Pillole d'Arte

    
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(Fonte : L'ARTE PER TUTTI - Istituto nazionale L.U.C.E. - 1931)

 

LA REPUBBLICA DI PORTICI

 

La pittura italiana dell'800 e soprattutto caratterizzata da movimenti reazionari e rivoluzionari. Mentre nei secoli anteriori l'arte della pittura si era modificata per un fenomeno quasi naturale, in modo che ogni diversa manifestazione artistica difficilmente e apparsa battagliera e rivoluzionaria, quello che caratterizza, invece, il nostro ottocento, e appunto la reazione, la rivoluzione. E stato giustamente osservato che quest'arte di reazione e quella che più esprime le condizioni il fremito di libertà che agitò tutta la penisola dal 1830 al 1870, proprio tutta la pittura che si fece per reazione alla pittura accademica. Eppure l'origine prima di questa reazione la troviamo in un movimento non reazionario.

La pittura all'aria aperta, su cui si basa l'800 pittorico non solamente italiano, va ricercato nello sviluppo naturale della pittura di paesaggio. In modo molto naturale si iniziò in Napoli la riforma della pittura di paesaggio, che influenzò in seguito, per via piu o menu diretta, tutto l'800 pittorico italiano. L'olandese Pitloo, venuto nel 1816 a Napoli per insegnare pittura di paesaggio nel locale Istituto di Belle Arti, sorpreso dal mutevole effetto delle condizioni atmosferiche del nostro clima, che ostacolava la possibilità di una pittura di paese alla maniera classica, prese l'abitudine di andare in campagna con la cassetta a tracolla ed alcune tavolettine, su cui segnava i rapidi effetti che poi sviluppava a studio. Egli introdusse cosi, senza quasi avvedersene e come la cosa piu naturale del mondo, un sistema che generò la macchia, l'Impressionismo e la conseguente reazione all'Accademia. Circa quarant'anni dopo, infatti, Adriano Cecioni, il critico entusiasta e batta­gliero dei macchiaioli, scriveva : « L'arte deve essere una sorpresa fatta alla natura nei suoi momenti normali ed anormali, nei suoi effetti più o menu strani ». Ma se Pitloo va considerato come l'inventore di questo metodo dell' Impressione, al genio di Giacinto Gigante, che influenzò lo stesso suo maestro, si deve la vera e propria invenzione della macchia pittorica ; a lui si deve cosi risalire, intorno al 1835, per trovare le basi dell'Impressionismo italiano.


I pittori educati ai rigidi canoni della scuola accademica sentirono venire, dall'osservazione dei quadri dei paesisti del tempo, come un monito alla fredda falsità dell'accademia stessa, cui finirono per contrapporre le ricerche riguardanti un'arte fino allora considerata minore : quella del paesaggio. Sorsero cosi gli esponenti polemici della reazione al neoclassicismo. A Napoli, se la vera e propria riforma fu ini­ziata da Giacinto Gigante, furono in seguito Filippo Palizzi e Domenico Morelli i principali oppositori della pittura classicheggiante. II sogno dell'uno fu riportare i personaggi dei quadri in mezzo alla luce d'ogni giorno, farli partecipi della nostra vita d'ambiente o d'aria aperta togliendoli dalla consueta schiavitù della tangente luce dello studio ; il sogno dell'altro fu costantemente teso verso la realtà il vero per il vero, cercandone d'intuire caratteri, superfici, tonalità. L'uno e l'altro riuscirono, dotati di un vero istinto pittorico, a fare della buona pittura, ma spesso l'uno manifestò un eccessivo romanticismo privo di plastica consistenza, l'altro si perdette spesso in una analisi troppo realistica.

Sta di fatto, però, the la reazione da essi intrapresa fu intesa da tutti : in breve Morelli e Palizzi sostituirono i vecchi maestri ed assommarono in se i caratteri di quasi tutta la pittura non soltanto meridionale della seconda meta dell'800, cosicche la maggior parte dei giovani del tempo fu più o meno influenzata dalla pittura di Domenico Morelli e da quella di Filippo Palizzi. Ma a Napoli stessa, e precisamente in Portici, un gruppo di pochi uomini si sforzò di tener fronte all'invadente romanticismo Morelliano ed all'eccessivo realismo Palizziano. Essi videro chiaro i danni dell'una e dell'altra corrente : notarono il danno che apportava al senso della costruzione plastica della pittura la scuola di Morelli, che cercava tonalità di colore tenuissime a sostenere la trama tenue di ispirazioni non propriamente pittoriche, perche mancanti di valori chiaroscurali o plastici. ma quasi sempre storiche, poetiche o mistiche. D'altra parte essi compresero che lo sforzo palizziano di ridurre l'arte ad imitazione pedissequa del vero, avrebbe in breve condotto gli artisti ad una via completamente falsa. Ed ingaggiarono battaglia ai due colossi della pittura napoletana, che in quel tempo tenevano il campo stretti in una formidabile alleanza.

Sorse cosi la «scuola di Portici», che, nel più aspro periodo della nobile battaglia artistica, Morelli battezzò «Repubblica di Portici». I primordi di questa scuola si devono alle figure artistiche di Consalvo Carelli (il cui studio di Portici fu in seguito frequentato dal de Nittis) e di Giuseppe Palizzi.

Ma la scuola andò via via prendendo consistenza, nettamente staccandosi dalla scuola di Posillipo, di cui fu una naturale derivazione, con Marco de Gregorio, Federico Rossano e Giuseppe de Nittis, cui si aggiunsero altri minori, quali Antonino Leto, Camillo Amato, Raffaele Belliazzi, Alceste Campriani, Michele Tedesco, Andrea Cofa, Giovan Battista Filosa, Raffaele Izzo, Luigi de Luise. Siamo nel ventennio più glorioso dell'800 pittorico napoletano (1860-1880) : nelle esposizioni dominano Morelli e Palizzi : fuori di esse lavorano ad uso dei forestieri gli ultimi discendenti della scuola di Posillipo, che ormai quasi tutti sostituiscono, alla visione pittorica che si mantiene inalterata in Giacinto Gigante, una visione unicamente paesistica, cioè intesa a riportare sulla tela, non una calda impressione pittorica, ma la veduta obbiettiva di un determinato paesaggio.

Avversi a questo vedutismo, ma conservando una profonda e sincera ammirazione per Giacinto Gigante (che incoraggia il giovane Rossano) ; avversi alla pittura di Domenico Morelli che de Nittis definiva « pittore spudorato i cui quadri, Co tutti chilli culurilli, sembrano voler fare la concorrenza alla vetrina di Madama Poma »; avversi a Filippo Palizzi, che, diceva ancora il de Nittis, " pecchè fa li pili d'e capre cu li pennielli barbare se crede d'ave' truvata a strada d'u vero "; avversi a tutte e tre queste correnti della pittura napoletana di allora, si batte con opuscoli, con discussioni, con opere, il coraggioso gruppo della Repubblica di Portici, capeggiata dall'animoso ex-garibaldino Marco de Gregorio, (Napoli 1832-1875), la cui intransigenza, se viene in parte mitigata dalla dolcezza malinconica e rassegnata di Federico Rossano (Napoli 1835-1914), e spinta a maggiore combattivita dal giovanile entusiasmo di Giuseppe de Nittis, che, nato a Barletta nel 1846 e venuto a Napoli nel 1861, rappresenta l'esponente più noto ed artisticamente maggiore del gruppo della Repubblica.

Adriano Cecioni, venuto a Napoli pensionato dell'Accademia di Firenze ove strinse ben presto amicizia col Rossano e col de Gregorio, fu, nella promotrice del 1864, attratto da alcune tavolette del giovane de Nittis, che entusiasticamente proclamò le cose migliori dell'Esposizione. II Cecioni divenne cosi in breve il polemista più efficace dei Porticesi, ai quali dette indubbiamente uno spirito critico ed una coscienza artistica che ne definì maggiormente il carattere rafforzando nei suoi componenti il gusto per la ricerca della macchia pittorica. Cosi si formò a Napoli un vero e proprio gruppo di macchiaioli meridionali, gruppo che strinse caldi rapporti di amicizia coi macchiaioli fiorentini, come attestano numerose lettere tra il Cecioni ed il de Nittis, il de Gregorio, il Rossano, e tra il Signorini ed il Campriani.

E naturale che i gruppi si influenzarono vicendevolmente, evidente, infatti, nei napoletani l'influsso dei macchiaioli toscani, mentre, come ha già rilevato dal Pica, nel Signorini e evidente l'influsso del de Nittis. Intorno al 1870 il gruppo della Repubblica acquista una larga notorietà : il commerciante Goupil diventa il finanziatore del de Nittis, del Rossano e del de Gregorio ; i giovani sono attratti dalle ricerche pittoriche dei Porticesi ed a Portici vanno il Dalbono ed il Michetti, che compongono in quel tempo le loro opere più salde di costruzione plastica e più giuste di ricerca tonale. E si pensi quanto importante per la storia della pittura meridionale dell'800 è questa Repubblica di Portici (che noi per i primi segnaliamo a storici e critici con questa trattazione a parte) considerando ancora che il de Nittis conseguiva a Parigi un primo successo nel '69 con opere composte a Portici durante il periodo della Repubblica. Ed egli stesso, mentre nel primo anno di permanenza a Parigi si fece influenzare dalla pittura di Fortuny, ritrovò in Italia, nei canoni estetici della Repubblica Porticese, la sana vena pittorica che gli fece dipingere La strada da Brindisi a Barletta e numerosi studi del Vesuvio, che, esposti a Parigi nel '72, gli procurarono immediatamente una grande notorietà.

Dopo questo periodo di splendore che va dal '59 al '73 la Repubblica in breve decadde perdendo il carattere di ribellione al Morellismo ed al Palizzismo : morto nel 1875 Marco de Gregorio, che rappresentava il temperamento più combattivo ed intransigente del gruppo dei Porticesi ; partiti già da tempo oltre il de Nittis anche Rossano; quelli che rimasero si fecero in breve, come quasi tutti i pittori non soltanto meridionali, influenzare dalla piacevolezza pittorica di Mariano Fortuny, che, venuto in Italia, fece anch'egli parte del gruppo di Portici, quando questo però aveva già perduti i suoi maggiori e più intransigenti esponenti, quali il de Gregorio, il de Nittis, il Rossano. Cosi i rimanenti finirono per sbandarsi facendosi essi stessi fautori ed imitatori di una pittura che era in perfetta antitesi con la sobrietà del colore, la giustezza tonale e la sintesi costruttiva, che erano stati per gli anni precedenti i canoni estetici della gloriosa Repubblica.


FRANCO GIROSI