Fra i pittori che presso di noi formano, diciam cosi, la
generazione novella, distinguesi fra i primi Gennaro Ruo, e
per la facilità del pennello e per la maestria con cui
adopera il colore. Quando, mesi sono, visitai il suo studio
ebbi agio di convincermi di ciò contemplando la sua famosa
Baccante ebbra di voluttà e di vino, a cui un sol rimprovero
può farsi, quello di esser troppo vera; e vedendogli
dipingere, per commissione di altissimo personaggio, una
scena popolare napoletana del 1617 in cui il campanile di S.
Lorenzo e il tipo speciale degli attori mi fecero ricorrere
col pensiero ai tempi che Micco Spadaro seppe sì bene
ritrarci, più di qualunque cronaca, col suo pennello.
Lasciando stare le miriadi di ritratti e d'infanti e di
feminine e di viri sorridenti, malinconici, orgogliosi,
serii a posticcio o graziosi ad arte, come piacque meglio
comporsi ai loro originali, e che aspettavano tutti l'ultimo
tocco per andare a collocarsi più o meno vanitosi nella sala
loro destinata.
Un altro dipinto su coi mi arrestai fu il S. Giovan
Battista; mi piacque ritornare su pregi che già avevo in
esso ammirati nell'ultima mostra di belle arti, cioè la
ragionevolezza della composizione e la sobrietà del
colorito. Un Cristo crocifisso, grande quanto il vero, era
stato da lui terminato poco innanzi per andare a prender
posto in una chiesa di Gaeta; esso distinguevasi
principalmente per un assai felice impasto di carnagione,
che riceveva il suo massimo effetto dal fosco cielo che gli
serviva di sfondo. Ma uno dei migliori suoi dipinti è il S.
Sebastiano che si vede nel real palazzo di Capodimonte, e di
cui diamo qui una incisione.
Egli è vero che la critica presente non la menerebbe
buona al Ruo di non volerne sapere più in là della esatta
riproduzione della natura umana, che dev'essere oggidì il
tema e non l'ultimo scopo dell'arte, per chi conosce
1'effettivo valore di questa parola; ma è indubitato che per
quanto severamente si voglia giudicare il Ruo, niuno può
contrastargli i pregi indicati di sopra. Nel dipinto però di
cui si parla osservasi più che questo; giacché non v'è chi
vorrà negare che la scena rappresentata dall'artista abbia
nella sua semplicità tale impronta di vero e di pietoso da
parlare a tutti gli sguardi. La spossatezza a cui mena il
dolor fisico e la fede che nel martirio divien più viva è
evidentemente resa nel volto e nella persona del
protagonista; come la carità cristiana e personificata in
Irene e la pietosa compagna accorse in aiuto di lui. E la
selvatichezza e tetraggine del sito ben si accordano colla
crudità del supplizio e la profonda pietà del soggetto. Se
discendiamo poi a parlare della parte plastica del quadro,
gli elogi al Ruo addiventano maggiori. Bella è la
composizione della figura del S. Sebastiano, tipo la cui
robustezza di soldato non è discompagnata da una tal quale
venustà perchè ingenerasse compassione maggiore; e l'occhio
scorre con piacere sulle singole parti del corpo espresse
con una perizia ammirabile, massime nella contrazione dei
muscoli causata dallo stringimento dei ceppi e dal dolore
delle aspre ferite.
Le donne collocate a sinistra lasciano ammirare intero
quel bel corpo che una verde quercia sostiene; ed il gruppo
di tutte e tre le figure forma un ben aggiustato assieme. Il
bel tono di colore infine, principal pregio di questa tela,
completa l'opera del disegno. Nelle carni palpitanti
scorgesi bene la vita; e gli accessori colla loro severa
modestia non distolgono l'occhio del riguardante, mostrando
chiaramente l'artista come non da essi voleva riconoscere il
merito del suo lavoro ma dai sentimenti che vi volle
trasfondere.
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