e da una ininterrotta collezione di capolavori.

Nato a Parigi il 14 novembre 1840, Claude Monet si consacrò assai giovane alla pittura, malgrado le esortazioni e l'opposizione della propria famiglia, ed in essa, dando prova di quel carattere semplice, modesto ma fermissimo nei suoi convincimenti e nei suoi propositi, che spiega e rende tanto simpatica e mirabile tutta la sua vita, perseverò, senza nessuna accorta concessione ai gusti del pubblico, malgrado le gravi privazioni giornaliere e le dure prove di ogni genere dovute sopportare, finché non ne venne tratto fuori dall' aiuto efficace del notissimo negoziante di quadri Durand-Ruel, il quale ha tanto giovato all'impressionismo ed ai suoi campioni, di cui fu l'amico ed il protettore fino dai tempi più procellosi.

Dotato di un occhio di estrema sensibilità nel cogliere le più svariate irradiazioni della luce ed il folgorio molteplice delle cose sotto il bacio del sole, egli rinunciò ben presto alla pittura di figura di una pastosa, larga e robusta fattura, che avvicinavasi, sotto più di un aspetto, a quella di Gustave Courbet ed a cui appartengono opere di pregio non comune, quali La colazione sull'erba, L'estate ed un ritratto di signora vestita di verde e nero, per consacrarsi del tutto alla pittura di paesaggio, in cui presto doveva avere due valenti ed appassionati seguaci ed emuli di visione e di fattura in Camille Pissarro ed in Alfred Sisley. A quest'evoluzione che decideva del suo avvenire artistico, permettendo il completo sviluppo della rivoluzionaria sua individualità estetica, contribuirono non poco i consigli di quel Boudin e di quel Jongkind, nelle cui marine, come ho già osservato innanzi, possiamo oggidì scoprire i prodromi promettitori della pittura chiara, limpida ed istantanea degl'impressionisti, nonché la rivelazione esaltante che, in una prima breve visita a Londra, egli ebbe del genio di Turner.

Consacratosi interamente e deliberatamente al paesaggio, egli ricorse, fino dalle prime sue prove, alla soppressione del tono locale, allo studio dei riflessi mercé i colori complementari ed alla divisione della tonalità mercé il processo delle macchie di colori puri sovrapposte, che dovevano diventare i principii essenziali della speciale tecnica cromatica degli impressionisti, la quale, combattuta da principio fieramente, in seguito s'imponeva più o meno parzialmente ad un gran numero di pittori francesi e stranieri e perfino a qualcuno degli avversari della prima ora.

Ecco come Camille Mauclair, in una sua molto pregevole monografia, spiega e giustifica l'innovazione luminista del Monet :

" Nella natura non esiste alcun colore per sé stesso. La colorazione degli oggetti è una pura illusione : la sola sorgente creatrice dei colori è la luce solare, che avvolge tutte le cose e le rivela, secondo le ore, con infinite modificazioni. Il mistero della materia ci sfugge e noi ignoriamo in quale momento esatto la realtà si separa dall'irrealtà. Tutto ciò che sappiamo è che la nostra visione ha preso l'abitudine di discernere nell'universo due nozioni, la forma ed il colore, ma che queste due nozioni sono inseparabili. Non è che artificiosamente che noi distinguiamo il disegno dal colore : nella natura non si distinguono. La luce rivela le forme e, posandosi sui differenti stati della materia, dà loro colorazioni dissimili. Se la luce scompare, forme e colori svaniscono insieme con essa. Noi non iscorgiamo che colori, giacché tutto ha un colore ed è per la percezione delle diverse superfici dei colori che colpiscono i nostri occhi che concepiamo le forme, cioè la limitazione dei colori. Forma e colore sono dunque due illusioni che coesistono l'una per l'altra, due parole che significano due processi sommari di cui dispone il nostro spirito per concepire l'infinito mistero della vita. Non v' è forma senza colore, non v' è colore senza forma. Il colore solo si ridurrebbe allo spettro solare, la forma sola ad una geometria astratta : nel disegno che limita le superfici colorate, il nostro occhio, con l'aiuto della memoria, rimpiazza i colori ed anzi avviene in tal modo che il solo disegno può riuscire comprensibile ".

Le conseguenze logiche ed immediate di quanto or ora ho riferito sono le seguenti. La prima è che ciò che chiamavasi altravolta tono locale è un errore e che allorquando si vuole ricordare il colore di una cosa a colui che guarda un quadro bisogna studiare la composizione dell'atmosfera che interponesi fra l'oggetto e lo sguardo. La seconda è che l'ombra non è già l'assenza della luce, ma una luce d'altra qualità e di valore minore. La terza è che i colori nell'ombra si modificano mercé la rifrazione e che i riflessi compositi che si scambiano due oggetti di colore diverso, posti l'uno accanto all'altro, costituiscono una gamma di tonalità complementari delle due principali. La quarta ed ultima di tali conseguenze è che la dose dei toni dello spettro solare si compie con una proiezione parallela e distinta dei colori, sicché il pittore non dovrà dipingere che soltanto coi sette colori puri dello spettro, aggiungendovi, se crede, il bianco ed il nero, e dovrà posarli separati sulla tela, di maniera che essi si fondano a distanza sulla pupilla dello spettatore e così l'artificio del pittore avrà ricreato rigorosamente il processo della luce nella natura.

Altra cosa, però, è l'intuire nuove leggi cromatiche ed altra è l'applicarle, cosicché Claude Monet, ad onta della finezza di percezione delle sue pupille e della bravura sollecita del suo pennello nel fissare sulla tela le fugaci variazioni dell'atmosfera e delle apparenze delle cose bagnate dalla luce, tentennò, incerto e incompleto, abbastanza a lungo, abbozzando, accanto a quadri in cui l'effetto voluto era sufficientemente raggiunto, altri in cui osservavansi deficienze di disegno, squilibri di chiaroscuro, esacerbazioni di colore, specie di ranciato, che è la tinta predominante nella luce solare, e di azzurro, che ne è il complementare, tali da fare quasi a volte dubitare che l'audace riforma da lui tentata riuscisse ad ottenere l'agognata vittoria nel campo dell'arte, tanto più che le censure e le sghignazzanti impertinenze della critica benpensante, dei confratelli maligni e della grande massa del pubblico, la cui ostile incomprensione era dovuta a secolari pregiudizi ed a non meno secolari abitudini ottiche, avevano assunto spesso proporzioni siffatte da fiaccare i battaglieri propositi del più ardimentoso dei novatori.

 

 

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