Come anticamente esistevano in Italia e fuori artistiche
famiglie, tra le quali quelle degli Zuccari , dei Caracci,
degli Uccelli, cosi noi pure oggi nel nostro bellissimo
paese vantar possiamo alcune tribù di artisti che vannosi
emulando tra loco e mantengono viva la tradizione dell'arte.
I Carelli, i Palizzi son tra questi ultimi; gli uni dediti
al paese ed agli interni, gli altri ugualmente portati al
paese ed al ritrarre gli animali. Tre son per ora i più
chiari, Filippo che da una seconda vita alle capre, ai buoi,
agli armenti, la vita del pennello, Giuseppe che a Parigi si
fe' prezzare per belle opere di paesi sparse di animali che
ritrae pure con verità somma, Nicola che solo e senza guida,
va cercando una nuova via di effetto nel paese, e studia con
la volontà e l'intendimento di non cadere nel comune.
Poiché, s'egli è vero che Claudio e Salvator Rosa e parecchi
fiamminghi diedero al mondo esempio di quel che si possa
fare, v' ha una lunga schiera di paesisti antichi, nei
quali, se la massa ti piace, se il tono ti appaga, se le
figurine fatte d'altra mano illeggiadriscono il dipinto,
trovi pure un accordo sommario, una tinta non istudiata nei
passaggi di luce di uno in altro piano, un frastuono di
foglie senza carattere proprio, di tronchi non indicanti la
specie, di cieli o troppo tondeggianti di grossi nugoli, o
troppo uguali. E se ti avviene di poter scorgere il cipresso
dal salice per l'opposta loro natura, non scorgi alla stessa
guisa il platano dal castagno, il faggio dal pino, l'olivo
dal pioppo. Trovi la vite serpeggiante, la quercia maestosa,
ma oltre queste differenze tutto è confusione; la frappa è
una cifra , l'acqua è grossa di colore biaccoso, i neri sono
usati senza differenza di sorta, i verdi non hanno tutte le
degradazioni che il vero esige, e il dipinto si riduce ad
una vista di generale vaghezza, ad un assieme felice, sicché
la pittura di paese, in mano di quegli artisti, diventa un
lavoro assolutarnente decorativo.
Lo studio del paese suole allettare il più facilmente,
poiché si stima di potervi ben riuscire in breve tempo, e i
giovani di prima levata aprono a grandi speranze la mente,
quando sentono lodare un lor paesello con poca frappa,
qualche pittoresca rupe, un riflesso nell'acqua, a simili
cose. Ma la pittura di paese non si ferma qui, e il pittor
di paese , se ha bisogno di far bene la sua via alpestre e
la sdrucciolevole montagna, ha pur d'uopo di mostrare come
si vada per la via, come si stenti su per la china, e qui
gli corre obbligo di studiar la figura; figura che quando
non ritrae dal vero, sconcia il paese; come quando è colpita
ne addoppia l'effetto. La figura nel paese e come la buona
punteggiatura nello scrivere. Un bello scritto nel quale non
si sappia ove posare, ove prender respiro, ove prender
forza, perde ogni suo vigore, e un bel paese ove un uomo non
vada, una capra non si arrampichi, un armento non pasca, è
sterile; e l'occhio passa su tutto, e non fermasi in nessun
punto. Or la figura riconcentra attenzione da quella parte
ove il soggetto è la definizione del quadro. Il Rosa vi fa
fermare lo sguardo su quei marinai, su quei soldati coverti
di Ferro. Il Pussino vi mette due figurine da non potersi
meglio, e se togliete il paese dalle composizioni
dell'Albano, quella voluttà, quella grazia su qual fondo
potranno spiccare ?
Da ciò chiaro si vede che la figura e necessaria al
paesista, e che tolti i fondi d'oro che vagheggiavano i
padri dell'arte, il figurista moderno non può sconoscere la
virtù del ritrarre il paese. Queste poche parole che a prima
giunta posson sembrare superflue, nol sono di fatto;
imperocchè manifestano la nostra profession di fede, e in
arte, come sempre, e in tutto, è indispensabile lo averne
una.
II dipinto di Nicola Palizzi presentato alla mostra
napoletana offre le dimensioni di un paese non piccolo.
I ruderi, il monte, l'acqua, le monumentali colonne e i
marmi, gli alberi varii, gli uomini e il cielo donde si
deriva il maggior lume; ecco gli elementi e le parti
componenti l'immaginoso e poetico dipinto. Non si potrebbe
dire che questo si bel paese sia tolto del tale o tal altro
punto, no; ma l'artista ha dato tale un'apparenza di vero al
suo dipinto che il riguardante esclama ? Ove si trova cosi
bella veduta ? E ne chiede intorno, sapete perchè ? ? perchè
lo crede vero. Nicola Palizzi ha voluto fondere insieme
molte epoche, molte bellezze, molti prestigi della natura.
Difatti egli ha posto sul davanti un gruppo di alberi ritti
e grandeggianti, ed in primo piano antichi ruderi di opera
laterizia tanto usata dai romani nei loro edifici, mozze
colonne d'ordine corintio , e un pezzo di via antica, quasi
ricordo della famosa via Appia. Più indietro un lago ove si
riflette il sole in tutta la trista maestà della sua caduta,
sicché tu lo vedi splendere di doppia luce, nel cielo, nell'
acqua; e non sapresti scegliere, a dir vero, quale dei due
effetti più ti piaccia. A quel sole, a quell'effetto di luce
guarda studiando una figura, nella quale si ritrae artista;
e presso a quei ruderi due altre figurine sembrano
archeologicamente discutere sugli avanzi di un tempio, la
cui posizione a benissimo scelta nel quadro, poichè più di
lontano lo vedi levarsi con cinque colonne antiche, quasi
memoria delle famose Puteolane. Le quali colonne sebbene si
levino nello stesso senso e dalla medesima parte degli
alberi, non producono per la loro distanza veruna monotonia
di linee che accenni a scarsezza di mezzi, ma quel che più
chiude le frante colonne, l'avanzo del tempio, le mura
laterizie ed il lago, è un doppio dorso di monte che dal
Terminio s'inspira, ed è tagliato da una via che viene più
innanzi e mostra in sulla punta sfumato e pure
misteriosamente vago un castello del medio evo in rovina.
Fantasmi della campagna italiana, ricordi di ostinate
pugne feudali, divenute indi torri di veduta e difesa dei
lidi corseggiati dai pirati, e finalmente ricoveri di
banditi e di falsi monetari, queste scrollate torri sono
sempre belle. Ecco per qual modo Nicola Palizzi ha riunito
molte epoche sotto l'unità di un sole cadente, e quel sole
che tramonta su tante rovine e tante glorie passate, è un
concetto degno di quegli artisti, che come il Pussino e il
Lorenese e Breughel e i BrilIi e Vernet sapevano veder in
natura, pensare il quadro, e poi pingerlo. Ma se questo sole
cadente si è quello che racchiude e colora tante e siffatte
bellezze, che potrei dirne di più al lettore? Anche una
veduta darebbe qui scarsa indicazione del paese
fantasticamente pittoresco e più, di quel colore che con
impronta di originalità fa staccare gli alberi, il monte,
l'acqua, e il partito delle nuvole che si raggruppano a
renderne più malinconico l'aspetto.
Qualche profano disse esser la causa pari all'effetto. Or
che i profani alle arti parlino prima di esser domandati,
non è maraviglia. Il far di maniera e con colori da trivio
sarebbe mai venuto ad intorbidare e guastare il bello delle
pitture, se i profani non avessero cominciato a levare a
cielo quel pittore che usava più candidamente il minio e la
biacca, e faceva più svolazzi che non ne avrebbe prodotti
aquilone e borea ? Certo che no... E che i profani malamente
parlino, potrà ben giudicarsi imperizia, ma che mal dicono i
seguaci dell'arte stessa, ecco la bassezza, ecco
l'immoralità. Si è detto che l'effetto dell'acqua fosse pari
a quello del sole, e questo si è giudicato esser colpa dell'
artista, quandocchè l'acqua e specchio di luce, è luce
ripercossa in corpo trasparente; quandocchè noi sappiamo che
le acque sono in taluni punti si limpide , che il solo
cristallo le agguaglia; quandocchè noi sappiamo che talvolta
suole il limpido ripeter la causa, e per incanto proprio
addoppiarla. V' ha d'uopo sempre di una fata Morgana per
osservare questi splendori della natura? Costoro che fannosi
maestri, senza aver voto di pubblico, non ricordano che nel
loro studio medesimo, per maggior effetto dei loro dipinti
li fanno guardare in uno specchio che ripercote ogni luce.
Dunque v' ha dei casi nei quali l'effetto e pari alla causa.
Ma questo non è certo il luogo di diffondersi in
ammaestramenti e questioni. Se il difetto del dipinto di
Nicola Palizzi non è che quello indicato, noi gliene
sappiamo grado; e poi ai posteri l'ardua sentenza,
e non a quegli artisti che poco fanno e molto censurano.
E ritornando al quadro soggiungeremo che oltre alla
varietà dei ruderi, scorgi pure bastevole varietà nell'
elemento frondoso; e, la foglia d' acqua, ed il verde
parietario e il cipresso, e il pino, e dal lato opposto dei
grandi alberi che son primi a venirti innanzi agli occhi
vedi un gruppetto di salici che incurvano i rami sull' acqua
infuocata di sole, e si disegnano ripercossi nella liquida
superficie. E mentre quella luce da risalto e vita a grandi
ombre, niente v' ha di ozioso e disprezzato, niente fatto
con animo d' illuder senza ragione; ma dovunque si posa lo
sguardo non vdi che lo studioso pennello ricercatore del
toni più grati all' occhio, e quel ch' è più, nessuna
durezza. Imperciocchè se v' ha cosa che noi deploriamo e
vituperiamo nel ritrarre il paese, questa si è la durezza,
impossibile la dove si mostra un orizzonte, e l'acqua che
bacia la riva e la via che si prolunga a perdita di vista. E
questa durezza in pittura di paese è per noi colpa, per noi
che abbiamo sempre innanzi agli occhi Ischia, e Capri, e
Nisida e tutte le isolette sfumate voluttuosamente su pel
nostro golfo, per noi che vediamo svanire talvolta per
incanto di naturali accidenti di luce e di distanza lo
stesso gigantesco Vesuvio. Del canto nostro felicissimi ci
reputiamo se questo elogio può dare a Nicola Palizzi un
conforto amichevole, ed un mezzo di venire in maggior grido,
non in superbia.
In quanto alla pittura del paese in generale, si può
dallo studio che vi si pone, argomentare che questa parte
del dipingere procede verso uno splendido avvenire, pel
quale occorrerà ai nepoti di trovare in noi una tal quale
coscienza d'arte che parve nascondersi nelle forme
convenzionali adottate nel secolo della ultima decadenza.
Le quali speranze manifestiamo spontaneamente e volentieri,
nel vedere per tutta Italia rinfrondarsi la corona del paese
istorico, corona che già posa sul capo di Massimo d'
Azeglio, di Markò e di Smargiassi, e diremmo di altri
ancora, se non ci sembrasse vanità il riempiere questo breve
articolo di piùi nomi.
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