Berlino, 04/07/1895 - Saint Tropez, 31/05/1971
Le biografie ufficiali, da lui stesso dettate, lo dicono nato a Firenze
il 4 luglio 1895; sembra invece Berlino la sua effettiva città natale, e
Firenze la città adottiva per ascendenza familiare materna. Il riserbo
che ha caratterizzato l'uomo come l'artista fa sì che pochissimo si
sappia della sua famiglia e della sua vita privata; allevato da un
patrigno inglese, industriale a Firenze, sostenuto nell'educazione dalla
guida intelligente della madre, visse fino all'adolescenza a Firenze, e
poi a Milano dove la famiglia si era trasferita definitivamente intorno
al 1907. Il Campigli non seguì studi regolari e tanto meno si volse a
studi artistici, mentre entrò prestissimo in contatto con l'ambiente
letterario e in generale con gli intellettuali fiorentini; fu segretario
di Renato Simoni alla rivista La Lettura e collaborò con
scritti e disegni alla rivista Lacerba (1914), accostandosi al
movimento futurista più per un vivo e acuto senso di curiosità
intellettuale che per adesione spirituale. Nel 1915 partì per la guerra;
prigioniero in Germania nel 1916, venne deportato in Ungheria; da lì
fuggì in Russia dove attraverso contatti epistolari con influenti amici
italiani cercò di organizzare il rientro dei prigionieri in Italia.
Rientrato, collaborò al Corriere della Sera che nel 1919 lo
inviò a Parigi come corrispondente. Cominciò allora per lui un decennio
di esperienze stimolanti e di riflessione critica. Si andavano
precisando i suoi interessi per la pittura, scoperti quasi
all'improvviso con una vocazione che lo portò ad una costante
applicazione con un'osservazione attenta di quanto avveniva intorno a
lui e uno studio appassionato e rigoroso dell'arte dei musei che egli
sentiva come lezione stimolante e, da autodidatta entusiasta, campo
inesauribile di esperienze.
Sono gli anni in cui Parigi, protagonista di una vicenda culturale
infinitamente sfaccettata, va sempre più definendo la sua funzione
catalizzatrice per tutti gli artisti delle più diverse provenienze. A
Montparnasse il Campigli troverà amici, idee, incoraggiamento a
dipingere; il lavoro di giornalista sarà sempre più sacrificato agli
interessi pittorici e diventerà, ancora per qualche anno, solo un mezzo
che economicamente lo aiuta a meglio proseguire la nuova vocazione. I
dipinti di questi anni sono stati poi ripudiati dall'artista; ma, a
leggere quel che ne scrivono in varie occasioni il Campigli stesso e i
critici a lui più vicini, come R. Carrieri, essi dovevano riflettere una
volontà di ricerca ancora non precisata ideologicamente, ma già
sensibile a un rigore di mezzi espressivi. Nel 1923 espose a Roma in
quella galleria in cui Anton Giulio Bragaglia andava ospitando i giovani
talenti aperti a una cultura internazionale, già sensibilizzati alla
polemica necessità di difendere la libertà dell'espressione artistica
dalla minaccia dell'oppressione politica. Con De Chirico, De Pisis,
Paresce, Savinio, Tozzi e Severini, sarà intorno al 1926 uno dei "sette
di Parigi", tipico esponente di quell'indipendenza da ogni movimento che
l'Ecole de Paris consentiva, Nel 1927 espose a Dresda; nel 1928 una
visita al Museo etrusco di Villa Giulia a Roma gli diede appieno la
rivelazione del suo mondo interiore. La scoperta e la riflessione sugli
Etruschi equivalgono alla scoperta di se stesso. La forma schematizzata,
che il Campigli andava perseguendo come alla ricerca di una decantazione
del reale, un'aspirazione ad evocare un mito cui l'arte desse forma
tangibile, acquista attraverso questa nuova esperienza una
significazione più precisa, si va configurando in uno stile definito,
che diventerà quasi ossessione di un motivo reiterato all'infinito sino
a diventare, nel corso degli anni, una formula con tutti i pericoli e i
limiti che questa può comportare. Nascono le sue "donnine" stilizzate,
in cui il geometrismo non diventa mai astrazione, ma solo volontà di
purezza, di ordine e rigore compositivi. L'immagine, sempre più vicina
al simbolo, sarà tuttavia una forma ricordo di una realtà intima e
familiare, un archetipo di forme vagheggiate come vere.
Nel 1928 il Campigli fu invitato alla Biennale veneziana con una sala,
mentre una mostra a Parigi nel 1929 alla Galleria Jeanne Boucher,
intorno alla quale gravitavano allora gli artisti più impegnati, doveva
decretare la sua fortuna internazionale e il suo successo. Vicino al
purismo declamato dalla rivista Esprit Nouveau di Ozenfant e
Jeanneret (Le Corbusier), sentì chiaramente anche certi suggerimenti di
Léger che ammirava insieme con Picasso, ma di cui nella sostanza
rifiutava la problematica, come in generale rifiutava ogni movimento,
tendenza o moda: fedele a quel suo modo arcaizzante, alla ricerca di un
primordiale quasi magico che lo riportava all'infanzia. "Da bambini si
fanno i pupazzi secondo formule imparate. Non si copia la natura e poco
la si osserva. Il bambino cerca il simbolo perfetto. Vuole rappresentare
l'uomo sub specie" (Campigli, 1931). Le forme essenziali, fissate in un
gesto fermo nel tempo, articolate in uno spazio tutto ribaltamenti e
invenzioni, nascono da una base di terre opache, con toni smorzati da
affresco rialzati da qualche raro e prezioso accento cromatico, spesso
da un po' di biacca. È praticamente impossibile parlare di un'evoluzione
stilistica a partire dal 1928 fino alla morte. La pittura del Campigli
"attraverso gli anni... resta fedele a se stessa. La vera ragion
d'essere è proprio in quel che ha di costante. Di nuovo c'è semmai una
maggior spontaneità che è... un'ambita e dura conquista. C'è qualche
colore nuovo...". "La simmetria mi affascina", scrive egli stesso nel
1971 presentandosi al catalogo di una personale alla Galleria Medea di
Cortina. La tematica è anch'essa ricorrente. Che siano ritratti, scene
di vita e di lavoro, case, teatri, tutto è puro pretesto per
rappresentare quelle donne che sono mito, segno, simbolo, cifra e che si
compongono in un ritmo cadenzato, fissate per farsi guardare come
mummificate protagoniste di una serie di atti unici, senza dramma.
Il Busto di donna con vaso blu (1928: Milano, coll. Giovanardi),
Le amazzoni (1928: ibid., coll. Mattioli), Genealogia
(1930: ibid., coll. Tosi), Donne al sole (1931: ibid., coll.
Jucker), Donna che si pettina (1935: ibid., coll. Jesi),
Madre e figlia (1940: Roma, Gall. naz. d'arte moderna), Il
circo (1943: Milano, coll. Frua De Angeli), Le due sorelle
(1953: ibid., coll. privata), Scalinata (1957: Roma, coll.
Rabascini), Donna e casa (1960: Milano, coll. Tosi), Idoli
(1961: Roma, coll. privata), Teatro (1963: ibid., coll.
privata), Multipli (1966: alla mostra del 1967 al palazzo reale
di Milano figurava nella coll. Bergamini) possono considerarsi esempi
indicativi di una coerente visione più che tappe di una carriera
artistica.
Nel 1933 Campigli fu chiamato con Funi, De Chirico, Sironi e Severini a
decorare il salone delle cerimonie alla Triennale di Milano (distrutto:
Carrà, 1933), una delle prime esperienze di pittura parietale che gli
era congeniale come tecnica e in cui riecheggiava un classicismo
vagamente paleocristiano; ma il suo archeologismo scarno e sobrio lo
tenne lontano da ogni retorica classicista dell'arte ufficiale. Del 1937
è ancora una decorazione per la Società delle Nazioni a Ginevra, I
costruttori, dipinto che il Campigli stesso definisce "tecnicamente
interessante, ma poco ispirato". Neppure felicissima è la grande
decorazione al Liviano di Padova del 1939 che ricopre trecento metri
quadrati di superficie in modo "molto decorativo, ma poco pittorico",
come dice lo stesso artista, che aggiunge: "si vede che mi presi sul
serio come pittore civico. Prevalse un super-io pedante e severo". Se
pur migliore di tanta pittura pompieristica del momento, il risultato è
certamente farraginoso e di un didascalismo un po' gratuito. Ulteriore
decorazione per un edificio pubblico è una "Pietà" per il palazzo di
Giustizia di Milano del 1938, intitolata Non uccidere. In
questi stessi anni il Campigli viaggiava spesso tra l'Italia e la
Francia, ma anche un po' ovunque per organizzare varie personali, per
esempio a New York, a Bucarest, in Olanda. Le gallerie di Carlo Cardazzo,
quella del Milione a Milano e quella del Cavallino a Venezia erano dal
1931 le organizzatrici abituali delle personali che presentavano
periodicamente e sistematicamente l'attività del Campigli. Sue personali
si susseguivano comunque in varie città d'Europa e d'America
accompagnando la fortuna del pittore, che pur non avendo sempre, né
incondizionatamente, il favore della critica, raccoglieva tuttavia
costantemente il favore del pubblico. La critica stessa comunque non fu
mai detrattrice, ma riconobbe sempre l'onestà dell'artista,
l'autenticità dell'ispirazione e del linguaggio. Le sue personali più
indicative e complete, oltre alle già menzionate, furono quelle di
Parigi al Salon d'Autonine nel 1932, da Jeanne Boucher nel 1931 e nel
1938, alla Galerie de France quasi ogni due anni a partire dal 1949; di
Milano alla galleria Barbaroux nel 1934, 1940 e 1942; di Amsterdam allo
Stedelijk Museum nel 1946, 1950, 1955; di Rotterdam al Boemans nel 1947;
di Venezia alle Biennali del 1948 e 1960; di Berna alla Kunsthalle nel
1955; dell'Aia al Gemeentemuseum nel 1955; di Boston allo Institute of
Contemporary Art nel 1960. Da menzionare, inoltre, le grandi
retrospettive del 1953 a palazzo Strozzi a Firenze, del 1955 al palazzo
reale di Milano, del 1958 alla Galleria nazionale d'arte moderna di
Roma, del 1959 alla Civica galleria d'arte moderna di Torino, del 1967
ancora al palazzo reale di Milano e la retrospettiva del 1972 alla
Galleria "Il Collezionista" di Roma.
Gli anni della seconda guerra mondiale lo vedono a Venezia e a Milano
insieme con la seconda moglie, la scultrice Giuditta Scalini (sposata
nel 1937: in prime nozze aveva sposato la pittrice rumena Magdalena
Radulescu), e il loro figlio Nicola. Nell'inverno 1946-47 eseguì, in
Olanda, i cartoni per il mosaico pavimentale nell'atrio del cinema
Metropolitana Roma, poi rifatti e messi in opera nel 1947. Nel 1949
aderì, pur senza un preciso impegno politico e ideologico, al Congresso
dei partigiani della pace. Da quell'anno alternò i soggiorni tra Parigi,
Roma e Milano e si recò sempre più spesso a Saint-Tropez dove nel 1960
fece costruire e decorò La Fetiche, la villa dove passerà gli ultimi
anni della vita e dove raccoglierà una selezionata collezione di
scultura negra e di oggetti primitivi. Nella sua produzione ha avuto
ampio campo anche l'attività grafica: nel 1942 illustrò Il Milione
di Marco Polo (Hoepli, Milano) e le Liriche di Saffo (Edizioni
del Cavallino, Venezia); nel 1946 le Poesie di Verlaine
(Edizioni della Conchiglia, Milano) e Il Lamento del Gabelliere,
una serie di poesie di Raffaele Carrieri (Toninelli, Milano); nel 1948
il Thésée di Gide (New Directions, New York); nel 1953 un testo
di Jean Paulhan Campigli la ruche (Nouvelle Revue Française,
Paris); nel 1955 ancora un poema di Raffaele Carrieri, Il cigno
lanciere (Schwarz, Milano). Nel medesimo anno 1955 pubblicò la sua
biografia illustrata da disegni, Scrupoli, per le Edizioni del
Cavallino, che venne tradotta successivamente in francese e stampata in
diverse edizioni. Una scelta di 100 riproduzioni litografiche
di Massimo Campigli, a cura di R. Carrieri, fu pubblicata da Sansoni a
Firenze nel 1966.
Sensibile critico e osservatore, il Campigli ha al suo attivo anche una
discreta attività di scrittore (a parte l'attività giovanile di
giornalista) rivolta soprattutto alla presentazione e al chiarimento di
se stesso e della sua opera, come ad esempio la prefazione alla prima
raccolta di riproduzioni di suoi dipinti che nel 1931 Hoepli pubblicò
nella collezione di Arte moderna italiana, a cura di G.
Scheiwiller, oppure Il mio lavoro di Padova, in Aria d'Italia
del 1940 (n. 2), il già citato Scrupoli, Un testo introduttivo
per Francobolli di Campigli del 1960 per le Edizioni
all'Insegna del Pesce d'Oro (Milano), o ancora Di me e della mia
pittura, in Carte segrete del gennaio-marzo 1967 (pp.
147-169), apparsa con una presentazione di R. De Grada. "Vorrei che coi
miei quadri si potesse convivere come con un lento pendolo silenzioso.
Se poi quello che conta fosse l'elemento psicologico del quadro niente è
più favorevole perché il subcosciente si manifesti che lavorare
assorbito in problemi puramente tecnici, quasi per distrarre la mente",
scrive il Campigli in una presentazione al catalogo di una personale
alla galleria del Naviglio (Milano) nel 1953 ed è certamente un
giudizio-guida per accostare lo spettatore alla comprensione della sua
pittura. Il Campigli morì a Saint-Tropez il 31 maggio del 1971.(M.
Abbruzzese - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 - 1974)
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