Chi volesse parlare della pittura napoletana ai giorni
nostri non potrebbe farlo altrimenti che col nominare a
parte a parte le opere e i pittori diversi, e dare a
ciascuno di essi quella lode che merita. Appunto nel modo
che noi abbiamo incominciato a tenere in quest'opera nella
quale offriamo ai lettori i principali lavori de' nostri
artisti, ed aggiungiamo al disegno qualche breve
dichiarazione. Ma sarebbe per contrario un vano desiderio di
voler parlare altrimenti della pittura napoletana, ed
assegnare ad essa quel carattere complessivo che non ha e
non può avere nelle presenti condizioni; voglio dire quel
carattere che costituisce tutta una scuola. La quale senza
lasciar di mostrare quella diversità che sempre deve
trovarsi nell' ingegno di ciascun artista, non lascia pure
di far travedere una certa unità di forma e rassomiglianza
nella mente di coloro che sono nati ed educati sotto uno
stesso cielo. Ciò si è potuto vedere un tempo in Italia
nelle diverse scuole, come furono la lombarda, la Bolognese
, la romana , ed anche per breve tempo la napoletana. E
questo stesso è un grandissimo aiuto ad intendere e
descrivere la storia di un'arte in termini chiari e precisi,
come si può dire delle scienze tutte; perciocchè in esse la
diversità delle scuole esprime la diversità della mente
umana in ordine ai tempi, e la loro storia si può
abbracciare e delineare in modo pia facile e con maggior
profitto.
In quanto alla pittura mi pare che questo legame intimo e
vitale che costituisce una scuola prenda origine da cagioni
altissime che qui non è luogo di nominare; e per trovare una
scuola, non basta che gli artisti sieno nati ed allevati
nello stesso luogo, ed abbiano comuni gli elementi della
vita materiale come quelli di respirare la stessa aria ed
abbeverarsi alle stesse fonti. A me sembra che in Napoli si
possa chiamare col nome di scuola quella solamente de'
pittori che fiorirono nella seconda meta del viceregnato
spagnuolo. Ebbero quei pittori un certo modo loro
particolare e proprio che li segregava dagli altri d'Italia;
ma ebbero pure , chi più chi meno, una certa indole comune,
molto sentita e vigorosa, che li fa ravvisare per pittori
appunto come suol dirsi d?una stessa scuola. Oggi nessuno
saprebbe dire lo stesso della nostra pittura, nè per quanto
mi affatichi posso rinvenire un certo legame che rannodi i
nostri pittori; anzi nell' andare da un dipinto del De
Napoli ad uno del Mancinelli, del Guerra o di altro, quasi
non vorrei credere che questi artisti sieno tutti nati in
mezzo a noi, abbiano avuti gli stessi maestri e sieno stati
lo stesso numero d'anni a studiare in Roma.
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L'autore del quadro che riportiamo, cavalier Tommaso De
Vivo è uno de nostri artisti di molto nome appresso il
pubblico, il quale ammira in esso la grande felicità e
fecondità dell'ingegno che invano si desidera in altri. Ma
il De Vivo è una prova di quello che abbiano affermato sui
nostri artisti; perchè egli è tanto diverso d'indole di
carattere e di modi da tutti quelli che sono nati ed educati
con esso lui nella scuola dell'arte. Le cagioni di questa
diversità e del difetto di una scuola presso di noi, essendo
troppo varie, richiedendo più lungo discorso ci e bastato di
accennarle. Ma formeranno il soggetto di un' altra scrittura
la quale troverà luogo in questo libro. Ora diciamo che il
signor De Vivo oltre alle lodi che merita come uno de' più
operosi ed ingegnosi nostri pittori, è stato pure uno de'
primi a portar saggi da Roma i quali mostrassero che cosa si
potesse aspettare di bene, dopo i pochissimi e deboli
pittori che Napoli ha veduti ne? primi trent?anni di questo
secolo.
Tutti ricordano saggi esposti in quel tempo un suo quadro
che riportò la palma sugli altri, e figurava un Diomede che
dopo la vittoria discende dal carro, anelante ancora e tutto
asperso di polvere olimpica i capelli e la barba. Da quel
punto il De Vivo non ha mai lasciato di compiere gran numero
di lavori dai quali sono ornate le chiese e le reggie di
Capodimonte di Caserta e di Napoli. Ma uno de' lavori pia
belli del nostro artista e il quadro che riportiamo inciso,
e rappresenta un'avventura dell' infanzia di Sisto V
Pontefice. Egli fu ben fortunato di avere alle mani un
soggetto di tanta .bellezza, anzi uno di quelli che
nell'azione del momento da essi rappresentato ti fanno
passare innanzi alla mente una lunga serie di anni e di
avvenimenti memorabili quanto se ne leggono nella vita
dell'uomo straordinario ritratto da lui in quella tela.
Ebbe da rappresentare un Sisto V fanciullo, quando la
storia lo ricorda a pascolare gli armenti sui campi Piceni
donde lo tolse la carità del monaco di san Francesco che
andava ad Ascoli. E lasciando quelle campagne, com'egli
fece, s'incamminava ad essere un giorno non solamente
predicatore e teologo de? primi ma Pastore dell'ovile di
Cristo, e doveva, rivestito del Gran Manto rimanere nella
storia come esempio di fermezza invincibile. Io non so dire
se sia opera della nostra fantasia la quale si figura
d'incontrare spesso ciò che a lei piace di vedere, ma
certamente nell'aspetto animoso e vivace di quel fanciullo
ch'io vedo nel quadro, mi par di leggere un'anima non
volgare, e direi quasi un'anticipata rivelazione
dell'avvenire. E il pittore lo ha cosi ben collocato nel
mezzo ed in piedi e stringendo e poggiando a terra il lungo
bacolo pastorale, che tu lo ravvisi subito, benché cosi
fanciullo, per essere la prima persona del quadro. Sulla sua
sinistra gli sta d'appresso una femmina di quelle che
indovinano la ventura, la quale nel chinarsi verso di lui e
nel guardarlo fisso in volto, gli accenna con la mano la
mole del Vaticano che si vede in distanza, mentre un'altra
femmina seduta in terra, ascolta con animo atteso il
vaticinio di quella errante Sibilla.
Vuole una costante tradizione che veramente al fanciullo
Domenico Peretti, mentr' era in così misera condizione,
venisse da una di queste femmine indovinato l'avvenire; il
quale avvenimento, o che sia frutto di una invenzione
posteriore o veramente storico, acquista importanza per
l?illustre uomo in persona del quale si racconta. Tale fu il
soggetto che trattò il signor De Vivo, con felice successo,
parendo a noi di veder riuniti in questo dipinto i diversi
pregi che si trovano sparsi in altri dello stesso autore; e
per questo lo abbiamo trascelto ad ornamento della nostra
raccolta. Anzi possiamo affermare che alcuni difetti de'
quali possono venir ripresi i suoi quadri (perché non è
artista al mondo che non ne abbia) tu non li trovi in questo
dove la verità de? colori è pure disposta con tanto accordo,
senza che nulla se ne tolga alla ordinaria vivacità dello
stile di questo artista. Ed egli ha saputo inoltre
accomodare al carattere di quelle figure e di
quell?avvenimento anche la scena bellissima, come potranno
ravvisare i nostri lettori i quali abbiano desiderio ed
occasione di vedere il suo dipinto nella Reggia di Caserta. |