Pillole d'Arte

    
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(Fonte : Reality 2018 nr 88 - Centro Toscano Edizioni

Armando Spadini - L'inquietudine e la grazia dell'artista fiorentino

  L'osservazione in una raccolta privata d'un paesaggio giovanile di Armando Spadini che precede quelli romani di Villa Borghese e del Pincio, fornisce il pretesto per ricordare questo sfortunato artista fiorentino morto a soli quarantuno anni a Roma dove risiedeva dal 1910, ma che volle essere sepolto nel piccolo cimitero di Poggio a Caiano paese natale della madre nonché luogo elettivo dell'amico Ardengo Soffici che così ebbe a ricordarne la memoria: «Dalla finestra di questa mia casa di campagna, e persino da questo tavolino dove scrivo vedo l'umile ma poetico cimitero nel quale Armando Spadini ha voluto esser sepolto [...] la mattina, la sera, a tutte le ore, guardando da lungi I due cipressi che vigilano la sua tomba, errando per i campi fioriti che la circondano (questi campi che lo videro bambino, ch'egli amava, e che si prometteva ancora anno di venire a dipingere) posso illudermi di essere ancora un poco in sua compagnia; certo che il suo spirito mi è più prossimo, suscitando instancabilmente nel mio le rimembranze, i sensi e la simpatia del nostro lungo commercio».
  L'artista era nato a Firenze in via della Chiesa il 29 luglio 1883. Una data destinata a rimanere nella storia per almeno due altri motivi: la nascita di Benito Mussolini e il terremoto che rase al suolo Casamicciola. Una data indubbiamente tellurica, considerando come anche il carattere del giovane Armando non fosse dei più miti, al punto che più volte agenti della municipale attirati dalle sue grida, avevano chiesto chi abitasse in quella casa. Un ragazzo dal carattere turbolento, incline alle malinconie come agli scatti di furore, focoso e testardo. Incurante dei consigli paterni di continuare le scuole tecniche, il ragazzo aveva voluto imboccare la via della pittura. Dopo quattro anni di apprendistato nella ceramica di Jafet Torelli si era iscritto alla scuola professionale di Santa Croce, sezione Decorazione, dov'era rimasto tre anni. Non ascoltando i consigli dei professori che lo avrebbero voluto cesellatore, il giovane era passato alla Scuola Libera del Nudo presso l'Accademia di Belle Arti, dove tra altri giovani di talento avrebbe conosciuto Soffici, maggiore di lui quattro anni. Una scuola che frequentò saltuariamente ma che fornirà al giovane elementi necessari per avviarsi verso quella pittura ammirata agli Uffizi e nelle opere dei grandi maestri conosciuti attraverso le stampe: I fiamminghi, la pittura spagnola di Velazques e di Goya, l'attenzione per l'opera di Carpaccio. Proprio alla maniera antica, prima che pittore Spadini sarà un ottimo e raffinato disegnatore, le cui prove frutteranno il secondo premio al concorso bandito da Alinari per illustrare la Divina Commedia. La conoscenza di Adolfo De Carolis titolare della cattedra di ornato all'Accademia di Belle Arti lo introdurrà nel 1903 nell'ambiente culturale di Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, Emilio Cecchi, e quindi alla collaborazione come illustratore alla rivista "Leonardo".

Tornato a Firenze dopo la parentesi del servizio militare svolto a Napoli, nel 1906 aveva conosciuto in Accademia un'allieva di Giovanni Fattori, Pasqualina Cervone, figlia del medico condotto di San Piero in Bagno che sposerà il 29 ottobre 1903. Dopo un primo tentativo per l'aggiudicazione del Pensionato Artistico Nazionale, la cui vincita comportava un alloggio-studio a Roma e uno stipendio seppur modesto di 200lire al mese per due anni, previa riconferma, Spadini dovrà aspettare il 1910 per vedere coronato quel sogno e stabilirsi a Roma con la moglie e la figlia Anna, nata in quell'anno dopo il primogenito Mario morto dopo a mesi di vita nel 1909. E in questo torno di tempo che Spadini dipinse il Paese qui riprodotto per la prima volta a colori, il quale figura come il primo pubblicato, con data dubitativa1908, nella monografia mondadoriana sull'artista edita nel 1927 a cura di Emilio Cerchi con uno studio critico di Adolfo Venturi. Si tratta di una veduta collinare nei pressi di San Piero in Bagno, rappresentata in una gamma di toni verdi e violacei dai quali occhieggiano le note viola più acute dei Cardi e il giallo cromo delle ginestre. Così Corrado Pavolini descriverà questo dipinto nel suo saggio "Spadini paesista" pubblicato sul Catalogo della mostra postuma Omaggio a Spadini, con la quale venne inaugurata nel 1930 la Galleria di Roma «Paese co' suoi lenti colli sotto al limpido cielo di seta, [dove] ovvia è l'imposizione di erboline e fogliuzze come trepidi incidenti vegetali su quella pace solatia».

  Il dipinto, come molti altri che seguirono,venne acquistato dal dottor Angelo Signorelli che Spadini aveva conosciuto tramite Felice Carena; il quale, oltre a divenire suo medico personale, sarà il primo e affezionato mecenate. La famiglia Spadini, nel frattempo cresciuta di numero (dopo Anna, nel '12 era nato Andrea, poi Maria nel '14 e Lillo nel '20), rimarrà per sempre a Roma, malgrado l'artista si fosse lamentato nei primi anni di permanenza con l'amico Cecchi rimasto a Firenze: «Mi manca il mio bell'Arno con quella bell'acqua chiara, con i barcaioli al sole e le barche, col timone rosso. Qua niente. Un fiume infamissimo con acqua sempre torba. Mi è toccato nuovamente, se volevo far qualcosa, far posare il mio modello di moglie». La sua pittura, fortemente dominata dal senso del colore, con la scoperta degli impressionisti avvenuta nel 1913 si era orientata verso citazioni luministiche secondo i modelli del tardo Renoir. Amante del vero, l'artista dipinse sul motivo scorci del Pincio e di Villa Borghese ma soprattutto scene d'intimismo familiare aventi al centro la sua modella per antonomasia, l'amata Pasqualina, e quindi i quattro figli veduti crescere nelle sue tele. Pittura bella per eccellenza, l'opera spadiniana veniva accusata dall'ambiente romano dei Valori Plastici di soggiacere a contaminazioni francesi, impressioniste. Mario Broglio, scrivendo sull'opera dell'artista alla Secessione del 1916, ebbe a dire che «Spadini espone una produzione disordinata, frammentaria, incidentale perché tormentata da tentazioni-aspirazioni, non possiamo dirlo, impressionistiche, le quali non riescono a conciliarsi con il substrato virtualmente tradizionalista del pittore».

'Substrato' che l'artista farà affiorare di lì a poco conferendo più corpo alle forme e ai volumi: «Sono in un'età in cui basta con gli abboni e gli impressionismi, non penso che a lavori tirati tutti a pulimento». Determinazione che già affiora in dipinti del 1918 come Il mattino, oggi al museo Civico di Mantova, Lettura (ritratto della figlia Anna); Bambini che studiano (che la Banca d'Italia proprietaria dell'opera riprodusse al verso delle mille lire dedicate a Maria Montessori); il magistrale Bambino con la corazza del 1920, Anna e Lillo dell'anno seguente, Gruppo di bagnanti del 1923, dove Pasqualina presterà, lei e sempre lei atteggiata in varie pose, la sua giunonica figura. Grazie a quella profonda revisione che Venturi indicherà come «rinuncia alle piacevolezze decorative per costruire masse in profondità», Spadini potrà esporre alla Fiorentina Primaverile del 1922 nel gruppo di Valori Plastici, presentato in catalogo da Alberto Savinio che ne chiariva la nuova impostazione. Nel 1924, alla XIV Biennale di Venezia, verrà riservata all'artista un'intera sala: occasione tanto attesa quanto allo stesso tempo amara, poiché tra le quarantanove opere esposte «non ce n'era una che fosse di sua proprietà e potesse procurargli, con la vendita, un po' di danaro», come ricordava l'amica Leonetta Pieraccini, moglie di Emilio Ceochi, che prestò ai coniugi Spadini i soldi per il viaggio ed il soggiorno nella città lagunare.

Comunque l'artista era ormai una realtà artistica nazionale, ma purtroppo la sua esistenza terrena stava volgendo alla fine per l'incrudelirsi di una nefrite che in pochi mesi lo porterà alla tomba. Ultimo sorso di relativa tranquillità gli venne offerto, nell'estate del '24 dai principi Torlonia, i quali avevano messo a sua disposizione la dépendance della loro villa a Poli, nella campagna romana. Aveva comprato un ciuchino, che chiamava col suo cognome, e cavalcandolo, seguito da un altro ciuco con calesse su cui stavano i ragazzi, arrivava 'sul motivo' senza affaticarsi, con in mano la tavolozza già apparecchiata dei colori. «Ho iniziato molti quadri; ma li potrò finire?» Un interrogativo che pare formulato dall'immagine disfatta del suo ultimo Autoritratto, ora in Galleria degli Uffizi, accomunato giustamente a quello che l'amato Goya aveva dipinto pochi mesi prima della morte. Spirò il 31 marzo 1925, di martedì, giorno da lui sempre temuto, a quarantadue anni non ancora compiuti. La sua salma, dopo il funerale romano a cui presero parte tutti gli artisti, venne» tumulata nel cimitero di Poggio a Caiano dove nel 1964 lo raggiungerà, seppellito a suo fianco, l'amico Soffici.

     Marco Moretti